Philomusica on line :: Rivista del Dipartimento di Scienze musicologiche e paleografico-filologiche

 

Michela Niccolai

 

Influenze pucciniane nella canzone d’inizio secolo *

 

A Simonetta Bigongiari

 

A partire dalle esposizioni universali di Parigi (1867, 1889, 1900) il gusto per l’elemento esotico si era fatto strada in Europa attraverso la letteratura,[1] l’arte figurativa[2] e la moda.[3] Anche il teatro in musica non fu estraneo a questi nuovi impulsi: mentre inizialmente la componente esotica fu impiegata con la sola prerogativa di dare ‘colore’ al dramma (si pensi a Lalla Roukh di David o a Il Guarany di Gomes), in seguito fu utilizzata per approfondire la trama musicale con l’inserimento di temi originali. Dopo La Princesse jaune (1872) di Saint-Saëns, (1893), The Mikado (1885) di Gilbert e Sullivan e Madame Chrysanthème (1893) di Messager, l’elemento esotico trova la sua consacrazione in Madama Butterfly di Puccini (1904).

L’importanza che l’esotismo acquista nel dramma pucciniano è sostanziale, poiché non si tratta di un mero orpello esteriore che ‘colora’ una storia, bensì della motivazione stessa della trama, e viene impiegato per sottolineare la distanza culturale tra Est e Ovest, incarnata nel destino dei due protagonisti. Il contrasto tra Butterfly e Pinkerton, personaggi-simbolo di Oriente e Occidente, si può così eleggere a paradigma di un più generale conflitto tra due culture con formae mentis diverse.[4]

L’opera pucciniana ha influenzato in vario modo, all’inizio del secolo scorso, la produzione delle canzoni, che può essere suddivisa in due grandi categorie:

– la prima comprende cronologicamente canzoni degli anni 1925-1935, in cui il rapporto con Madama Butterfly consiste essenzialmente nella tipologia del personaggio femminile che, esotico come la protagonista dell’opera, viene abbandonato dal ‘bruno marinar’ occidentale. Alcuni esempi sono forniti da Fior di Shangai e Il Tango delle gheishe.

– la seconda categoria, che dalla seconda metà degli anni Trenta arriva agli anni Cinquanta, presenta riferimenti espliciti all’opera pucciniana tramite citazioni musicali e chiari rimandi nel titolo o nel testo della canzone. Di questo gruppo fanno parte Tornerai, Piccola Butterfly e Poor Butterfly.

Prima categoria: canzoni ‘esotiche’  

La parola-chiave è ‘esotismo’, che viene collegato alle ‘imprese’ coloniali celebrando il sogno di luoghi lontani e immaginari «in un momento in cui non era possibile concretizzare il loro reale raggiungimento, chiara metafora di un colonialismo che fanfareggiava su conquiste più di facciata che di peso reale».[5] L’elemento esotico viene accostato all’immagine della donna, e, mentre la fantasia degli autori si spingeva verso i paesi più lontani, in realtà si notava la completa ignoranza degli stessi in materia di psicologia femminile e «fisicità geografiche».[6]

Con il termine ‘esotismo’ si tendeva ad accomunare tutto quello che non era occidentale, senza fornire indicazioni più precise. Del dramma pucciniano rimane in questo gruppo l’elemento erotico inserito in una cornice ‘orientale’, laddove si azzera completamente il conflitto tra due culture. Mentre da un lato il fatto che la donna sia orientale ‘giustifica’ l’abbandono da parte dell’uomo occidentale, dall’altro il mito della donna orientale stimola in Occidente l’interesse erotico per il lontano e il diverso.

L’immagine del sesso femminile che si ricava dai testi è fortemente stereotipata e imperniata su due poli contrapposti: da un lato la donna orientale, fedele, di stampo butterflyano ma non necessariamente giapponese (gli autori infatti guarderanno ben presto anche a Cina e India),[7] votata al sacrificio per l’amante europeo, e dall’altro la donna occidentale volubile e incostante, capricciosa e infedele. Mentre poi queste ultime sono descritte con proporzioni ‘normali’, al contrario la donna ‘esotica’ è indicata con un linguaggio ricco di vezzeggiativi, di aggettivi in -ina, -ino, più adatti a degli animaletti che a persone in carne e ossa.

Lo scopo di queste due tipologie è quello di far sì che «il maschio italiano, riaffermata la sua arte conquistatoria mondiale, continui a sognare confusamente di supremazia e piacere (cose queste che si trovano fuori di casa)», per dirla con Paquito del Bosco.[8] L’immagine dell’Oriente che si ricava dai testi risulta assolutamente falsata, volgendosi chiaramente ai modelli dei feuilletons sentimentali, più che a ricerche etnografiche precise, per cui tutto risulta minimizzato, e ciò che emerge non è dissimile dalle figure di ventagli e paraventi già enunciate da Pinkerton;[9] ovunque domina soltanto un «esotismo sensuale e nostalgico […] che stravolge gente e luoghi».[10]

I brani presi in esame, Fior di Shangai (Cherubini-Avitabile) e il Tango delle gheishe (Tortora-Lama),[11] sono accomunabili per struttura e tematica. In entrambi i casi si tratta di un plot articolato in strofa e ritornello.[12] Le strofe sono caratterizzate dall’andamento cinetico dello svolgersi dell’azione, mentre il ritornello, conformemente a una struttura che non è tipica soltanto del repertorio ‘esotico’, presenta un’espansione lirica, in cui si mettono in evidenza i propositi dei due protagonisti, l’uomo occidentale e la donna orientale, il cui fraintendimento porterà alla tragedia finale con la morte della donna. La scena è descritta attraverso un’ottica che, da un lato, mette in evidenza la superiorità occidentale in modo da «mettere al sicuro l’ascoltatore dal pericolo di aderire troppo intensamente alla narrazione»,[13] e dall’altro spalanca «l’immaginazione sui lontani mondi in dissoluzione pressati dalla civiltà occidentale e dal progresso materiale».[14]

 

Fior di Shangai

Tango delle gheishe

   

(Cherubini-Avitabile)

(Tortora-Lama)

   

Là sul Mare Giallo s’ode il cor dei marinai

Quando a sera l’ombra discende

che van verso lidi lontan

calma sull’oriente in fior,

Stringe un marinaio il più bel fior di Shangai

dai porti del Giappon

pian pian suona lieto il tam tam

a frotte vengon fuor

lui la bacia mentre al sol

le profumate gheishe dell’amor.

canta ancor l’usignol

Oh dolci passettini

d’uccelli in volo

cinguettanti un po’.

O mia piccola Musmé

Vanno e spesso nel silenzio pian pian

il mio amore è per te

cantano le Musmé.

solamente un mister,

 

ma se mi bacerai

Bambole di seta

forse proverai

ninnoli del cuore

cos’è un bacio stranier!

lievi come fragili bisquit,

Sospira Fior di the

noi siamo dell’amor,

con un alito che

noi siamo del mister

ha un odor di lillà.

i piccoli trastulli del piacer.

Se il fior di Shangai

 

tu lo coglierai

Da la bianca nave approdata

con te vivrà!

scese il bruno marinar

portava negli occhion

l’incanto del suo mar

Canta l’usignolo sotto il sole di Shangai

e chiusa in cuor la febbre dell’amor.

ma ormai la rivolta è laggiù

‘Oh piccolo tesor’

folle Fior di the si lancia in mezzo ai marinai

egli disse allor

cercando il suo amore che fu

alla sua Musmé

fra le vampe ed il terror

e la bimba stretta al bruno stranier

si ritrovano ancor

tra i baci sospirò

   

Oh piccola Musmè

Bambole di seta

il mio amore per te

ninnoli del cuore

un capriccio e non più

lievi come fragili bisquit,

Or siam nemici e guai

noi siamo dell’amor,

se non fuggirai

noi siamo del mister

v’è la morte quaggiù!

i piccoli trastulli del piacer.

Ma invano supplicò

 

la mitraglia tuonò

Nelle folli strette d’amore

ella cadde ai suoi piè

palpitava come un fior

no, il fiore di Shangai

oh quanto spasimar

non lo lascerai.

sul pallido visin

Muore per te!

le si leggeva triste il suo destin.

 

E il giorno che il suo bene partiva

Canta l’usignolo sotto il sole di Shangai

allora essa l’abbracciò,

Ma quel fiore ormai muore laggiù!

ma nel bacio dell’addio il suo cuor

 

stanco s’abbandonò.

   
 

Bambole di seta

 

ninnoli del cuore

 

lievi come fragili bisquit,

 

noi siamo del mister

 

noi siamo dell’amor,

 

i piccoli trastulli del piacer

   
 

Spezzata dall’amor

 

Sparì col suo mister

 

Il piccolo trastullo del piacer!

 

Alcuni studiosi definiscono ‘poetico’ il linguaggio usato, ricco di «detriti dell’Ottocento»,[15] ovvero elementi linguistici tratti direttamente dal melodramma. A mio avviso è invece ancora più determinante l’identità di schemi metrici che vengono ‘esportati’ dall’opera per venire inglobati nella canzone.[16] Altri elementi portanti sono la rima baciata e alternata che, oltre a favorire un’immediata memorizzazione, forniscono una patina poetica alla composizione, e l’apocope, impiegata non solo per l’adattamento del testo a frasi musicali moderne (più brevi), ma anche per estensione a parole che normalmente in italiano non la prevedono. Caratteristiche di questi componimenti in musica sono l’imitabilità e la ripetibilità, sia linguistica che musicale.

Il primo brano analizzato si presenta come una ‘summa’ di tutti gli stereotipi esotici linguistici e culturali dell’epoca. Già il titolo Tango delle gheishe fa riflettere.

Il tango era giunto in Italia intorno al 1913 e si era diffuso da quando Enrico Pichetti ne fece accettare una versione ‘epurata’ in Vaticano, dando il via all’insegnamento di questo ballo nelle accademie e nelle scuole di danza.[17] Per sua natura quindi è un tipo di musica ‘esotica’ che richiama alla mente dell’ascoltatore immagini di mondi lontani che si sognano o si conoscono solo per sentito dire. Ben altra cosa però è vedere che cosa abbia a che fare il tango – con l’allusione a paesaggi sudamericani e in particolar modo argentini – con l’Oriente inteso come Giappone, patria delle gheishe della seconda parte del titolo. Il trait d’union è fornito dall’esotismo esasperato che va sempre più crescendo e stimolando l’interesse del pubblico nel periodo che intercorre tra la prima guerra mondiale e gli anni Trenta: esso include tanto il Giappone quanto l’Argentina, passando attraverso la Francia, che compare costantemente con i gallicismi tanto chic. La descrizione dell’ambiente esotico sul far della sera occupa un’intera strofa, e il ritornello, quasi musica di scena, mostra l’entrata delle Musmè. Le gheishe quindi ‘entrano in scena’ nella canzone esattamente come nell’opera Butterfly, la cui voce si ode in lontananza prima che il pubblico possa vederla.

Tra le apocopi in fine verso si nota la presenza di un ulteriore esotismo: il francesismo bisquit,[18] che viene messo dal paroliere in una posizione di primo piano: al centro dei versi del ritornello e in posizione rimante (anche se non avrà corrispettivo) proprio per acquisire l’importanza di un unicum. Nel ritornello si precisa la funzione della donna orientale: le Musmè sono solo bambole e ninnoli; metricamente le uniche due parole sdrucciole che, insieme a piccoli dell’ultimo verso, ‘catturano’ l’attenzione uditiva dell’ascoltatore. Il concetto viene ribadito negli ultimi tre versi: la donna orientale è soltanto «il piccolo trastullo del piacer» e niente più all’occhio occidentale e, come tale, viene abbandonata.

Seconda categoria: canzoni direttamente legate all’opera

In questo secondo gruppo ho raccolto alcune canzoni che si ispirano direttamente all’opera pucciniana e sono ad essa collegate da espliciti richiami melodici e testuali.

Nel primo caso – Tornerai di Olivieri-Rastelli del 1936 – è presente la citazione del ‘coro a bocca chiusa’ (II.1, 90) con cui si chiude la prima parte del ‘lungo secondo atto’ dell’opera.[19] Oltre alla citazione melodica anche la tematica presenta somiglianza con l’originale pucciniano: la nostalgia per l’amata lontana e la speranza in un ritorno che faccia risplendere i giorni e tornare la ‘perduta felicità’ sono di chiara ispirazione butterflyana.[20] Nel brano di Olivieri del conflitto tra Est e Ovest e della sostanza esotica dell’opera rimangono solo i ‘sospiri d’amor’ della protagonista.

 

Tornerai

 

(Olivieri-Rastelli)

 

Tornerai perché il tuo cuor

è preso da un amor (coro maschile)

 

Senza i baci tuoi non so

se vivere potrò (coro femminile)

 

Tornerai – da me…

perché l’unico sogno sei – del mio cuor.

Tornerai – tu perché

senza i tuoi baci languidi – non vivrò.

Ho qui dentro ognor

la tua voce che dice

tremando «Amor»

tornerò… – perché tuo è il mio cuor. (c.f.)

 

Tornerai – da me…

perché l’unico sogno sei – del mio cuor. (c.m.)

Tornerai – tu perché

senza i tuoi baci languidi – non vivrò. (c.f.)

 

Ho qui dentro ognor

la tua voce che dice

tremando «Amor» (c. m.)

tornerò… – perché tuo è il mio cuor. (c.f.)

 

Tornerai

In questo caso la ricezione dell’opera si fonda sul fenomeno amoroso fine a se stesso che diventa soggetto della canzone: l’amore come nostalgia dell’amata lontana non è espresso attraverso grandi passioni, ma come un sentimento ‘composto’ completamente stereotipato, non vengono più impiegati diversi registri vocali, come quello narrativo o sentimentale, ma un solo registro pacatamente melodico. Le rime diventano pure suggestioni sonore, eco di amori legittimi, sospirosi e delicati, che nel frattempo, con l’avvento dell’era fascista, hanno soppiantato amori adulterini e ‘peccaminosi’. L’elemento centrale della canzone è ormai diventato il puro atto del dire, un messaggio che si diffonde attraverso poche parole, un amore sussurrato, che parla solo di se stesso in un’ottica esclusivamente autoreferenziale.[21]

Negli ultimi due brani è evidente già dal titolo il legame stretto con Madama Butterfly: Piccola Butterfly (Redi-Bertini, 1948)[22] e Poor Butterfly (Golden-Hubbell, 1954).

 

Piccola Butterfly

Poor Butterfly

(Redi-Bertini)

(John Golden & Raymond Hubbell, The Hilltoppers, 1954)

 

O mia piccola Butterfly

Poor But - ter - fly

lo so, non ti scorderai di me

’neath the blossoms wait -ing;

del mio amor…

 

O mia piccola Butterfly

Poor Butterfly,

i baci ritroverai perché

for she loved him so.

tornerò…

Quando le stelle

The moments pass into hours,

ritorneranno a brillar

the hours pass into years,

guardando quelle

 

noi ci potremo incontrar…

And as she smiles through her tears, she

murmurs low,

O mia piccola Butterfly

«The moon and I know that he’ll be faith - ful;

un giorno mi rivedrai sul mar

I’m sure he’ll come back, by and by.

ritornar…

But if he don’t come back, then I never sigh

or cry –

 

I just must die».

 
 

Poor But - ter – fly.

 

In Piccola Butterfly ritorna l’elemento ‘esotico’ che aveva caratterizzato le canzoni d’inizio secolo. Il testo è di tipo narrativo, come se fosse Pinkerton che rievoca i suoi giorni passati con Butterfly, e la voce, riecheggiando lo stile degli anni Trenta, è doppiata dal canto lamentoso del violino. Oltre all’elemento testuale un ulteriore riferimento al dramma pucciniano è fornito dalla presenza del «tema della maledizione», per impiegare le parole di Michele Girardi,[23] che riecheggia durante tutta la canzone per poi essere chiaramente udibile nella chiusa finale; ad esso si aggiungono altre allusioni ‘esotiche’ enfatizzate nell’organico dalla presenza del gong. Attraverso questa citazione musicale dell’opera sappiamo che, nonostante le parole affettuose della voce narrante, tutto rimarrà un’illusione e Pinkerton non tornerà mai dalla sua piccola orientale.

L’ultimo esempio di questa breve carrellata sul mito-Butterfly nelle canzoni è dato da Poor Butterfly di Golden-Hubbell,[24] cantato dal complesso statunitense degli Hilltoppers nel 1954.[25] A differenza degli altri esempi portati sin qui rappresenta l’unico caso in cui è la protagonista, Butterfly, a prendere la parola. L’ambientazione è identica a quella dell’opera con tanto di ‘ciliegi in fiore’ e confluiscono nel testo i principali nodi drammaturgici dell’opera pucciniana: l’attesa («the moments pass into hours / the hours pass into years»), la sicurezza del ritorno di Pinkerton e la consapevolezza che se egli non dovesse ritornare l’unica possibilità per la protagonista è data dalla morte («I just must die»). Le parole di Butterfly sono intercalate dalla citazione del titolo, Poor Butterfly, che compare all’inizio e alla fine del brano conferendo un senso circolare alla canzone, e dando un giudizio sull’illusione della protagonista, che è convinta in un ritorno dell’amato che sappiamo non avverrà. Perde completamente importanza la componente esotica rispetto al dramma di una donna che non troverà mai la sublimazione dei propri sentimenti.

Tramite il presente contributo, che è parte di un work in progress più ampio che si estende ad altre forme di spettacolo come il musical e l’operetta, si è cercato di dimostrare come la vita di un’opera non si concluda con la sua rappresentazione in teatro, ma come questa possa esprimersi ‘contaminando’ altre forme di comunicazione artistica.

Le singole componenti che fanno di Madama Butterfly una delle opere ancora oggi più amate dal pubblico di tutto il mondo vengono recepite in maniera diversa nelle singole canzoni; se infatti l’elemento esotico nell’opera ha una funzione sostanziale per il dramma, nelle canzoni assume una valenza sempre diversa. Non tutta la ‘sostanza dell’opera’ si trasferisce nelle canzonette, ma singoli aspetti che prendono vita di volta in volta: tra questi sicuramente maggior attenzione spetta all’equazione esotismo=erotismo che è tanto radicata nella cultura occidentale da ‘giustificare’ l’abbandono della donna orientale proprio per sua stessa natura. Meno incisivo appare il conflitto tra Est e Ovest, al contrario di quanto avviene nell’opera, mentre viene messo in primo piano l’elemento dell’attesa e della speranza nel ritorno dell’amato. Fattore non secondario per il proliferare di molte canzonette nei primi cinquant’anni del secolo scorso,[26] è la nascita di molteplici produzioni cinematografiche negli anni Trenta, come Madame Butterfly di Gering (1932) e Il sogno di Butterfly di Carmine Gallone (1939) che sembrano segnare l’inizio di una Butterfly-renaissance, protrattasi fino ad oggi con nuove mises en scène (Asari, Wilson… e in campo di film-opera le pellicole di Ponnelle e Mittérand), musical (Miss Saigon) e film ispirati al soggetto pucciniano (M. Butterfly di Cronenberg, 1993).[27]

Collegando attraverso un fil rouge l’originale pucciniano con le sfaccettate reinterpretazioni che ne sono seguite, si può cercar di ricostruire la storia di Madama Butterfly non solo nell’ambito del teatro in musica, ma anche come archetipo culturale sempre soggetto a nuove elaborazioni artistiche.

________________________

*  Il presente contributo è stato presentato al VII Colloquio di Musicologia de «Il Saggiatore Musicale», il 23 novembre 2003. Ringrazio Michele Girardi e Serena Facci per i preziosi consigli forniti durante la stesura del testo.

[1]  Due noti esempi sono forniti da Le mariage de Loti (1880) e Madame Chrysanthème (1887) di Pierre Loti. Per un panorama sulla letteratura ‘esotica’ si veda Adriana Guarnieri Corazzol, Esotismo e teatro musicale nella Francia dell’Ottocento: Thaïs tra cultura romantica e Décadence, in: Jules Massenet, «Thaïs», «La Fenice prima dell’opera», 2002-2003/1, pp. 93-105.

[2]  Basti pensare alle immagini di Kesai Eisen comparse sulla rivista «Paris Illustrée» nel maggio 1886 che fornirono l’ispirazione per La cortigiana (1887) e i tre ritratti di Père Tanguy (1887-8) di Van Gogh e, andando a ritroso, La giapponese di Claude Monet (1876), il Ritratto di Emile Zola di Manet (1868) e la Donna giapponese, fotografia colorata a mano di Felice Beato (1870 circa). Per ulteriori informazioni sul japanisme in pittura si veda Klaus Berger, Japonismus in der westlichen Malerei: 1860-1920, München, Prestel-Verlag, 1980 (trad. ingl. a cura di D. Britt: Japonisme in Western Painting from Whistler to Matisse, Cambridge, Cambridge University Press, 1992) e Mercedes Viale Ferrero, Riflessioni sulle scenografie pucciniane, «Studi Pucciniani», I, 1998, pp. 19-39.

[3]  Grazie in primis alla jupe entravée di Paul Poiret, che «obbligava chi la indossava a passettini da geisha». Charlotte Seeling, Mode – Das Jahrhundert der Designer, Köln, Könemann, 2000 (trad. it. a cura di C. Dal Cin e M. Tschiderer: Moda. Il secolo degli stilisti, Köln, Könemann, 2000).

[4]  L’elemento esotico in Butterfly fa parte del vero e proprio ‘tessuto connettivo’ dell’opera. Nella tragedia individuale che vede Butterfly protagonista assoluta della scena, un ruolo principe è affidato all’ambiente giapponese che amplia il ‘dramma interiore’ di Butterfly nella prospettiva dello scontro tra due culture: Est e Ovest. La tecnica leitmotivica impiegata da Puccini sottolinea proprio il legame tra l’intimo dramma della protagonista e l’ambiente culturale da cui esso scaturisce. Si veda in proposito Peter Ross, Elaborazione leitmotivica e colore esotico in «Madama Butterfly», in Esotismo e colore locale. Atti del I Convegno internazionale sull’opera di Puccini (Torre del Lago, 1983), a cura di J. Maehder, Pisa, Giardini, 1985, pp. 99-110 e Michele Girardi, Giacomo Puccini. L’arte internazionale di un musicista italiano, Venezia, Marsilio, 20002, pp. 197-257.

[5]  Felice Liperi, Storia della canzone italiana, Roma, Rai-Eri, 1999, p. 124.

[6]  Paquito del Bosco, guida al CD Donne di terre lontane, Fonografo Italiano a cura di P. del Bosco, Fonit Cetra, serie V, n. 3, p. 8.

[7]  Si vedano esempi coevi come Piccola cinese di Fiasconaro-Martelli e Bengala di Rusconi-Bruno.

[8]  del Bosco, guida al CD Donne di terre lontane, cit.

[9]  Si veda a questo proposito ancora il testo della canzonetta Piccola cinese (Fiasconaro-Martelli) in cui uno scultore riporta sul «fragile bisquit» l’effigie della sua bella cinesina, fino a quando le viene rapita da un «perfido cinese» e l’unico ricordo che gli rimane di lei è il bisquit che ha realizzato.

[10]  Nicola Savarese, Teatro e spettacolo tra Oriente e Occidente, Bari, Laterza, 1992, pp. 225-26.

[11]  Entrambi i brani sono contenuti nella raccolta Donne di terre lontane, cit.

[12]  Sulla struttura della canzone e della sua articolazione in strofa-ritornello, si veda Franco Fabbri, La canzone, in Enciclopedia della musica, a cura di Jean-Jacques Nattiez, Torino, Einaudi, vol. i, Il Novecento, 2001, pp. 551-75.

[13]  Savarese, Teatro e spettacolo, cit.

[14]  Ibidem.

[15]  Si veda in proposito Rienzo Pellegrini, Le canzonette italiane tra le due guerre, in ‘Trivialliteratur?’ Letterature di massa e di consumo, Atti del Convegno (Trieste, 1978), Trieste, Lint, 1979, pp. 363-81 e Giacomo Lopez, Giuseppe Romeo e Tommaso Timperi, La canzone degli anni Trenta e Quaranta, in La lingua cantata. L’italiano nella canzone dagli anni Trenta a oggi, a cura di Gianni Borgna e Luca Serianni, Roma, Garamond, 1994, pp. 1-35.

[16]  Si consideri ad esempio l’impiego dei quinari doppi che da «Amore o grillo» (I, 29) dell’opera pucciniana vengono ‘reimportati’ nella canzone Tornerai di Olivieri-Rastelli (1936); si veda in proposito anche la seconda parte del presente contributo. I riferimenti musicali all’opera sono relativi alla partitura d’orchestra Madama Butterfly, Milano, Ricordi, © 1907, P.R. 112 (rist. 1979, 1999); tra quadre sono indicati i passi cui ci si riferisce: gli atti in numeri romani e la cifra di chiamata in numeri arabi.

[17]  Nel Tango delle gheishe la confusione tuttavia non è solo ‘geografica’ ma anche ‘ritmica’: più che di un tango si tratta infatti di una vera e propria habanera. Riguardo al tango si veda: Jorge Luis Borges, Evaristo Carriego, Torino, Einaudi, 1983. A proposito della ricezione del tango nella canzone italiana d’inizio secolo rimando a Gianni Borgna, Storia della canzone italiana, Roma-Bari, Laterza, 1985, p. 44 e segg.

[18]  Lo stesso termine torna anche in Piccola cinese in cui la ‘geisha’ cinese, viene paragonata a un vaso di terracotta, o meglio a un’immagine su un vaso di terracotta, a una ‘figura di lacca’.

[19]  «La canzone – per citare Gino Castaldo, Il Dizionario della canzone italiana. Le canzoni, Milano, Curcio, 1990, pp. 455-56 – è un classico esempio di compromesso fra le moderne esigenze ritmiche venutesi a creare con l’avvento del sincopato e certe reminiscenze liriche del primo Novecento operistico italiano». Questo brano fu reso celebre dall’interpretazione del Trio Lescano accompagnato dal quartetto jazz Funaro nel 1937, ma trovò i suoi interpreti ideali in cantanti come Beniamino Gigli, Frank Sinatra, Lily Pons… (cfr. ibidem). Riguardo alla divisione interna dell’opera e al problema del ‘lungo secondo atto’ rimando a Girardi, Giacomo Puccini, cit., pp. 235-239 e a Michela Niccolai, Madame Butterfly: un’opera di Giacomo Puccini con la regìa di Albert Carré, Tesi di diploma in Paleografia e Filologia musicale, 2 voll., Università degli studi di Pavia (Cremona), a.a. 2002-2003.

[20]  Entrambi gli elementi resero la canzone nuovamente attuale in tempo di guerra quando «le ragazze la sospiravano ai fidanzati che partivano per il fronte e i soldati la ripetevano marciando» (Castaldo, Il Dizionario della canzone italiana, cit.).

[21]  La scelta, nell’incisione, di due compagini vocali equivalenti (trii) e speculari (maschile e femminile) sembra equilibrare il sentimento d’amore pacificando vocalmente entrambi i sessi. Si ascolti in proposito Tornerai (Olivieri-Rastelli), in Trio Lescano, Le grandi voci della canzone italiana, Replay Music, RMCD 4214, n. 2.

[22]  Ringrazio il personale della Discoteca di Stato di Roma per la disponibilità accordatami durante le mie ricerche, e in particolare Roberto Castelli. Il brano Piccola Butterfly (Redi-Bertini), eseguito al pianoforte dallo stesso Redi, è contenuto nella raccolta Quando l’autore canta, Fonografo Italiano a cura di P. del Bosco, Fonit Cetra, serie II, n. 10.

[23]  Girardi, Giacomo Puccini, cit., pp. 228-30.

[24]  Ringrazio Roberta Baldizzone per la segnalazione.

[25]  Il brano è poi ‘migrato’ nella musica jazz, dove ancora oggi rimane uno degli standard di base. Compare nel vol. III del Real Book (p. 242) ed è continuamente soggetto a rielaborazioni jazzistiche, tra cui si ricordano quelle di Barney Kessel (2002), Erroll Garner (2002), Bobby Hackett (2001).

[26] Per uno studio sulla ricezione del dramma pucciniano nell’orchestra di Tin Pan Alley si rimanda al contributo presentato da W. Anthony Sheppard al convegno dell’AMS (2004), The Pinkerton’s Lament, in corso di pubblicazione. Ringrazio l’autore per avermi permesso di consultare il suo lavoro.

[27]  Per la ricezione ‘visiva’ di Madama Butterfly si veda Niccolai, Madame Butterfly, cit., pp. 109-27.

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