Recensione di Mila De Santis :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

 

Contributo di Recensione a cura di Mila De Santis

 

 

Luigi Rognoni e Alfredo Casella. Il carteggio (1934-1946) e gli scritti di Rognoni su Casella (1935-1958), a cura di Pietro Misuraca, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2005

 

 

Con questa pubblicazione arriva a un primo, concreto approdo il lavoro di ordinamento, catalogazione e studio condotto da Pietro Misuraca sulle migliaia di documenti che costituiscono l’Archivio di Luigi Rognoni. Per volontà degli eredi, questo si conserva oggi presso «Aglaia» il Dipartimento di Studi greci, latini e musicali dell’Università di Palermo, in cui – come ricorda Amalia Collisani nella Prefazione – è confluito l’Istituto di Storia della musica che Rognoni stesso aveva fondato, nel 1957, e diretto fino al 1970.

Il carteggio superstite consta di 65 pezzi, irregolarmente distribuiti (ovvero, per oltre la metà concentrati nel solo biennio iniziale 1934-’35) lungo gli ultimi dodici anni di vita del compositore. Solo 7 delle 28 missive di Rognoni sono state conservate dal destinatario, e sono reperibili nel Fondo Casella, presso la Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Per gli altri, il curatore si è potuto fortunatamente avvalere delle copie trattenute dal mittente.

Fa seguito a quella del carteggio la pubblicazione di nove contributi dedicati da Rognoni alla figura e all’opera di Casella (Alfredo Casella e il provinciale, 1935; Alfredo Casella, 1936; Un libro di Casella [sul Pianoforte], 1938; Danze veneziane antiche e moderna musica da camera [sulla Sonata a tre op. 62], 1938; Lettera da Milano. La stagione di opere contemporanee alla Scala [sulla ripresa della Donna serpente], 1942; Casella critico, 1943; In morte di Alfredo Casella, 1947; Omaggio ad Alfredo Casella, 1955; L’esperienza musicale di Alfredo Casella, 1958): utilissimi, questi, sia per meglio comprendere alcuni passaggi della corrispondenza, sia, soprattutto, per garantire la profondità e la ricchezza di sfaccettature necessarie alla ricostruzione del peculiare rapporto che legò i due interlocutori. Si aggiunga che due contributi – Casella critico e Omaggio ad Alfredo Casella – erano rimasti finora inediti. Sulle ragioni della mancata pubblicazione del primo, concepito per il numero unico della «Rassegna musicale» curato da Guido M. Gatti e Fedele D’Amico nel 1943, in occasione dei sessant’anni del compositore, fa luce lo scambio epistolare intercorso tra D’Amico e Rognoni fra l’aprile e il maggio di quello stesso anno, che il curatore destina a un’opportuna appendice. Vi torneremo.

Tra le tante opzioni possibili – se ne può avere idea grazie alla dettagliata descrizione dell’Archivio che lo stesso Misuraca aveva presentato in altra sede (cfr. ‘Nel ginepraio del mio archivio’. Documenti di Luigi Rognoni a Palermo, «Rivista italiana di musicologia», XXXVIII, 2003, n. 1, pp. 139-153) –, quella di partire dal carteggio con Casella non era affatto la più ovvia. E non perché si tratti di un corpus di estensione relativamente limitata e di ambito temporale più circoscritto rispetto ad altri conservati nell’Archivio, o rispetto alle imponenti raccolte epistolari che hanno arricchito nell’ultimo decennio il panorama editoriale dedicato al primo Novecento musicale italiano (cfr. Il carteggio tra Gabriele D’Annunzio e Gian Francesco Malipiero, a cura di Chiara Bianchi, Firenze, Olschki, 1997; Gian Francesco Malipiero, Il carteggio con Guido M. Gatti 1914-1972, a cura di Cecilia Palandri, ivi, 1997; Stefano Parise, Giorgio Federico Ghedini, L’uomo, le opere attraverso le lettere, Roma-Milano, Accademia di Santa Cecilia-Ricordi, 2003; Luigi Dallapiccola-Massimo Mila, Tempus aedificandi. Carteggio 1933-1975, a cura di Livio Aragona, ivi, 2005). La questione è un’altra.

Chi abbia avuto modo di frequentare l’epistolario di Casella, anche solo attraverso i numerosi excerpta apparsi a partire dal 1958 (si vedano le lettere a Malipiero e a Collaer sul primo numero dell’«Approdo musicale», rispettivamente alle pp. 20-56 e 61-65), o i contributi critici che se ne sono occupati direttamente (cfr. Mila De Santis, Per un epistolario. I carteggi del Fondo Casella, in Francesca Romana Conti, Anna Rita Colajanni, Mila De Santis, Luisa Mazzone, Catalogo critico del fondo Alfredo Casella, Firenze, Olschki, 1992, I, pp. 3-47) o che se ne sono comunque avvalsi, sa che il compositore torinese attribuì a quel tipo di comunicazione, anche quando destinata ad amici, o ai colleghi e discepoli più stimati, una funzione eminentemente pratica, di rapida ed essenziale trasmissione di dati. Raramente vi consegnò lo sfogo estemporaneo o la dichiarazione confidenziale; quasi mai analisi di lavori propri o altrui, per non dire di più meditati frutti di un articolato pensiero critico. A ragion veduta Fiamma Nicolodi poteva ipotizzare anni or sono, a proposito di lettere di Casella a Stravinskij depositate presso la Bibliothèque Nationale e non ancora disponibili per la consultazione, che «non debba trattarsi di lettere particolarmente interessanti o significative, dato il carattere del musicista indirizzato piuttosto verso una risoluzione pratica di problemi organizzativi o esecutivi che verso pause riflessive o di enunciazioni teoriche» (Casella e la musica di Stravinsky in Italia. Contributo a un’indagine sul neoclassicismo, «Chigiana», XXIX-XXX, n.s., 1975, 9-10, pp. 41-67: 51n.).

La scelta si è rivelata in tutti i casi opportuna, per le ragioni che bene emergono dal denso saggio introduttivo, «Carissimo Maestro…» in cui Misuraca – muovendosi con disinvoltura tra molta altra documentazione inedita presente nell’Archivio e altra ancora proveniente dalla ricordata Fondazione Cini, nonché avvalendosi di un’accurata ricognizione bibliografica – analizza puntualmente il carteggio nel suo diacronico dipanarsi e ne valorizza i principali snodi tematici sullo sfondo degli avvenimenti di politica culturale interni ed internazionali.

Rognoni rivendicò con orgoglio l’essere stato allievo di Casella, l’aver cioè attinto – come si legge nel testo della conversazione radiofonica L’insegnamento di Alfredo Casella, poi interamente confluito nel già ricordato Omaggio ad Alfredo Casella, p. 170 – «all’insegnamento e all’incitamento della sua personalità di musicista e di didatta». Non sarebbe forse giunta qui inopportuna, da parte del curatore, qualche delucidazione sulla liceità di intendere tali dichiarazioni in senso tecnico. Al riparo dei fuochi della battaglia polemica, in un numero imprecisabile di incontri, Casella ebbe certo modo di trasmettere al giovane critico la complessità del suo universo musicale e del suo modo di viverlo – fatto, come Rognoni stesso ricorda a distanza di anni, di «quasi timida intimità» e di «profonda riflessione interiore» – e soprattutto di superare l’«aridità del ragionamento teorico» con la lettura diretta delle partiture e la loro ‘spiegazione’ attraverso quella stupefacente ricchezza esemplificativa che una conoscenza quasi enciclopedica della letteratura musicale e una memoria prodigiosa gli consentivano (ibid.).

Ma a chi lo aveva timorosamente avvicinato per la prima volta quando era ancora studente liceale (l’occasione, si aggiunga qui per inciso alle tante informazioni che arricchiscono l’introduzione e l’apparato di commento ai testi, potrebbe essere stata offerta dal concerto diretto da Casella il 13 aprile 1931 alla Sala del Conservatorio di Milano), e appena ventenne aveva pubblicato il primo articolo su un tema ben caselliano quale Il problema dell’opera verista («La cultura e il libro», I, 11 novembre 1933), il Maestro offriva innanzi tutto un modello di militanza sul fronte del Novecento musicale europeo unico per la sua generazione in Italia, ideale e operativo insieme: un esempio di polimorfo e instancabile attivismo posto al servizio della «necessità di una coscienza intellettuale dei problemi dell’arte e della cultura» (lettera di Rognoni a D’Amico, 16 maggio 1943, p. 165).

Come emerge fin dalle prime battute del carteggio, a una generazione esatta di distanza il critico si poneva dunque nel solco ideale del compositore, condividendone i molti terreni di impegno (e, tra questi, anche le questioni dell’educazione musicale nelle scuole, della pulizia delle cariche istituzionali dalle ingerenze politiche, del compito della critica musicale, del ruolo del pubblico ecc.). Da Casella, Rognoni pare del resto mutuare la stessa disposizione all’azione, che si traduce in una frenetica attività organizzativa e pubblicistica (continue, nel carteggio, le reciproche richieste di collaborazione), nonostante gli ostacoli che gli derivarono dal rapido bruciarsi di molte di queste intraprese e dalle pressanti necessità di procurarsi comunque fonti di sostentamento. «Camminare», il quindicinale diretto da Alberto Mondadori, con Anceschi e Cantoni nel comitato direttivo, fu infatti soppresso alla metà del 1934, pochi mesi dopo che Rognoni aveva cominciato a collaborarvi; il «Bollettino mensile di vita e cultura musicale», coraggioso tentativo attuato dallo stesso Rognoni di trasformare il vecchio strumento di informazione commerciale dell’Ufficio Concerti Moltrasio e Luzzatto in organo di critica musicale militante, riuscì a sopravvivere solo dal gennaio all’ottobre 1935 (sia pur gloriosamente: fruì dell’apporto di Fernando Ballo, Antonio Capri, Gianandrea Gavazzeni, e vi scrissero anche Mila, Dallapiccola e lo stesso Casella). Dalla terza pagina dell’«Ambrosiano» – questo il sacrificio certo più oneroso – Rognoni sarebbe stato allontanato nel settembre 1938. A ciò si aggiungano, nella seconda parte dell’arco temporale considerato, le oggettive restrizioni di campo successive all’Anschluss, alle leggi razziali, allo scoppio della guerra. Saltò ad esempio, come informa l’introduzione (pp. 44-45), un concerto milanese che Peter Stadlen avrebbe dovuto interamente dedicare all’amato Schoenberg e alla sua Scuola nell’aprile 1938, organizzato da Rognoni e da Ballo sull’onda dell’entusiasmo per l’audizione della Suite op. 29 alla Biennale veneziana dell’anno precedente (diretta, come si ricorderà, proprio da Casella) e in vista del quale Rognoni, coadiuvato dal giovanissimo Arturo Benedetti-Michelangeli, aveva tenuto in febbraio alla Società dei Concerti di Brescia una lezione-concerto su «Schoenberg e l’espressionismo tedesco».

«I giovani italiani che veramente lavorano e producono le sono vicino ogni giorno sempre più e solo verso di lei rivolgono ogni speranza, auspicando tempi migliori» scrive Rognoni l’8 luglio 1935, dopo aver ottenuto da Casella l’autorizzazione a ripubblicare sul «Bollettino» di giugno – a mo’ di introduzione ai battaglieri contributi di Gavazzeni Anceschi De Grada e dello stesso Rognoni – il sempre efficace Ritratto di un musicista reazionario (1922). E ancora: «È necessario formare un gruppo compatto che abbia idee chiare in testa e che sappia dove vuole arrivare. E per questo vorremmo che lei ci fosse maggiormente vicino e che ci guidasse, quando ci sentiamo poco sicuri ed incerti» (lettera n. 26, pp. 98-99).

Ma sullo scorcio di quel medesimo 1935 si misurano senza sconti anche le reciproche distanze, che nulla hanno a che vedere con la sfera dei rapporti personali, ma neppure si limitano a un asettico confronto tra posizioni estetiche diverse. Si palesa qui, piuttosto, un drammatico conflitto generazionale, allorché il modello paterno appare complessivamente insufficiente, se non per certi aspetti addirittura fuorviante, per una efficace lettura del presente e una reale possibilità di incidervi. A far cadere le ultime reticenze alla confessione del disagio – che contava già più di un anno, gli inizi coincidendo con l’introduzione della controversa formula del ‘ritorno alla normalità’ (cfr. A. Casella, Ritorno alla normalità musicale, «L’Italia letteraria», IX, 47, 19 novembre 1933) – è la risentita reazione di Casella alla qualifica di ‘epigono stravinskiano’, attribuitagli pressoché contemporaneamente da Ballo e da Rognoni (rispettivamente in Esperienze della musica moderna, «La rassegna musicale», VIII, 4, luglio-agosto 1935, p. 274, e in L’estetica di Stravinsky, «Bollettino mensile di vita e cultura musicale», IX, 9, settembre 1935, p. 202). Non senza ragioni, dal suo punto di vista, e al di là della sottesa rivendicazione di primati personali e nazionali, Casella protestava ancora una volta l’autonomia del proprio percorso rispetto ai traguardi estetici dell’ammirato collega russo (lettera n. 35, 16 ottobre 1935).

Diverse e complementari sono le risposte dei due amici milanesi. Anche da quella, immediata, di Ballo (19 ottobre), oggi conservata presso il Fondo Casella, si sarebbero potuti trarre utili spunti di riflessione da aggiungere all’equilibrato commento che Misuraca destina a questo delicato passaggio. Il critico milanese si addentra infatti, nei limiti consentiti da una comunicazione epistolare, in una spiegazione alquanto circostanziata della definizione di «epigoni italiani di Strawinsky e di Hindemith», sotto la quale, precisa, ha raccolto anche tutti gli esponenti più in vista della generazione successiva di compositori italiani (Rieti, Rota, Petrassi, Dallapiccola) e alla quale non attribuisce un valore negativo in sé: tutti avrebbero calato nello specifico orizzonte storico italiano quella medesima ricerca linguistica e stilistica che egli vede pienamente giunta a maturazione, in quanto tale, in Francia e in Germania, e massimamente rappresentata, appunto, da Stravinskij e da Hindemith. Per Ballo, convinto assertore della necessità di un’unità del gusto europeo, il punto di dissenso non sta qui, quanto piuttosto nel corpo stesso dei risultati. Ad accomunare buona parte dei lavori ‘neoclassici’ di Stravinskij e di Casella (non invece quelli di Hindemith) in un medesimo giudizio negativo è l'opera di chirurgica selezione che entrambi vi avrebbero operato prelevando dalla tradizione solo determinati aspetti tecnici, non «la cultura totalitaria dell’arte europea», e sbarrandosi così la strada al maturare di una necessaria «coscienza del gusto», ovvero di uno stile.

Con risposta assai più meditata (12 novembre, lettera n. 36) e di più ampio respiro, Rognoni affronta invece questioni che investono complessivamente ruolo e compiti dell’artista nella società, restituendo con una lucidità che ancora impressiona lo stato di profonda sofferenza intellettuale in cui si trovarono allora a operare i giovani più politicamente e culturalmente avvertiti. Al musicista europeista per eccellenza, sprezzante di incomprensioni e isolamento, si rimprovera ora di aver spiazzato i suoi fedeli sostenitori col «dichiarare la battaglia terminata e parlare decisamente […] di un’arte nazionale o peggio, affermando ed insegnando ai giovani che l’Italia l’ha finalmente raggiunta» (p. 110).

La lettera di Rognoni resta priva di replica ma, a dispetto dell’oggettivo diradarsi della corrispondenza, non vi saranno ricadute sulla tenuta e sulla qualità dei suoi rapporti con Casella, i quali tendono anzi a una sempre maggiore, intima familiarità. Sono pienamente definiti, è vero, i contorni di un dissenso profondo rispetto alle posizioni ‘neoclassiche’ e, più ancora, rispetto ai difficili equilibri dal compositore tenacemente e ottimisticamente perseguiti (tra antico e moderno, nazionalismo e internazionalismo, rivoluzione e reazione, arte fascista e libertà di espressione ecc.), da parte di chi ha invece scelto con nettezza il campo del radicalismo viennese. Saranno altri però, nel corso degli anni Sessanta, a trasformare tale dissenso in violenta campagna detrattoria. Immutata rimarrà la stima di Casella per il suo brillante e acuto discepolo spirituale, inscalfibile la riconoscenza di Rognoni per il suo ‘maestro’.

Va semmai inquadrata come frutto di una medesima riserva mentale la difficoltà di affrontare con il distacco e la scioltezza necessari l’argomento propostogli da D’Amico per il numero monografico della «Rassegna musicale» (vi si è fatto cenno sopra), ossia per fornire, come gli si richiedeva, un quadro ragionato dei gusti musicali caselliani, ricostruendo ove possibile il tessuto connettivo delle «affermazioni spesso sbalorditivamente contraddittorie che C. ha seminato nella sua vita» (D’Amico a Rognoni, 7 maggio 1943, p. 162). E a un persistente imbarazzo di fronte a molti esiti dell’attività compositiva di Casella negli anni Trenta – gli entusiasmi suscitati dai giovanili e tormentati A notte alta e Nove pezzi (lettera n. 35, p. 110), ma anche dagli Undici pezzi infantili e dalla Sonata per violoncello op. 45 (lettera n. 24, p. 97), si raggelano infatti di fronte a Orfeo (lettera n. 27, p. 100), o al Deserto tentato (lettera di Rognoni a Louis Cortese, 8 maggio 1937, p. 42, nota 75) – andrà probabilmente attribuito il mancato compimento di uno studio monografico sull’opera del compositore che, almeno fino al 1935, il critico aveva più volte annunciato (si vedano le lettere nn. 18, 20, 27, 31).

Dovranno passare molti anni. Sarà proprio Rognoni, nel decennale della scomparsa del maestro, a farsi promotore e realizzatore di un ciclo di trasmissioni radiofoniche per il Terzo programma interamente dedicato all’opera di Casella, il cui testo confluirà nell’ampio saggio L’esperienza musicale di Alfredo Casella («L’approdo musicale», I, 1, gennaio-marzo 1958, pp. 73-94), l’ultimo degli scritti raccolti in questa edizione. Se ancora vi si ribadisce il proposito di «non entrare in un discorso valutativo» sulle posizioni di poetica neoclassica (p. 192) e vi si sottolineano per contro i contenuti ‘espressivi’ di opere giovanili quali Pagine di guerra op. 25 e Sonatina op. 28, si colgono altresì le linee di continuità che legano le atmosfere sonore del primo Casella agli ultimi approdi del Concerto op. 69 e della Missa pro pace e si invita a leggerne l'opera non separandola «dalla sua missione artistica di educatore e di animatore» (p. 179).

Per concludere, poche osservazioni di natura tecnica. Il carteggio è stato accuratamente trascritto, accogliendo, nel caso di lettere dattiloscritte, le aggiunte e le correzioni apportate a mano ed emendando i non pochi errori di battitura. In rari casi – tali da far ritenere superflua la segnalazione di questo tipo di intervento tra i criteri generali – il curatore ha anche razionalizzato la punteggiatura. Per ciò che attiene agli scritti, opportuni rinvii consentono di evitare la riproposizione di passi già altrove utilizzati, e dunque già noti al lettore; nel caso di recensioni, luoghi interamente dedicati ad opere di altri autori sono stati soppressi. Da segnalare, nell’introduzione, l’errata grafia «Catalbiano» per il nome del compositore Sebastiano Caltabiano (p. 21), che si ripercuote sull’indice dei nomi.

 

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[Bio] Mila De Santis è ricercatrice di Musicologia e Storia della Musica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Firenze, ove insegna Storia della musica moderna e contemporanea. Si è occupata di Storia della musica italiana del Sette, Otto e Novecento (in particolare di Casella, Dallapiccola, Savinio, Castelnuovo-Tedesco, Berio), di poesia per musica (in particolare in epoca rinascimentale), di questioni di prassi ecdotica, di lessicologia musicale.

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