Pietro Prosser
Liuto obbligato o costretto? Ricerca di
un’identità strumentale tra estensore, esecutore,
editore*
In occasione di questo convegno mi è stato
chiesto di presentare una relazione un po’ meno
musicologicamente formale del consueto, e così ho pensato di
far vedere una serie di esempi di arie (ma anche composizioni da
camera) con liuto obbligato; ovviamente liuto in senso lato,
cioè un generico strumento a pizzico. Naturalmente non voglio
fornire nessuna conclusione, ma solo dare qualche spunto di
riflessione nuovo anche rispetto ai problemi di edizione. Spero di
riuscire a dimostrare come dall’osservazione e
dall’analisi di molti esempi diversi di arie obbligate
emergano diversi ordini di problemi.
Il primo esempio è tratto da un’opera di
Sanchez in cui compare ad un certo punto una dicitura, «Passa
la barca con chitarre» e vicino anche «Le chitarre
spagnole sole. Si fa la ciaccona»; un’ulteriore
indicazione riporta la presenza di altri strumenti «ad
libitum».
Es. 1A e
B: Giovanni Felice Sances, Aristomene Messenio, dramma
per musica, Vienna, 1670 (A-Wn, Mus. Hs. 16704 Leopoldina)
1A:
II/11-II/12: Ciaccona per chitarre (movimento scenico)
1B:
II/13: Ciaccona per chitarre (movimento scenico)
Siamo di fronte a una situazione esemplare:
c’è evidentemente un movimento di scena che viene
riempito da un basso tipico, una ciaccona italiana. È
interessante il fatto che le chitarre, con i chitarristi, stanno
sulla barca e si muovono sulla scena; ci sono altri strumenti ma
solo le chitarre suonano, come dice la seconda didascalia. Questo
è un caso normalissimo di basso continuo che fa la
felicità di tutte le mode discografiche moderne: la profusione
di chitarre spagnole e di pizzichi è una cosa molto ricercata
ultimamente. Era però una cosa diffusa anche
nell’ambiente e all’epoca in cui Sanchez scriveva: nei
generi sontuosi come le feste teatrali all’aperto ci sono ad
esempio testimonianze sull’uso di fino a 12 chitarre
contemporaneamente.
Nella Chioma di Berenice di Antonio Draghi
troviamo invece il caso opposto:
Es. 2:
Antonio Draghi, La chioma di Berenice, festa musicale,
Vienna, 1695 (A-Wn, Mus. Hs. 16846 Leopoldina)
cc. 12v-13v:
Terzetto Non s'inganna chi spera nel ciel: ritornello per
liuto, 3 flauti, bc
in basso a sinistra c’è «Leuto,
Piffaro primo, Piffaro secondo, Piffaro terzo». Il liuto
questa volta è scritto in chiave di violino (e non in chiave
di basso) e dopo due battute di tacet gli è affidata
una melodia scritta all’acuto. Qui già iniziano i
problemi: cosa facciamo di questa melodia? Io ho portato come
‘icona’ un arciliuto, il tipico liuto che è
vissuto dall’inizio del Seicento alla fine del Settecento:
sono circa 27 corde, ma questa melodia si può tranquillamente
suonare utilizzando soltanto la prima corda. A mio avviso non
avrebbe molto senso eseguire una musica di questo tipo su uno
strumento così complesso; da un altro punto di vista, non
avrebbe senso spendere i soldi per comprare questo strumento per
ridursi a suonare una linea così semplice. Questo principio mi
ha portato a fare alcune riflessioni anche sul repertorio da camera
per liuto.
Come dicevo, nel caso del basso continuo disponiamo
di vari strumenti anche metodologici per capire cosa fare: abbiamo
tutti i trattati di basso continuo, basta applicare quelli. Magari
non troviamo tutte le informazioni che vorremmo, ma la maggior
parte di quelle che servono ci sono, e si riesce a raggiungere
buoni risultati. Nel caso della melodia però cosa dobbiamo
fare? Qui devo aprire una piccolissima finestra: per tanti anni,
proprio a causa di fonti scritte in questo modo, sono state in voga
determinate teorie, tra cui quelle che parlano dell’esistenza
del mitico ‘liuto soprano’, introdotto da Benvenuto
Disertori nel suo libro sull’iconografia. Era un liuto che
suonava nell’ottava reale così come scritto, una sorta
di mandolino ancora più piccolo; uno strumento assolutamente
inutilizzabile e, normalmente, inutilizzato all’epoca. Oppure
si è sostituito il liuto con il mandolino, anche questa una
cosa poco sensata, dato che all’epoca sapevano meglio di noi
cos’era un liuto e cos’era un mandolino; questa
sostituzione a priori, senza basi documentarie, non ha ragione
d’essere. Abbiamo perciò bisogno di ricostruire il
rapporto tra questo tipo di fonte e le accordature dei liuti
utilizzate normalmente, impiegate anche nel repertorio solistico. A
mio avviso è utile e necessario confrontare questo tipo di
fonti con il repertorio solistico: in particolare, noi liutisti
siamo fortunati, perché abbiamo tonnellate di intavolature,
che ci dicono esattamente (o quasi esattamente) come suonare questi
strumenti. Un primo passo per capire cosa fare di queste partiture
è proprio il confronto con l’intavolatura.
Vorrei far vedere un caso di ‘partitura
ideale’ per il liutista:
Es. 3:
Anonimo, O spettacolo pur troppo funesto, cantata sacra per
S, liuto, Dresda, metà ‘700 (D-Dlb, Mus. Ms.
3037-V-3)
c. 1v:
recitativo iniziale O spettacolo pur troppo funesto
Si tratta di una cantata sacra; c’è una
parte per liuto che si trova a Dresda. L’intavolatura di
liuto non è autografa di Weiss ma potrebbe molto facilmente
essere stata suonata da lui. Weiss era, alla corte di Dresda, il
liutista che suonava liuto barocco; ce n’erano altri che
suonavano l’arciliuto o la tiorba. Questa è
un’intavolatura per liuto barocco a 13 ordini ed è un
recitativo; come vedete gli accordi sono scritti intavolati; da qui
si potrebbe aprire una parentesi sulle odierne mode esecutive per i
recitativi, molto pieni di suoni. Qui abbiamo invece accordi molto
netti di 4 parti, senza strappate con i pollici, senza raddoppi,
senza arpe o liuti che si aggiungono. Abbiamo veramente non
più di 4 note e accordi molto verticali, molto secchi, che
potrebbero lasciar pensare ad un gusto opposto a quello di moda
oggi sia nelle esecuzioni sia nella discografia.
Il prossimo è un altro esempio di parte ideale:
è la famosa trascrizione per liuto barocco e trio di archi
(violino, viola e basso) di un ancor più famoso divertimento
di Haydn. La parte di liuto qui è scritta esattamente;
d’altra parte questa è musica da camera, quindi non
stupisce che il liuto abbia una sua parte scritta per esteso.
Es. 4:
Joseph Haydn, Quartetto in Re maggiore per liuto obbligato,
violino, viola e basso (trascrizione dal Divertimento Hob. III nr.
8 per quartetto d’archi) (D-As, Ms. Tonkunst 2° fasc.
49)
1° mov.:
Allegro
È opportuno forse riflettere brevemente anche su
un altro aspetto della questione. La mia impressione è che
l’estensore delle parti, e in genere anche lo stesso
compositore, non avessero sempre chiara l’accordatura degli
strumenti, e quindi per loro fosse difficoltoso (com’è
anche oggi) cercare di rappresentare per intero quello che avrebbe
dovuto eseguire un liutista. Per divertimento un po’ sadico
mi piacerebbe chiedere a chiunque di voi adesso se sarebbe in grado
di dare l’accordatura esatta di un arciliuto come vedete qua,
un arciliuto in Sol standard, con tutti i raddoppi, tutti i bordoni
e così via; di un violino o di una viola chiunque è
capace di darla… Spesso nemmeno i liutisti stessi sanno che
accordature usano. Questo è uno dei grandi motivi che, a mio
avviso, hanno portato a rappresentazioni come quelle che abbiamo
visto prima; cercherò ora di approfondire questo problema.
Vorrei far vedere un altro paio di esempi di
notazioni non in intavolatura, che io chiamo
‘melodiche’, per così dire. In particolare,
qualcosa per tiorba: un’aria dall’oratorio Il
martirio di San Lorenzo di Conti, nell’edizione
pubblicata nei Denkmäler der Tonkunst in
Österreich.
Es. 5:
Francesco Bartolomeo Conti, Il Martirio di San Lorenzo,
oratorio, Vienna, 1724 (A-Wn, Mus. Hs. 18163)
aria
D'odorosi eterni fiori per S, vlne, tiorba, bc
C’è una parte di violone e una di tiorba,
in chiave di violino ottavata, scritta essenzialmente in modo
melodico; è una parte specifica per tiorba, che è uno
strumento più grave. Ho degli altri esempi, rubati dalla
dispensa di mia moglie, tratti da opere di Francesco Mancini: il
prossimo è un esempio dal Gran Mogol, con una parte di
liuto solo, in sol minore, che è un arpeggio molto
compresso.
Es. 6:
Francesco Mancini, Il Gran Mogol, dramma per musica, Napoli,
1713 (da I-MC, Ms. 125C23)
II, 5, aria di
Argippo: Innocenza vilipesa per S, liuto, 2vl, vla,
b
Abbiamo già visto una tipologia che rappresenta
pure melodie; direi che questa è una seconda tipologia, in cui
stenograficamente, già in nuce si intravede uno
sviluppo più bidimensionale della struttura musicale della
parte del liuto: è proprio un arpeggio, che normalmente
coinvolge 3 corde, in un registro centrale, dal quinto al terzo
ordine. Quindi qui già c’è un’idea più
precisa di quello che avrebbe potuto fare un liutista. Diciamo
però che è un tipo di scrittura che non sfrutta appieno
le possibilità di uno strumento come quello che avete visto:
in questo caso l’esecutore, sicuramente all’epoca (e a
maggior ragione ai nostri giorni) avrà dovuto in qualche modo
elaborare questa parte. Ci sono tutta una serie di esempi che io
chiamerei in notazione ‘speciale’: la troviamo in un
pezzo molto famoso, il Concerto per liuto e viola
d’amore di Vivaldi.
Es. 7A e
B: Antonio Vivaldi, Concerto in re minore per viola
d’amore, liuto, 2 violini (RV540), eseguito a Venezia nel
1740 (D-Dlb, Mus. Ms. 2369-O-4, Fasc. 3)
7A:
1° mov.: Allegro, liuto bc in chiave di basso (c.
1v)
7B:
1° mov.: Allegro, liuto solo in chiave di violino (c.
2r)
Il liuto inizia sostanzialmente suonando il basso
continuo, annotato in chiave di basso, come si usa di solito.
Quando iniziano i soli, però, il liuto è notato in chiave
di violino (ovviamente senza 8, che è una cosa moderna), e
solo melodicamente. Tuttavia, se il liuto all’inizio faceva
il basso continuo, evidentemente i suoi bei bassi li aveva e
venivano utilizzati; questo modo di rappresentare il solo è
allora soltanto, per l’appunto, una rappresentazione, e non,
a mio avviso, quello che il liutista dovrebbe eseguire. Viene da
domandarsi: perché utilizzare soltanto i primi 3 ordini?
Perché non sfruttare tutto lo strumento? A mio avviso questa
è una specie di proiezione di ciò che avrebbe fatto il
liuto in sede d’esecuzione: da questa melodia noi dobbiamo
cercare di carpire le informazioni necessarie per ricavare una
parte bidimensionale, con bassi e voci intermedie. Questo si
può ottenere con diversi tipi di confronti; adesso vorrei
illustrare brevemente alcuni approcci che mi sembrano utili per
decifrare correttamente questo tipo di notazione in una prospettiva
parzialmente ricostruttiva.
Mi si perdoni prima una piccola parentesi: come
sappiamo tutti, questa composizione è stata pubblicata da
Ricordi, in un’edizione che in un certo senso non è
dissimile dall’originale: non è critica ma comunque si
può capire esattamente cosa è stato aggiunto e cosa non
è stato aggiunto. La parte dei soli è stata naturalmente
mantenuta com’è qui nel manoscritto, e questo ha
però creato in sede di esecuzione e in sede di registrazione
una deviazione del gusto verso un tipo di esecuzione puramente
melodica di questi soli: il liutista ad un certo punto si mette a
suonare (più forte che può, perché sotto ha
un’intera orchestra) questa melodia. Quindi l’edizione,
pur essendo conforme all’originale, ha causato di fatto un
certo disorientamento del gusto musicale, perché non ha avuto
il coraggio di interpretare la scrittura.
Ritornando ai vari approcci cui accennavo prima, il
più ovvio e forse banale è il confronto tra melodie e
intavolature. Si può cominciare dal trattato per chitarra
barocca di Minguet, in cui abbiamo i brani annotati sia in melodia,
sia in intavolatura.
Es. 8:
Pablo Minguet y Yrol, Reglas y advertencias generales,
Madrid, 1754
Dal confronto risulta chiaro che l’intavolatura
non è nient’altro che la melodia con l’aggiunta di
alcuni bassi, ma in modo essenziale; non è una scrittura
densa. L’intavolatura è sostanzialmente una
rappresentazione della melodia, con dei bassi aggiunti: dato che
ogni liutista ha il pollice e non saprebbe che farsene se non
dovesse suonare altro che la melodia, può ogni tanto buttare
lì un basso per dare più corpo, più sonorità
alla propria parte. L’approccio è banale, nel senso che
abbiamo la possibilità di confrontare facilmente e
direttamente melodie ed intavolature.
Brevemente un altro esempio, da un concerto di
Falkenhagen.
Es. 9A e
B: Adam Falkenhagen, Sei Concerti op. 4: Concerto n.
3 in Re maggiore, Nürnberg, 1741-1743
9A:
Recitativo, parte di traversiere (Fasc. trav, p. 5)
9B:
Recitativo, parte di liuto intavolata (Fasc. li, p. 9)
Nella parte di traversiere c’è una guida
della parte di liuto; ovviamente la guida è scritta in senso
melodico, ma noi abbiamo a disposizione anche la parte in
intavolatura, che è più complessa, come si vede proprio
dalla scrittura, arricchita da bassi e accordi. Se perdessimo
questa parte staccata, dovremmo cercare di ricostruirla in base a
quella rappresentazione melodica, sapendo però che non
restituiva l’intero spessore della voce del liuto.
Si può passare ad un approccio un po’
più avanzato: il prossimo esempio è una ormai famosissima
cantata di Conti, una delle cantate con molti strumenti, con
chalumeau, liuto obbligato, etc. Il testimone dell’intera
raccolta è unico, si trova alla Biblioteca Nazionale di
Vienna, ed è quello da cui si traggono normalmente le
partiture per l’esecuzione e registrazione. L’organico
è indicato con precisione e la parte del liuto è
intavolata esattamente.
Es. 10:
Francesco Bartolomeo Conti, Cantate con Istromenti:
Cantata n. 3 per S, 2 vl, chal, liuto, b (A-Wn Mus.Hs.
17593)
aria n. 1:
Con più lucidi splendori per S, 2 vl, chal, liuto, b
(c. 38r)
Queste cantate vengono eseguite ultimamente sempre
più di frequente: esistono addirittura 2 registrazioni degli
ultimi anni; tutte le esecuzioni e registrazioni ovviamente sono
basate su questo testimone. Di questa cantata in particolare esiste
tuttavia un altro testimone (presso la biblioteca della
Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna) in partitura e in parti
staccate, in cui la parte di liuto è annotata melodicamente;
possiamo perciò fare esattamente il confronto tra le due
versioni (anche se di quella della Gesellschaft der Musikfreunde
purtroppo non ho una riproduzione). Tengo a precisare che la
versione melodica non è citata da nessuno dei libretti che
accompagnano i cd; è rimasta piuttosto nascosta, mentre tutti
si sono basati sul manoscritto della Biblioteca Nazionale
perché è stato pubblicato dalla SPES ed è quindi
più accessibile. A mio avviso però è molto
interessante avere a disposizione lo stesso identico materiale
contenente l’intavolatura e la rappresentazione melodica
della parte di liuto.
Per concludere, perché vedo che mancano
pochissimi minuti, vorrei proporre un approccio ancor più fine
andando però a ritroso nel tempo: esistono a Roma, alla
Biblioteca Nazionale, alcune famose composizioni con violini,
arciliuto, tiorba, organo, arpa, che sono molto care ai liutisti
perché sono un tipico esempio di ensemble di pizzichi,
con le parti staccate. Il manoscritto è scritto male, ma penso
si capisca piuttosto bene.
Es. 11:
Stefano Landi, Canzona detta La Pazza, Roma, fine sec.
XVI(?) (I-Rn Ms. Mus. 156/1-4)
11A:
partitura ‘per organo’
11B:
parte di tiorba
11C:
parte di liuto
L’esempio 11A si può definire una
partitura per l’organista, più che una partitura in
senso moderno: sono 3 voci, messe una sull’altra, è una
canzona detta ‘La Pazza’ (peraltro nella letteratura
tutti la definiscono come ‘La Pozza’). Ci sono le parti
di liuto, di tiorba e arpa: queste sono puramente melodiche. Non
abbiamo nessun bicordo, sono tre voci in imitazione, quasi un
canone. Andiamo alla parte staccata di liuto (11C), per esempio,
che inizia già con dei bicordi, che non sono altro che il
basso dell’altra voce. Allora se anche in questo caso
perdessimo questa parte, e avessimo solo l’altra, come
sarebbe l’esecuzione moderna? Molto probabilmente si
eseguirebbe a tasto solo, mentre in questo caso abbiamo la
testimonianza del fatto che nella parte staccata ci si era
preoccupati di dare dei suggerimenti su come riempire
bidimensionalmente la parte di liuto.
Per avviarci verso la conclusione vorrei proporre
ancora un esempio: prima sono stati citati i Concerti per
mandora e scacciapensieri di Albrechtsberger, quindi non posso
non farveli vedere; ecco un esempio dal concerto in Re
maggiore.
Es. 12:
Johann Georg Albrechtsberger, Concertino in Re magg. per
scacciapensieri, mandora, 2 violini, basso, composto a Vienna/Melk,
1769 (H-Bn, Ms. Mus. 2.551)
1° mov.:
A tempo (c.1v)
La partitura è conservata a Budapest, le prime
due linee sono i violini; nella terza si dovrebbe leggere
‘trombula’ (una latinizzazione di Maultrommel,
la parola tedesca per scacciapensieri), e la parte è notata in
chiave di violino, con tutte le sue terzine e gli arpeggi. Il
quarto rigo è destinato alla mandora, notata in chiave di
violino con una rappresentazione melodica in cui il compositore (il
manoscritto è autografo) si è curato di aggiungere i
bassi utilizzando le cifre tedesche, i nomi tedeschi delle note.
Questo già ci dà delle informazioni in più su quello
che deve fare l’esecutore, ma non ce le dà al 100
percento: per esempio, non ci dice l’ottava del basso. La
mandora è in questo caso a 8 ordini, e tutte quelle note
scritte in lettere possono essere suonate in due ottave diverse.
Alla fine della pagina c’è un passaggio
interessantissimo in intavolatura, e c’è solo in questo
concerto: è un intervento del mandorista a cui era destinato
il concerto, che è stato scritto per Melk in Austria. Il
mandorista di Melk ha annotato queste poche note in intavolatura;
la mano è la stessa di alcuni suoi manoscritti autografi.
Siamo perciò di fronte a un autografo con intervento degli
esecutori, una cosa molto interessante.
Queste poche note ci danno anche un’indicazione
del ruolo delle dita e ci permettono di capire quali note della
rappresentazione melodica devono essere assegnate alle dita
destinate alla melodia superiore e quali al pollice, per esempio;
ci aprono così perciò una prospettiva molto interessante,
e ci permettono di lavorare con ancora maggiore finezza in
direzione di una resa della parte di mandora più consona alla
prassi dell’epoca. Mi spiego: il mandorista ha segnato qua
queste note (re-la-fa#-re) che sono l’unisono di quello che
fa il basso di violoncello; se noi avessimo soltanto una
rappresentazione melodica uguale alla parte di violoncello, avremmo
solo re-la-fa#-re e non sapremmo altro. Invece l’intavolatura
ci dice che il primo re è da suonarsi col medio, le altre note
con il pollice; la melodia in qualche modo può contenere delle
informazioni sulla spazialità della parte di liuto. Ovviamente
dobbiamo avere tutto questo contorno di informazioni e di confronti
incrociati.
Per concludere veramente, vorrei presentare un altro
esempio interessante, due versioni di una gavotta per calichon (un
altro tipo di liuto): nell’esempio 13A abbiamo la versione
presa dal manoscritto che contiene la cosiddette 18 partite di
Giuseppe Antonio Brescianello per calichon (note ai chitarristi
come 18 partite per colascione), nel 13B un’altra versione
testimoniata da un manoscritto di Donaueschingen.
Es.
13A: Giuseppe Antonio Brescianello (attr.), Partita n.8 in
Sol magg. per calichon solo, Baviera, c.1735-1740 (D-Dlb, Mus.
1364-V-1)
Gavotta
(c. 26v)
Es.
13B: Anonimo (cop. Prefect Most), Gavotta per calichon
solo, Augsburg, 1735 (D-KA01, Mus.Ms. Donaueschingen
12721)
cc.
73v-74r
Osservando queste due battute in particolare, si
capisce già visivamente che l'esempio 13A rappresenta un
movimento di canto e basso: ci sono dei bicordi. Nell’altra
versione – esempio 13B –invece abbiamo un movimento
assolutamente lineare, in particolare due note del canto
dell’altra versione (il Si naturale e il La) sono state
portate all’ottava sotto. Sembra un banale trasporto di
ottava, ma nel caso dei liuti non è del tutto ozioso,
perché in questo caso (esempio 13B) vuol dire suonare su un
secondo coro (raddoppiato all’unisono e suonato con
l’indice); nella prima versione (esempio 13A) vuol dire
suonare sul quinto ordine, che è un basso ottavato.
Percettivamente noi udiamo la stessa nota di prima, è stato
virtualmente trasportato di un’ottava ma di fatto quello che
ascoltiamo è la nota acuta. Se noi avessimo la
rappresentazione melodica di questa composizione, potremmo
ipotizzare di utilizzare delle note della melodia non come canto ma
come basso, e questo sarebbe assolutamente plausibile nella logica
del liutista, il quale sa che certi ordini sono ottavati e quindi
producono un effetto comunque all’ottava sopra.
Infine, per dare un’applicazione a questo
concetto, ecco il famoso Concerto in Re maggiore di Vivaldi
per liuto e archi:
Es. 14:
Antonio Vivaldi, Concerto in Re maggiore per liuto, 2
violini, viola e bc (RV93), dedicato al conte Jan Josef Vrtby,
?1729-1732 (I-Tn, Giordano Ms. 35, cc. 297r-302v)
1° mov.
senza indicazione di tempo (ed. Ricordi: Allegro giusto)
(c.297r)
L’inizio sembrerebbe un ribattuto (La - La -
La), ma potrebbe non essere sbagliato eseguire questi ribattuti
utilizzando anche un La suonato dal pollice, il che darebbe una
sonorità molto maggiore al liuto (ed eviterebbe di dover
utilizzare, per esempio, liuti a corde singole che
‘sparano’ moltissimo in acuto), una sonorità molto
più grave, molto più spaziale.
Con questo penso di avere anche abusato della vostra
pazienza e concludo, anche se ci sarebbero ovviamente molti altri
esempi e cose da dire.
Strohm
Grazie. Ci sono delle domande o suggerimenti?
Federico Maria
Sardelli
Lei ha ben tratteggiato come il compito del liutista
sia quello tacito di rimpolpare parti che sovente sono scritte in
forma più o meno stenografica, magari da autori che non
padroneggiano la tecnica del liuto. Quale opzione e quale strada
scegliere per l’edizione di questa musica? Lei propende per
lasciare il testo pulito (immaginiamoci un Vivaldi melodico, a
parte qualche accordo nel 540)? Oppure delegare in appendice o in
altra sede una sua proposta di realizzazione?
Prosser
Grazie della domanda, che mi fa recuperare una cosa
che avevo tagliato nel mio intervento per ragioni di tempo. Il
problema all’interno di questo convegno è ovviamente
l’edizione, un problema che mi sono posto e non ho del tutto
risolto. Io personalmente sarei dell’idea di dare
un’interpretazione, un suggerimento grafico di quello che
potrebbe fare un liutista, utilizzando tutti gli apparati grafici e
gli espedienti di cui disponiamo oggigiorno. La tecnologia ormai ci
permette di fare tutto: si potrebbero fare diversi layer, oppure (e
butto una bomba) edizioni in facsimile critiche, con Photoshop o
programmi analoghi. Nel caso del liuto ciò salvaguarderebbe
l’aspetto visivo di cui il liutista non può fare a meno
(l’intavolatura), ma al contempo si potrebbe munire di
apparato. Comunque tornando alla domanda, sarei dell’idea di
suggerire una realizzazione; poi, decidere se metterla in
partitura, in appendice o in parte staccata è una questione
puramente editoriale. Un pochino si ricade sul problema del basso
continuo al contrario: noi diciamo tanto che non bisogna mettere la
realizzazione del basso continuo, perché se si mette per
cembalo ai liutisti non serve, e quindi bisogna fotocopiare e
ritagliare la parte.
Un altro problema è capire quale strumento fosse
effettivamente utilizzato: nel caso di Vivaldi, per esempio, sono
convinto che si tratti di un liuto barocco e nemmeno di un
arciliuto italiano, insomma di un liuto tedesco. Penso questo per
vari motivi: non solo per le dediche al conte di Vrtby, ma per
tutta una serie di motivi, di cui si potrebbe discutere una mattina
intera.
Strohm
Grazie. Cosa pensa di un’edizione con aggiunta
di cd? Con una esecuzione esemplare.
Prosser
Perché no. Si potrebbe anche arrivare ad un
CD-rom contenente l’edizione e l’esecuzione.
Romagnoli
Forse con le parti staccate si possono risolvere un
po’ di problemi.
Prosser
Sì certo, tecnicamente dicevo che le soluzioni
sono le più disparate; il concetto è quello di suggerire
qualcosa all’esecutore; a mio avviso certe edizioni (citavo
quella Ricordi, che potremmo definire come diplomatica, nel senso
che le aggiunte sono comunque riconoscibili, e quindi si possono
togliere) hanno portato a esecuzioni con il mandolino, con i liuti
soprani, con l’arciliuto che suona soltanto sul cantino,
esecuzioni confuse.
Strohm
Questo è un aspetto molto interessante, anche
storicamente: penso che i fatti si ripetano e si accumulino i
problemi che una volta si avevano con l’esecuzione del basso
continuo, dove c’erano anche dei problemi editoriali.
All’epoca erano problemi grossi per l’editore. Con gli
strumenti a pizzico il quadro si è ulteriormente complicato.
Spero che in futuro potremo avere tanti esecutori di liuto
coscienti di quello che fanno: in questo modo il lavoro
dell’editore sarà più facile, nel senso che si
può anticipare un pochino ciò di cui la gente ha
bisogno… al momento è tutto aperto. Grazie mille per
questo interessante contributo.
|