Philomusica on line :: Rivista del Dipartimento di Scienze musicologiche e paleografico-filologiche

Gianmario Borio

Analisi ed esecuzione: note sulla teoria dell’interpretazione musicale di  Theodor W. Adorno e Rudolf Kolisch

 

Il rapporto tra analisi ed esecuzione rappresenta un nodo fondamentale nella filosofia della musica di Adorno. La sua centralità è emersa con particolare evidenza di recente grazie alla pubblicazione dei frammenti di un trattato Zu einer Theorie der musikalischen Reproduktion, a cui il filosofo lavorò a partire dal 1946.[1] L’esigenza di una teoria generale dell’interpretazione era già stata sollevata da Adorno in uno dei suoi primi articoli come critico musicale;[2] l’idea del libro risale però al 1935, allorché egli concordò con Rudolf Kolisch – entrambi erano esiliati negli Stati Uniti – di scrivere un’opera a quattro mani sulle premesse di un’autentica interpretazione. Il termine Reproduktion, che Adorno impiega per designare la realizzazione sonora di un’opera, appare forse per la prima volta in un appunto redatto da Schönberg nel 1923 o 1924 in vista di un trattato sull’interpretazione musicale;[3] esso viene impiegato dai componenti della sua scuola come sinonimo di Aufführung, Vortrag, Wiedergabe, Interpretation e talvolta persino Darstellung. Negli scritti di Adorno Reproduktion assume connotazioni filosofiche e sociali, fungendo da momento di mediazione tra produzione e consumo. In un ampio saggio sulla situazione sociale della musica, che egli pubblicò nella Zeitschrift für Sozialforschung nel 1932, l’interpretazione appare non solo il teatro in cui è documentata la storia delle opere, ma anche come istituzione che, in quanto tale, è soggetta al divenire storico.[4] Adorno non pensa qui tanto al susseguirsi di stili interpretativi quanto a mutamenti strutturali dell’interpretazione come forma sociale. Nella prima fase della musica tonale, precedente alle rivoluzioni liberali, non si possono tracciare nitidi confini tra produzione, riproduzione e improvvisazione: la tradizione, i cui depositari sono le corporazioni e talvolta persino le famiglie, garantisce un passaggio fluido tra queste tre dimensioni. Una volta che la classe borghese ha preso l’egemonia, si affermano le grandi personalità di interpreti che tendono sempre più a considerarsi ricreatori dell’opera; il ruolo della tradizione, che assicurava una continuità tra intenzione d’autore e realizzazione sonora, viene adombrato dall’erompere di una libertà illimitata, fenomeno parallelo all’imporsi delle istanze individuali in una società dominata dal principio di concorrenza. Dopo la prima guerra mondiale il rapporto tra testo e interpretazione muta nuovamente: ora l’influenza decisiva è quella della tecnica compositiva post-tonale che mira alla assoluta trasparenza della scrittura: l’interprete diventa "esecutore dell’inequivocabile volontà d’autore".[5] Le obbligazioni di assoluta fedeltà al testo che richiedono le nuove composizioni si riflette sulla prassi esecutiva: l’attributo di autentico viene conferito solo a quelle interpretazioni che fanno emergere con massima chiarezza la struttura dell’opera.

La particolare attenzione che Adorno dedica all’interpretazione può essere anche effetto del pensiero di Schönberg, la cui attività si muove in un triangolo ai cui vertici vi sono teoria, composizione ed esecuzione. La teoria è la via maestra per accedere alla storia, per porre questioni al passato; la composizione è il tentativo di dare una risposta adeguata alle questioni tecniche individuate dalla teoria, di formulare un pensiero musicale che sia insieme sintesi del passato e apertura verso il futuro; l’esecuzione è l’inalterata trasmissione del senso musicale che si è cristallizzato in questo pensiero. Non è dunque un caso che alcune delle più dettagliate analisi che Adorno abbia pubblicato siano scaturite in stretto contatto con giovani interpreti, alla Hochschule für Musik di Francoforte, e per la diffusione mediale presso il Norddeutscher Rundfunk. Si tratta dei Lieder op. 3 e 12, dei Vier Stücke op. 7 e delle Sechs Bagatellen op. 9 di Webern; a queste si aggiungono la Phantasy di Schönberg e il Concerto per violino di Berg. Per questi lavori, pubblicati nel 1963 in Il fido maestro sostituto, Adorno ha coniato il termine Interpretationsanalysen ovvero analisi finalizzate alla messa a punto di un’interpretazione.[6] In un certo senso ci troviamo di fronte a una nuova disciplina critica, anche se ha significativi precedenti nell’Anleitung zum Vortrag Beethovenscher Klavierwerke di Adolf Bernhard Marx e soprattutto nelle Erläuterungsausgaben di Heinrich Schenker.[7] Secondo Hermann Danuser le Interpretationsanalysen rappresentano un ambito intermedio tra interpretazione performativa e interpretazione critica: non si articolano in suoni strumentali, bensì in parole (lo stesso medium dell’attività critica); al contempo hanno già compiuto un passo al di fuori della teoria, in quanto fanno parte integrante della preparazione all’esecuzione.[8] Va però aggiunto che nei lavori di Adorno tale duplicità si risolve in un rapporto di reciproca influenza. Innanzitutto le sue Interpretationsanalysen sono rivolte a opere del Novecento la cui distanza dal linguaggio tonale pone fondamentali problemi di comprensione. L’esigenza di un’analisi di questo tipo si pone ad Adorno in modo urgente, perché una buona parte delle esecuzioni della nuova musica mostra una scarsa consapevolezza delle relazioni strutturali dell’opera; talvolta il grado di incompetenza degli interpreti è talmente alto da pregiudicare la comprensione dell’opera, rafforzando il pregiudizio, già di per sé assai diffuso nel pubblico, che la nuova musica sia ermetica ed elitaria. L’indagine analitica rappresenta per Adorno l’unica strada per giungere ad esecuzioni che abbiano il grado di chiarezza e articolazione che Schönberg e i suoi allievi richiedevano. Ristabilire il rapporto tra analisi ed esecuzione avrebbe dunque anche ripercussioni di ordine sociale, in quanto contribuirebbe a infrangere il tabù dell’incomunicabilità della nuova musica.

Non bisogna però dimenticare che le Interpretationsanalysen di Adorno si collocano in un periodo storico particolare. Nel decennio che precede la loro pubblicazione Adorno fu invitato con una certa regolarità a tenere seminari agli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt; quando la musica dei viennesi non veniva eseguita da interpreti direttamente legati alla scuola di Schönberg, la realizzazione sonora assumeva spesso i tratti di oggettivismo che contrassegnavano l’estetica della serialità integrale. Egli trova una conferma di questa tendenza alla pubblicazione delle opere di Webern sotto la direzione di Robert Craft nel 1958, come evidenziano gli appunti a questo proposito che si leggono in Zu einer Teorie der musikalischen Reproduktion.[9] L’impegno che, in questa fase, Adorno profuse per delucidare problemi interpretativi va collocato nel contesto di un’ampia controffensiva nei confronti dell’oggettivismo matematico che egli vedeva imporsi con le tecniche seriali. Rudolf Kolisch ed Eduard Steuermann, i due esecutori che condivisero con lui la responsabilità del seminario sull’interpretazione del 1954, erano rappresentanti di un modo di comporre e interpretare la musica in cui il lavoro strutturale era mediato da una concezione paralinguistica della musica; la loro presenza in un’importante manifestazione dei Ferienkurse doveva anche servire da monito alle giovani generazioni. Il correlativo teorico di questa strategia di difesa è rappresentato dalla polemica contro la serialità integrale, che Adorno lanciò proprio in quell’anno con l’articolo "Invecchiamento della Nuova Musica" e poi dalle lezioni sulle opere giovanili di Schönberg e sulla sua concezione del contrappunto, che Adorno tenne a Darmstadt rispettivamente nel 1955 e nel 1956.[10]

Il seminario di Adorno, Kolisch e Steuermann occupò una posizione centrale per i Ferienkurse del 1954, che erano incentrati sul tema "Nuova musica e interpretazione", sia perché la prima seduta coincise con l’apertura dei corsi, sia perché, articolandosi su ben cinque giornate, esso costituì l’evento didattico più rilevante della manifestazione. A quanto mi risulta, non è rimasta alcuna documentazione su supporto cartaceo o sonoro di questo evento; tuttavia le sue linee generali si possono ricostruire ricorrendo a tre fonti: le critiche dei giornalisti, gli appunti di Adorno (che sono pubblicati in appendice a Zu einer Theorie der musikalischen Reproduktion) e la trasmissione presso lo Hessischer Rundfunk dell’ottobre 1954 in cui Adorno e Kolisch fanno esplicito riferimento a metodi e contenuti del seminario.[11] Da queste fonti si deduce che nella lezione introduttiva Adorno espose i principi fondamentali della sua teoria dell’interpretazione; nelle altre sedute si dedicò alla realizzazione di diversi passaggi del Quartetto op. 59, n. 2 di Beethoven. A parte il riferimento a un problema specifico dell’op. 3 di Berg, il rapporto tra interpretazione e nuova musica non ricevette l’attenzione che il titolo del seminario prometteva. Le Interpretationsanalysen e Il fido maestro sostituto nel suo complesso – libro non a caso dedicato  "A Rudolf Kolisch ed Eduard Steuermann, amici della giovinezza" – rappresentano una sorta di continuazione e completamento di quel seminario. Tuttavia la decisione di dedicare gran parte del seminario a un’opera di Beethoven è sintomatica per comprendere l’impostazione della teoria di Adorno nel suo complesso. In diversi appunti e lettere di quel periodo Adorno lamenta il fatto che la tradizione interpretativa della Scuola di Vienna ha subito un arresto e il patrimonio di quelle esperienze rischia di andare perduto. Uno degli ambiti in cui quella tradizione si manifesta è l’esecuzione delle opere di Beethoven; per giungere a un’interpretazione adeguata di una composizione di Schönberg o Webern occorre quindi familiarizzarsi con il particolare modo in cui gli strumentisti del suo circolo interpretavano la musica della prima scuola di Vienna, specialmente quella di Beethoven. Qui si profila un evidente parallelismo tra teoria della musica e prassi esecutiva: la musica strumentale di Beethoven costituisce il banco di prova tanto per il rinnovamento della Formenlehre ottocentesca quanto per il consolidarsi di una concezione dell’interpretazione in cui il fraseggio, l’interpunzione e l’articolazione paralinguistica svolgono un ruolo fondamentale. Un principio di Kolisch, spesso richiamato nelle riflessioni di Adorno, è che non esiste differenza sostanziale tra l’interpretazione della musica tonale e quella del presente. Anche qui vige una dialettica: la musica del passato non può essere interpretata se non tenendo conto dello stadio più avanzato della tecnica compositiva dei nostri giorni. L’argomentazione di Adorno tocca il campo dell’ermeneutica quando egli afferma che la storia degli effetti di un’opera appartiene all’opera stessa: le visioni della struttura musicale che sono maturate nel corso del Novecento illuminano una tendenza già presente in Beethoven e l’avanzamento delle cognizioni sonore fa emergere potenzialità latenti nella sua opera.[12] Dal canto suo, ogni composizione di avanguardia che abbia un senso è legata in modo più o meno diretto a problemi che hanno una prospettiva storico-temporale. Vi è dunque un rapporto di coappartenenza tra esecuzione di musica tradizionale e tecnica compositiva contemporanea: l’ideale di quella è infatti proprio la rottura della facciata e l’emergere della dimensione subcutanea, che è esattamente il processo che la nuova musica ha compiuto sul piano della tecnica: "Interpretare la musica antica a partire da quella nuova. Che cosa si può imparare su Beethoven in Schönberg?".[13]

Nelle Interpretationsanalysen si intravede una dimensione più profonda la cui delucidazione può illuminare un aspetto fondamentale della filosofia della musica di Adorno nel suo complesso. Si tratta del rapporto dialettico tra teoria e prassi. Esso determina l’orientamento generale sia dell’analisi sia della teoria della riproduzione. In una conferenza del 1969 dedicata ai problemi dell’analisi musicale ritorna un riferimento a Schenker che era già emerso in Il fido maestro sostituto: "[…] malgrado tutto bisogna riconoscere a Heinrich Schenker il merito di essere stato il primo a richiamare l’attenzione sul fatto che l’analisi è il prerequisito di un’adeguata riproduzione".[14] Al contempo Adorno tiene a sottolineare la sua visione fortemente pragmatica dell’analisi. Due sono i momenti discriminanti di tale pragmatismo: 1. Il compito dell’analisi non è quello di studiare l’opera come esempio di applicazione di norme generali del comporre o leggi astratte della musica; essa non deve mirare all’universalità bensì a focalizzare il "problema specifico" che ogni composizione affronta nella sua individualità; 2. Un’analisi veramente produttiva non è un esercizio intellettuale di confronto tra modelli strutturali e manifestazioni concrete; essa non può muoversi in un circolo vizioso all’interno della teoria, ma deve essere orientata verso un fine esterno. Adorno precisa questa impostazione indicando due campi di applicazione: l’esecuzione e la critica musicale. Nelle Interpretationsanalysen si può osservare passo a passo come teoria e prassi si alimentino reciprocamente: da un lato l’analisi, mettendo a fuoco i punti critici di una composizione, è di giovamento alla sua realizzazione sonora; dall’altro lato, il teorico trae profitto dal lavoro con gli interpreti, visto che le prove di esecuzione rappresentano il luogo privilegiato in cui le questioni compositive più rilevanti emergono con vivida chiarezza. La difficoltà che uno strumentista incontra nell’eseguire un passaggio è per Adorno sempre intimamente connessa con un problema della tecnica compositiva; il riconoscimento dell’ostacolo provoca la discussione, la quale dal canto suo, illuminando un aspetto della struttura musicale, crea le premesse del superamento della difficoltà esecutiva.

Uno dei temi ricorrenti nei frammenti sulla teoria della riproduzione è il rapporto di necessità intercorrente tra analisi ed esecuzione. "La vera riproduzione è l’immagine radiografica dell’opera" – la frase con cui iniziano gli appunti di Adorno diventerà lo slogan dei seminari di Darmstadt del 1954 – "Il suo compito è di rendere tangibili tutte le relazioni, tutti gli aspetti del nesso musicale, del contrasto, della costruzione che stanno al di sotto della superficie – questo mediante l’articolazione del fenomeno sensibile".[15] Rendere tangibili, ossia ascoltabili, tutte le relazioni significa realizzare il senso musicale, il quale è sì oggettivato nei segni scritti sulla partitura ma vive unicamente nel fenomeno sonoro. La scelta del termine senso (Sinn), anziché significato (Bedeutung), è sintomatica: per Adorno la musica è un linguaggio non-intenzionale; l’idea di un significato come entità esterna alla musica alla quale i suoi segni farebbero riferimento non gli è pertinente. L’aspetto linguistico riguarda piuttosto la logica dell’artefatto, la sua coerenza sintattica. E il senso si costituisce mediante l’interazione di tre livelli dell’opera: mensurale, neumatico e idiomatico. Il livello mensurale è quello della notazione; il livello neumatico concerne la struttura rispetto alla quale la notazione funge da medium; il livello idiomatico è invece collegato all’hic et nunc dell’interpretazione, alla soggettività dell’interprete, è lo strato storico delle interpretazioni. L’analisi è "la ricostruzione dell’elemento neumatico a partire da quello mensurale";[16] ma l’interpretazione non è semplice realizzazione dell’esito analitico. Questo sarebbe arido razionalismo, l’introneggiare della musicologia a discapito della spontaneità dell’interprete, l’annichilamento dell’istanza mimetica.

I concetti di mensurale, idiomatico e neumatico appaiono anche in una serie di appunti di Kolisch redatti in lingua tedesca, che sembrano risalire agli anni 1953-1955, e in altri fogli in lingua inglese, originati anch’essi dalla didattica nel corso degli anni Sessanta, che rappresentano abbozzi di una Theory of Performance rimasta incompiuta. Alla sfera del mensurale appartiene innanzitutto la "materia prima" dell’esecuzione, quegli elementi cioè che sono fissati dalla scrittura e oggettivamente determinabili: altezza e durata (quest’ultima intesa sia come ritmo sia come tempo). Con l’intensità si entra già nel campo dei valori che non sono definiti in termini assoluti nella partitura: il segno significa per esempio che un certo suono deve essere eseguito in una dinamica maggiore di quello indicato con , ma non ci dà informazione precise circa i decibel che devono essere prodotti; la precisazione di questo campo relativo della dinamica rientra tra i compiti principali dell’interprete che deve scalarne i valori con un attento studio della partitura e delle abitudini semiografiche del suo compositore. Al di là della "materia prima" si collocano le componenti dell’interpretazione che non sono definite in modo preciso dalla partitura: fraseggio, punteggiatura, cesure, corone, accentazione, in breve gli elementi che riguardano più direttamente la costituzione linguistica dell’opera. Questo rappresenta il terreno più delicato e impegnativo per l’esecutore, perché è dalla corretta articolazione del materiale composto che dipende la sua prestazione comunicativa. La dimensione idiomatica ha invece a che fare con il medium dell’esecuzione, lo strumento e il suo particolare colore. Questo colore non è semplicemente un dato acustico che va ricondotto alla liuteria, ma comprende anche il modo di suonare; lo stile esecutivo rimanda a sua volta alla didattica strumentale, alle scuole e ai princìpi verso cui esse si orientano. Tali princìpi degenerano in ideologia, secondo Kolisch, quando la tecnica strumentale si separa vistosamente dall’opera, anteponendo criteri di brillantezza, eufonia o virtuosismo alla realizzazione del senso musicale. Infine alla dimensione idiomatica in senso lato appartengono i momenti per cui la partitura non offre indicazioni quantitative: la qualità espressiva e il carattere. Questa sfera non è indipendente dalla "materia prima" e dallo stile esecutivo, tuttavia presenta una sua autonomia ed è a essa che i maggiori sforzi dell’interprete dovrebbero essere dedicati. L’accorto dosaggio di rubato, vibrato e crescendo è tutt’altro che un’istanza portata nella musica dall’esecutore e può essere appreso mediante lo studio dell’opera. Per il carattere le partiture offrono indicazioni come cantabile, dolce, appassionato, mesto, lugubre per le quali va egualmente individuato un correlato tecnico.

Kolisch non giunge a discutere la dimensione neumatica; vi accenna però parlando dell’"idea", un concetto chiave nella scuola di Schönberg, che sta a indicare la sostanza spirituale della creazione musicale. La via maestra per accedere all’"idea" è per Kolisch l’analisi delle strutture dell’opera; essa informa l’esecutore sui rapporti linguistici che presiedono al senso musicale e, di conseguenza, sulle modalità di fraseggio, interpunzione e inflessione. La posizione centrale dell’analisi, intesa come mezzo per chiarificare i nessi linguistici, rappresenta un punto fermo in tutte le teorie dell’interpretazione sorte nel circolo di Schönberg. Hans Swarowsky intendeva l’"analisi dei gruppi di battute" (Taktgruppenanalyse), che aveva appreso da Schönberg e poi gradualmente perfezionato nell’addestramento dei giovani direttori di orchestra, come ricostruzione del "processo mentale" che sta alla base della specifica forma di un’opera.[17] Erwin Stein dedicò un intero libro ai rapporti tra forma ed esecuzione, sottolineando l’imprescindibilità dell’analisi:

Il compositore dà una forma definita alle sue idee, configurando e organizzando il materiale musicale. L’esecutore riproduce quella forma al fine di trasmettere le idee del compositore, ma fallirà nel suo compito se non comprende come è organizzata la forma.[18]

Infine René Leibowitz concepisce l’interprete come un "sosia" creato direttamente dal compositore insieme all’opera. Egli "si rivela" mediante la rivelazione del senso musicale; dunque "le conoscenze e le riflessioni teoriche in merito alle strutture musicali e al loro senso preciso sono condizioni necessarie per l’apprendimento autentico della verità dell’opera, non sono però condizioni sufficienti".[19] La Scuola di Vienna offre pertanto un’immagine unitaria sulle questioni circa la necessità e le funzioni dell’analisi musicale nella messa a punto di un’esecuzione. Con diverse sfumature essa si ritrova in più recenti teorie, quelle di Edward T. Cone, Eugene Narmour e Wallace Berry.[20] La concordanza di principio con Adorno e Kolisch dipende dal comune riferimento alla teoria musicale di ambito tedesco: a Riemann, Schenker e Schönberg. Alla base di questa tradizione si può scorgere un principio filosofico: che tra senso e verità vi sia una stretta relazione. Nel trattato Die Kunst des Vortrags, pubblicato solo di recente, Schenker enuncia la seguente massima: "La mano non può mentire: deve seguire il significato della condotta delle parti".[21]

L’autorità di questa tradizione si è andata però affievolendo negli ultimi decenni con il graduale affermarsi del pensiero contestualista e postmoderno. La semplice constatazione che esistono elementi di primaria importanza per l’analisi i quali invece svolgono un ruolo secondario per l’esecuzione è bastata a fare vacillare le certezze; l’idea di una relativa autonomia della sfera interpretativa ha preso consistenza. A questo si è collegata una maggiore attenzione per l’aspetto intuitivo dell’interpretazione. Tim Howell, per esempio, critica l’equazione "analisi : razionalità = esecuzione : intuizione"; i poli di razionalità e intuizione sarebbero invece coinvolti in una medesima dialettica, sebbene le sue manifestazioni varino a seconda che ci si trovi nell’ambito dell’analisi o in quello dell’esecuzione: "L’analista e l’esecutore lavorano in direzioni ‘opposte’: il primo razionalizza progressivamente la sua reazione intuitiva con l’obiettivo di illuminare l’astrazione, il secondo impiega una tecnica rigorosamente acquisita in modo che ne risulti un’interpretazione che comunichi un senso di spontaneità e di intuizione naturale".[22] Nell’affermazione di Howell riecheggia la dialettica di mimesi e razionalità, che sta alla base di ogni considerazione estetica di Adorno. Tuttavia Adorno non avrebbe impostato il problema in questo modo: attribuire un valore all’intuizione significherebbe rompere l’equilibrio dei tre elementi fondamentali e decretare il primato della dimensione idiomatica; separata dalle altre due, essa finirebbe per volgersi contro la decifrazione del senso e dunque la possibilità di concretizzarlo auralmente. Il primato della dimensione idiomatica appartiene a quel modo della mercificazione che egli definisce Musikantentum, il mondo dei virtuosi narcisisti il cui unico scopo è quello di incrementare la brillantezza del suono e gli effetti sensazionali della tecnica. Per designare la dimensione della soggettività Adorno ha impiegato il termine "idiomatico" probabilmente perché voleva sottolineare il carattere non puro dell’intuizione, il fatto che essa (per effetto dell’educazione, della socializzazione e dei vincoli professionali) è sedimentazione di valenze culturali. L’analisi, attività razionale, può avere per l’interprete anche la funzione di autoanalisi e, come tale, svelare le proprie strutture di pregiudizio.

La funzione prescrittiva dell’analisi è uno di quei caratteri che la recente musicologia respinge nelle tradizionali teorie dell’esecuzione. La posizione che Nicholas Cook chiama "fondamentalista"[23] è quella in cui Adorno si sarebbe sicuramente identificato: il senso è individuabile con l’analisi e rappresentabile con il suono. In Zur Theorie der musikalischen Reproduktion si legge la seguente annotazione: "Ogni lavoro musicale presuppone la possibilità di distinguere tra giusto e sbagliato, nell’interprete non meno che nel compositore [...]".[24] Eseguire musica implica che si eserciti questa facoltà di giudizio; il campo della sua applicazione va dall’esattezza di intonazione all’assoluta trasparenza della costruzione. In un altro passaggio[25] Adorno sottolinea che nell’interpretazione musicale non ci sono valori approssimativi, non esiste un continuum tra sbagliato, migliore ed esatto: se un dettaglio non è corretto, ciò significa che l’esecuzione nel suo insieme è inappropriata. Questo essenzialismo sembra essere in contraddizione con altri princìpi enunciati da Adorno, come quello del dispiegamento del contenuto delle opere nella storia oppure quello delle ambiguità intrinseche della dimensione mensurale, del testo. E’ vero che senso e verità si trovano in un campo di oscillazione, ma esso è ben circoscritto. La distinzione tra una lettura strutturale-analitica e una lettura drammatico-performativa – come è stato proposto in questi ultimi anni[26] – equivarrebbe per Adorno a una distorsione della realtà.

Un discorso analogo vale per il pluralismo interpretativo che è stato invocato da molte parti a seguito del poststrutturalismo, una corrente di pensiero che ha acuito la consapevolezza della molteplicità e variabilità del senso. I performance studies stanno oggi godendo di un notevole favore; e questo lo si deve non solo al mutato clima intellettuale ma anche al convergere di diverse istanze: i tentativi di ricostruzione delle prassi storiche occupano da decenni una posizione consolidata sullo scenario concertistico; la quantità di materiale esecutivo e addirittura preparatorio all’esecuzione presente negli archivi è aumentata in modo considerevole; la generazione di solisti a cui appartengono Glenn Gould, Alfred Brendel e Maurizio Pollini ha mostrato come l’interpretazione possa essere considerata un progetto autonomo che intrattiene un rapporto paritetico con il testo. Il campo di plausibilità dell’esecuzione appare più ampio di quello dell’analisi; e forse ciò ha a che fare con quegli aspetti mediante cui l’interpretazione performativa si distingue da quella critica. Una tale molteplicità non troverebbe giustificazione nella teoria dell’esecuzione di Adorno e, in generale, in coloro che seguono i princìpi della Scuola di Vienna; sarebbe vista come epifenomeno del relativismo che livella la forza specifica di ogni valore, come sintomo di una separazione artificiale del soggetto dell’interpretazione dal suo oggetto, come introduzione di un momento di accidentalità e indifferenza che nega il rapporto di necessità tra senso musicale e sua riproduzione sonora.

E’ consuetudine che la discussione sui rapporti tra analisi ed esecuzione abbia come campo di riferimento la musica strumentale dell’Ottocento: le composizioni più rappresentative di quel settore sono infatti i principali oggetti di studio della teoria musicale e al contempo occupano una posizione di rilievo nelle stagioni concertistiche e nell’industria discografica. Tuttavia una teoria dell’interpretazione musicale, che per un ovvio principio di economia metodologica si sviluppa a partire da un repertorio specifico, dovrebbe lasciarsi applicare anche ad altri ambiti della musica d’arte. Si pone per esempio la questione se nel caso di opere del Novecento, che riflettono un mutamento del sistema linguistico e non dispongono di una lunga tradizione interpretativa, il rapporto tra analisi ed esecuzione si articoli senza sostanziali differenze rispetto a ciò che avviene nella musica tonale. Anche in questo ambito, Adorno e Kolisch condividono lo stesso punto di vista: i problemi che si pongono all’interprete di Schönberg non sono di principio differenti da quelli sollevati da una partitura tonale. Tuttavia nella breve storia dell’interpretazione della Scuola di Vienna sono emersi ostacoli che possono essere rimossi solo familiarizzandosi con il nuovo linguaggio – e il mezzo più efficace di questa familiarizzazione è l’analisi. Adorno si sofferma sui seguenti punti:

1. tenere il "filo rosso" ovvero non frammentare il discorso in istantanee, ma rendere percettibile la continuità che  collega diverse voci e talvolta travalica le pause;

2. articolare le melodie con flessibilità e mostrare una sensibilità per le curve paralinguistiche;

3. precisa differenziazione e gradazione delle voci (con l’introduzione dei segni di Hauptstimme e Nebenstimme Schönberg ha segnalato l’importanza della gerarchia all’interno di una complessa polifonia);

4. suonare in modo tematico, rendendo evidenti i legami motivici più nascosti;

5. attenersi rigorosamente ai tempi indicati sulla partitura, evitando rubato e ritardando là dove esso non sia richiesto dalla dinamica formale generale;

6. avere piena consapevolezza del fraseggio.[27]

 

L’ultimo aspetto è direttamente collegato alla riproduzione del senso musicale. A questo proposito Adorno ama citare un’osservazione di Steuermann: "Se una melodia classica viene interpretata con un fraseggio inadeguato, può perdere qualcosa della sua bellezza; invece quelle di Schönberg sarebbero assolutamente incomprensibili".[28] Tuttavia il fraseggio non si limita alla corretta distribuzione dei pesi nella melodia, dunque alla preservazione dell’unità della Gestalt, ma riguarda anche la concretizzazione sonora dei rapporti tra le Gestalten. Esiste una tipologia diversificata di nessi grammaticali mediante i quali si costituisce la forma: virgole, punti e virgola, doppi punti e punti fermi, parentesi ed inserti, congiunzioni e disgiunzioni. Tali fattori di articolazione vanno accuratamente ponderati specialmente là dove l’immagine notazionale non offre precise informazioni. Il riconoscimento delle componenti fraseologiche è un momento nevralgico dell’analisi intesa come strumento di un’autentica interpretazione: "La totalità del fraseggio coincide con la forma musicale".[29] Rendere chiara e coerente la forma musicale è il massimo dovere dell’esecutore e al contempo il suo obiettivo più nobile. Solo attraverso questa resa la musica comincia a parlare.

Come oggetto delle Interpretationsanalysen Adorno ha scelto composizioni che appaiono enigmatiche e offrono pochi appigli a un interprete che non sia stato opportunamente istruito. In particolare le Sechs Bagatellen di Webern e la Phantasy di Schönberg sono opere che, pur nella diversità della tecnica, riflettono una problematica fondamentale per il Novecento: le categorie della composizione motivico-tematica subiscono una trasformazione tale che diventano irriconoscibili in superficie, pur continuando ad agire nel profondo come princìpi della dinamica formale. Non è un caso che nella conferenza sui problemi dell’analisi Adorno abbia fatto riferimento proprio a queste due opere come esempi di tecniche che deviano radicalmente dalle norme formali e in un modo obliquo le rigenerano, creando una coerenza e un equilibrio di forze di nuova qualità.[30] Questo procedimento sta in stretta relazione con l’esigenza di una "teoria materiale delle forme" che Adorno aveva posto nel libro su Mahler nel 1960.[31] Una siffatta teoria avrebbe dovuto prendere il posto della Formenlehre tradizionale che opera con schemi archetipici e non tiene conto della continua evoluzione del materiale. Adorno rileva che nelle Sinfonie di Mahler vi sono delle categorie formali del tutto nuove – Durchbruch (sfondamento), Suspension (sospensione), Erfüllung (adempimento) e Einsturz (crollo) – che coesistono accanto ai modelli tradizionali (forma sonata, forma tripartita del tempo lento, rondò, ciclo di variazioni ecc.). Queste nuove categorie non sono riconducibili a funzioni formali paragonabili a presentazione, contrasto, sviluppo, transizione e ripresa; la loro funzione si definisce nel contesto particolare in cui di volta in volta si trovano. Il rapporto tra forma e carattere, così fondamentale per la musica strumentale classico-romantica, viene modificato: gli schemi formali, che nella musica precedente venivano impiegati ai fini dell’organizzazione interna del tempo musicale, non fungono più da veicoli per trasportare i caratteri; qui i caratteri sono talmente specifici da essere costretti a produrre essi stessi categorie formali che siano in grado di veicolarli.

La problematica formale si radicalizza in opere come la Phantasy di Schönberg. La scelta del genere – su cui peraltro il compositore si era soffermato nel capitolo dedicato alle "cosiddette forme libere" di Funzioni strutturali dell’armonia[32] – è in stretta relazione con il progetto di costruire un nuovo tipo di forma che sia al contempo vincolante e libero, rigido e sciolto. L’analisi di Adorno si propone di scoprire la "latente struttura formale"[33] che sta dietro al succedersi quasi rapsodico degli eventi. Nella figura 1 fornisco una mia rappresentazione grafica della ricostruzione formale di Adorno; le ho sottoposto la tavola delle regioni elaborata da David Lewin[34] allo scopo di mettere in evidenza un altro livello strutturale, che coincide in parte con l’architettura formale descritta da Adorno. L’articolo di Lewin rappresenta il primo importante contributo per comprendere la disposizione e il concatenamento delle forme seriali della Phantasy. Malgrado l’autore avverta di non volere proporre un’analisi esaustiva dell’opera, il confronto tra l’organizzazione delle regioni e l’articolazione formale mi sembra essere il naturale sviluppo del suo lavoro; è peraltro un’operazione in piena consonanza con i procedimenti analitici dello Schönberg teorico, che non mancava di sottolineare che la disposizione delle regioni armoniche di un pezzo tonale è un fenomeno concomitante alle funzioni formali. Nelle figure 2 e 3 si possono confrontare gli schemi formali di René Leibowitz e Josef Rufer[35]; si noterà che i criteri analitici della Scuola di Schönberg, se applicati alle opere del maestro, possono dare luogo a interpretazioni non sempre convergenti. Concentrerò l’attenzione su quella che da tutti gli analisti viene considerata come la prima sezione (batt. 1-33). Voglio innanzitutto mostrare a quali esiti può condurre un'analisi improntata ai princìpi della tradizionale Formenlehre e poi saggiare, sulla base di un ascolto dell’esecuzione che Kolisch e Steuermann fecero a Darmstadt nel 1954,[36] quali ripercussioni questo metodo analitico possa avere sulla prassi esecutiva.

   

     File MP3

Ascolto dell’esecuzione di Kolisch e Steuermann
(battute 1-6_7-9 – file MP3 [dimensioni 328 KB])

 


   

Figura 1

Theodor W. Adorno, Analisi della Phantasy op. 47 di Schönberg,

cfr. nota 34.

   

Figura 2

René Leibowitz, Analisi formale della Phantasy op. 47 di Schönberg,

cfr. nota 35.

   

Figura 3

a) Josef Rufer, Analisi formale della Phantasy op. 47 di Schönberg,

cfr. nota 35.

 

b)  Josef Rufer, Analisi motivica e seriale delle battute 1-6,

cfr. nota 35.

   

Figura 4

René Leibowitz, Traité de la composition avec douze sons, facsimile dell'originale inedito (per gentile concessione della Fondazione "Paul Sacher" di Basilea)

Per precisare terminologicamente il distanziamento dalle forme tradizionali, Adorno impiega il termine "intonazione"[37] che Bartók aveva presumibilmente introdotto per descrivere un preludiare simile a quello con cui si aprono certe canzoni popolari. Nel contesto della Phantasy, esso allude al fatto che la sostanza tematica non viene presentata dal violino in un unico getto e incapsulata in una struttura rigorosa, bensì si dispiega in quattro decorsi ripercorrendo le modalità con cui un improvvisatore cerca di fissare un tema. D'altro canto i termini Vordersatz e Nachsatz (antecedente e conseguente), che Adorno chiama in causa per definire la prima "intonazione", rimandano alla forma del periodo. Anche Rufer e Leibowitz individuano nelle batt. 1-6 una struttura tematica. Rufer non parla esplicitamente di periodo, come Leibowitz; tuttavia lo schema ritmico che egli colloca sopra la parte del violino (figura 3b) evidenzia i rapporti di corrispondenza tra le due metà. Invece nel Traité de la composition avec douze sons, il cui obiettivo è mostrare come le unità sintattiche delle tradizione vengano riformulate sulla base della dodecafonia, Leibowitz si sofferma sulle funzioni formali a diversi livelli (figura 4). La proposizione di batt. 1-2/1 è costituita dall'esacordo originale nel violino e dal suo complemento inversionale nel pianoforte; ad essa segue il contrasto (batt. 2-4/1), che si distingue dall'unità precedente per l'impiego di nuove figure ritmiche e il capovolgimento delle relazioni seriali. Il conseguente (batt. 4/2-6) ripresenta le due unità in forma condensata; in particolare il motivo del contrasto è appena accennato, peraltro in una forma piuttosto lontana dall’originale (NB1 e NB2). Leibowitz individua dunque le tipiche caratteristiche del periodo: 1. forte cesura in batt. 3-4 dovuta alla ripetizione di La-Sol e alla comparsa delle terzine nell'accompagnamento; 2. variazione della proposizione iniziale all'inizio del conseguente mediante prolungamento della nota ribattuta; 3. trasformazione del motivo di contrasto; 4. funzione cadenzale delle semicrome di accompagnamento (NB3).

Mi sono soffermato sull'analisi di Leibowitz, in quanto essa sembra essere molto più aderente all'esecuzione di Darmstadt che non quella di Adorno. Per illustrare questo fatto, bisogna prendere in considerazione la macroforma e riflettere sui diversi modi con cui Adorno e Leibowitz intendono i suoi rapporti interni. Questo passaggio dal particolare al generale è saliente per la tradizionale teoria delle forme e presumibilmente anche quella "materiale" prospettata da Adorno; infatti il suo obiettivo primario è quello di stabilire le relazioni tra parti e tutto e delle parti tra di loro.[38] Solo un'analisi soddisfacente sotto questo profilo può costituire la solida base di un'interpretazione paralinguistica del pezzo, il cui compito è proprio quello di articolare in modo sensato, sintatticamente corretto, le varie componenti del discorso. Per Leibowitz la sezione che stiamo esaminando è un vero e proprio tema; in quanto tale, egli lo include nella parte del trattato che è dedicata alle "Structures expositionelles principales", specificamente nel capitolo "Structures closes", termine che corrisponde a quello che Schönberg chiamava "feste Formung" ovvero "stable formation" [strutturazione rigida]. Invece per Adorno è un'intonazione di tipo improvvisativo che contiene però tracce delle tipiche strutture tematiche. I consigli che egli dà agli interpreti per quanto concerne i dettagli (la sottolineatura della ripetizione del primo suono come "mezzo di aggluttinamento motivico",[39] l'attenzione per il gruppo di terzine al pianoforte, il monito di non eccedere con il ritardando) non sono fuorvianti; è piuttosto la direzione generale dell'analisi a generare perplessità. Insistendo sugli elementi di differenziazione delle quattro intonazioni e sui loro caratteri individuali, Adorno induce gli esecutori a una realizzazione aforistica dell'intera prima sezione. Nell’economia formale dell’intero brano essa svolgerebbe la funzione di un’"introduzione con carattere di recitativo", rispetto alla quale l'Adagio rappresenta il principio della strutturazione rigida ("un consolidamento").[40]

L’idea della Fantasia – di una forma libera in cui si susseguono episodi diversi per carattere e dimensione – è per Adorno un punto fermo che non va messo in discussione: tale principio introduce la discontinuità e costituisce un dispositivo frenante rispetto alla variazione in sviluppo. Invece Leibowitz individua una forma globale ben precisa, che ha una propria storia: la "forma a doppia funzione", il cui modello è rappresentato dalla Sonata per pianoforte di Liszt. Schönberg vi aveva già fatto ricorso nella fase tardo-tonale ed espressionista; tuttavia, a questo punto dello sviluppo della sua tecnica compositiva, essa assume un senso diverso; la dodecafonia contiene infatti l'idea della massima diversificazione delle configurazioni topiche, le quali sono comunque sempre riconducibili all’entità unificatrice: la serie fondamentale. Se questa dimensione deve avere ripercussioni a livello formale, ciò non può che avvenire mediante la composizione di idee contrastanti che si concatenano formando una totalità organica, sebbene difforme rispetto agli schemi formali del linguaggio tonale. Questa tendenza è dominante, secondo Leibowitz, in Schönberg a partire dal Concerto per pianoforte op. 42. La "forma a doppia funzione" è dunque lo schema più collaudato che permette di rappresentare questo nuovo tipo di unità e al contempo di evidenziare i doppi sensi di certe componenti sintattiche. Il caso del segmento di batt. 1-6 non pone però, per Leibowitz, tali problemi in quanto è un tema tout court. Ad esso seguono una serie di liquidazioni in cui il materiale tematico è frammentato e neutralizzato; la transizione, che si vale prevalentemente di un motivo di semibiscrome, sfocia in una ripresa contratta del tema che ha la funzione di "chiudere a metà" la prima parte della Phantasy.

I rapporti tra una serie di intonazioni a carattere di recitativo e quelli tra tema e liquidazione appartengono compositivamente a due ordini diversi. Adorno e Leibowitz aderivano entrambi all'idea che l'esecuzione non può essere altro che la "autentica riproduzione delle Gestalten e dei caratteri musicali";[41] entrambi erano convinti che il pieno riconoscimento delle Gestalten può avvenire solo mediante un'indagine sui rapporti funzionali intercorrenti tra le sezioni formali. Gli interpreti che seguono Adorno dovrebbero dunque suonare questa sezione in modo diverso da coloro che aderiscono all'analisi di Leibowitz. L'esecuzione di Kolisch e Steuermann, che avvenne nel quadro dei seminari con Adorno, sembra paradossalmente seguire l'analisi di Leibowitz. La situazione mostra tratti ancora più paradossali, se si tiene conto degli appunti che Kolisch redasse in vista di una lezione-concerto nell'ambito della Summer School of Music in Dartington Hall nel 1965 (figura 5). Regina Busch ha rimarcato l'influenza dell'analisi di Adorno sia nell'articolazione formale sia nella concezione generale.[42] Essa emerge in affermazioni come: "Title deliberately chosen: Fantasy style/ free Form but not unorganized/ Structurally oriented more on baroque examples than classical / avoids any sonatalike developpment " e più avanti: "Rather progressive a-thematic". Leopold Spinner, l’allievo di Webern che era presente al concerto, notò uno iato tra interpretazione critica e performativa che comunicò al violinista con queste parole: "I enjoyed your recital of Schönberg's Fantasy so much [...], but how could you speak of this piece as athematic, you of all!".

   

Figura 5

Rudolf Kolisch, Note per una lezione concerto (1965), facsimile pubblicato in REGINA BUSCH, Thematisch oder athematisch?,

cfr. nota 42.

   

Lo sdoppiamento tra una concezione delle strutture fondamentali, rispetto alla quale tutti gli indizi parlano di una piena adesione di Kolisch all'analisi di Adorno, e una realizzazione sonora che rimane fedele all'ideale dello stile tematico sembra avvalorare il punto di vista più recente che riabilita il ruolo dell'intuizione nel processo interpretativo. Il campo di oscillazione non è ampissimo, perché in fondo sia Adorno che Leibowitz intendono spiegare come Schönberg, a partire dalla critica alle forme tradizionali abbia ideato una nuova concezione formale in cui le norme fondamentali del linguaggio musicale vivono una sorta di rigenerazione. L’esecuzione di Kolisch e Steuermann manifesta comunque uno scarto tra analisi delle strutture e loro rappresentazione sonora che non può in alcun modo essere ricondotto a ciò che Adorno chiamava "dimensione idiomatica". Un fattore determinante nell'analisi di Leibowitz è che egli abbia cercato una corrispondenza tra le funzioni formali e "funzioni seriali", cioè le relazioni di parentela tra le trasposizioni e le inversioni. Mettendo in relazione la planimetria seriale e le sezioni formali, si apre la prospettiva su una dimensione strutturale superiore. Quanto di questo possa essere esplicitato in sede di esecuzione, è una questione che difficilmente potrà trovare una risposta definitiva. E’ evidente però che il dibattito sui rapporti tra analisi ed esecuzione nella musica del Novecento assume connotati diversi a seconda del mutare del concetto di struttura.

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Note al testo

[1] Cfr. Theodor W. Adorno, Zu einer Theorie der musikalischen Reproduktion, hrsg. von Henri Lonitz, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2001.

[2] Cfr. Theodor W. Adorno, Zum Problem der Reproduktion [1925], in Id., Gesammelte Schriften 19, hrsg. von Rolf Tiedemann, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1984, pp. 440-444.

[3] Cfr. Arnold Schönberg, For a Treatise on Performance, in Id. Style and Idea, ed. by Leonard Stein, London & Boston, Faber & Faber, 1984, pp. 319-320. Cfr. anche Hermann Danuser, La teoria dell’interpretazione musicale di Schönberg, in Schönberg, a cura di Gianmario Borio, Bologna, Il Mulino, pp. 201-210.

[4] Cfr. Theodor W. Adorno, Zur gesellschaftlichen Lage der Musik [1932], in Id., Gesammelte Schriften 19, cit., pp. 729-777.

[5] Ibidem, p. 755.

[6] Cfr. Theodor W. Adorno, Il fido maestro sostituto. Studi sulla comunicazione della musica, introduzione e traduzione di Giacomo Manzoni, Torino, Einaudi (Reprints), 1975, pp. 109-240.

[7] Cfr. Adolf Bernhard Marx, Anleitung zum Vortrag Beethovenscher Klavierwerke, nach der Originalausgabe von 1863 neu herausgegeben von Eugen Schmitz, Regensburg, Gustav Bosse Verlag, 1912; Heinrich Schenker, Erläuterungsausgaben der letzten fünf Sonaten Beethovens, Wien, Universal edition, 1913-1920.

[8] Cfr. Hermann Danuser, Musikalische Interpretation (Neues Handbuch der Musikwissenschaft); e Id., Grundtypen der Interpretationsanalyse, in Neue Musik und Interpretation, hrsg. von Hermann Danuser und Siegfried Mauser, Mainz, Schott, 1994, pp. 23-30.

[9] Cfr. Adorno, Zu einer Theorie der musikalischen Reproduktion, cit., pp. 194-195. Cfr. anche Id., Musica moderna, interpretazione e pubblico, in Id., Dissonanze, Milano, Feltrinelli, 1974, pp. 189-202.

[10] Cfr. Theodor W. Adorno, Invecchiamento della Nuova Musica, in Id., Dissonanze, cit., pp. 157-186. Le lezioni su Schönberg non sono state redatte in forma scritta bensì improvvisate sulla base di pochi appunti (esse sono state però registrate su nastro magnetico; le bobine sono conservate presso l’archivio dell’Internationales Musikinstitut Darmstadt). Colgo l’occasione per ringraziare i responsabili di questo archivio, della Fondazione Paul Sacher di Basilea, del Theodor W. Adorno Archiv di Francoforte sul Meno e della Kolisch Collection della Houghton Library (Harvard) per avermi messo a disposizione documentazioni e materiali.

[11] Cfr. Theodor W. Adorno - Rudolf Kolisch, Interpretation und neue Musik, Hessischer Rundfunk, 24 novembre 1954 (una registrazione è conservata presso il Theodor W. Adorno Archiv).

[12] Cfr. Adorno, Zu einer Theorie der musikalischen Reproduktion, cit., pp. 120, 147, 159 e specialmente 263-264.

[13] Ibidem, p. 120.

[14] Theodor W. Adorno, Zum Problem der musikalischen Analyse, in Frankfurter Adorno Blätter VII, hrsg. v. Rolf Tiedemann, München, Edition text+kritik, 2001, pp. 73-89: 76; di questa conferenza esiste anche una traduzione inglese: On the Problem of Musical Analysis [1969], introduced and translated by Max Paddison, «Music Analysis» 1/2, 1982, pp. 169-187: 173. Il riferimento a Schenker in Il fido maestro sostituto si trova a p. 273 dell’edizione citata.

[15]  Adorno, Zu einer Theorie der musikalischen Reproduktion, cit., p. 9.

[16] Ibidem, p. 125.

[17] Cfr. Hans Swarowsky, Wahrung der Gestalt. Schriften über Werk und Wiedergabe, Stil und Interpretation in der Musik, hrsg. von Manfred Huss, Wien, Universal Edition, 1979, pp. 15, 29-37 e 231.

[18] Erwin Stein, Form and Performance, with a forward by Benjamin Britten, New York, Limelight Editions, 1989, p. 69. Stein ha lavorato a questo libro, che è rimasto incompiuto, nei suoi ultimi anni di vita (fino al 1958).

[19] René Leibowitz, Le compositeur et son double. Essays sur l’interprétation musicale, Paris, Gallimard 1971, p. 28. Cfr. anche René Leibowitz - Rudolf Kolisch, Aufführungsprobleme im Violinkonzert von Beethoven, «Musica» 33/2, 1979, pp. 148-155.

[20] Cfr. Edward T. Cone, Musical Form and Musical Performance, New York, 1968. EUGENE  NARMOUR, On the Relationship of Analytical Theory to Performance and Interpretation, in Explorations in Music, the Arts, and Ideas: Essays in Honor of Leonard B. Meyer, ed. by Eugene Narmour and Ruth A. Solie, Stuyvesant (New York), Pendragon Press, 1988, pp. 317-340; WALLACE BERRY, Musical Structure and Performance, New Haven, Yale University Press, 1989.

[21] Heinrich Schenker, The Art of Performance, ed. by Heribert Esser, translated by Irene Schreier Scott, Oxford, Oxford University Press, 2000.

[22] Tim Howell, Analysis and Performance: The Search for a Middleground, in Companion to Contemporary Musical Thought, II, ed. by John Paynter, Tim Howell, Richard Orton and Peter Seymour, London - New York, Routledge, 1992, p. 698.

[23] Cfr. Nicholas Cook, Analysing Performance and Performing Analysis, in Rethinking Music, ed. by Nicholas Cook and Mark Everist, Oxford - New York, Oxford University Press, 1999, pp. 239-261.

[24] Adorno, Zu einer Theorie der musikalischen Reproduktion, cit., p. 72.

[25] Ibidem, p. 195.

[26] Cfr. Jerrold Levinson, Performative vs. Critical Interpretation of Music, in The Interpretation of Music: Philosophical Essays, Oxford University Press, Oxford/New York 1993, pp. 33-60.

[27] Cfr., ADORNO, Zu einer Theorie der musikalischen Reproduktion, cit., pp. 147, 159-161, 171 e 195-196.

[28] Ibidem, p. 272.

[29] Ibidem, p. 144.

[30] Cfr. Adorno, Zum Problem der musikalischen Analyse, cit., pp. 84-85.

[31] Cfr. Theodor W. Adorno, Wagner.Mahler, Torino, Einaudi (Reprints), 1975, p. 177.

[32] Cfr. Arnold Schönberg, Funzioni strutturali dell’armonia, Milano, Il Saggiatore, 1975, pp. 245-253.

[33] Adorno, Il fido maestro sostituto, cit., p. 183.

[34] Cfr. David Lewin, A Study of Hexachord Levels in Schönberg´s Violin Fantasy [1968], in Perspectives on Schönberg and Stravinsky, ed. by Benjamin Boretz and Edward T. Cone, Westport Conn, Greenwood Press, 1983, pp. 78-92.

[35] Cfr. René Leibowitz, Traité de la composition avec douze Sons, dattiloscritto datato 1950, conservato presso la Fondazione Paul Sacher, in particolare pp. 33-34 e 100-101; Id., Schönberg, Paris, Seuil, 1969, pp. 157-158; Josef Rufer, Die Komposition mit zwölf Tönen, Max Hesses Verlag, Berlin/Wunsiedel 1952, traduzione italiana di Laura Dallapiccola, Teoria della composizione dodecafonica, Milano, Il Saggiatore, 1962, pp. 188-193, 206-209 e tavole  XVIII–XX. Sulle differenze di approccio tra Leibowitz e Rufer cfr. Gianmario Borio, Zwölftontechnik und Formenlehre. Die Abhandlungen von René Leibowitz und Josef Rufer, in Arnold Schönberg (1874-1951): Autorschaft als historische Konstruktion: Vorgänger, Zeitgenossen, Nachfolger und Interpreten, hrsg. von Andreas Meyer und Ullrich Scheideler, Stuttgart, Metzler, 2001, pp. 287-321.

[36] Cfr., Phantasy for Violin and Piano Accompaniment, op. 47: Rudolf Kolisch, violin; Eduard Steuermann, piano. Summer Courses for New Music, Darmstadt, August, 15th 1954 (WWE 1CD 31894, col legno, München).

[37] Adorno, Il fido maestro sostituto, cit., p. 183.

[38] Cfr. Gianmario Borio, La concezione dialettica della forma musicale da Adolf Bernhard Marx a Erwin Ratz. Abbozzo di un decorso storico, in Pensieri per un maestro. Studi in onore di Pierluigi Petrobelli, a cura di Stefano La Via e Roger Parker, Torino, EDT, 2002, pp. 361-386.

[39] Adorno, Il fido maestro sostituto, cit., p. 187 (ho rettificato qui la traduzione “mezzo tematico di cementazione”; Adorno usa “motivisches Bindemittel” in piena consapevolezza della differenza tra motivo e tema).

[40] Ibidem, p. 205.

[41] René Leibowitz – Rudolf Kolisch, Aufführungsprobleme im Violinkonzert von Beethoven, «Musica» 33/2, 1979, p. 149.

[42] Cfr. Regina Busch, Thematisch oder athematisch?, in Mitteilungen der Internationalen Schönberg-Gesellschaft, III-IV, 1989, pp. 5-9 (il facsimile riprodotto nella figura 5 è pubblicato a p. 8).

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