Intervista di Stefano Aresi ad Alan Curtis :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

 

Contributo di Intervista di Stefano Aresi ad Alan Curtis, moderatore Damien Colas

 

Damien Colas

La relazione di Pietro Prosser ci permette di passare naturalmente alla seconda parte del convegno: finora abbiamo parlato un po’ di più di edizioni critiche che non di prassi esecutiva, e questo è logico, perché l’edizione critica appartiene più alle competenze del musicologo. Adesso diamo la parola ai direttori d’orchestra, e ci concentriamo sull’uso pratico di un’edizione, critica o non, e sulla scelta di tale edizione. Ma per riallacciare la discussione a quanto detto finora, vorrei riprendere tre punti che sono emersi dai nostri lavori, che mi sembrano degni di un interesse particolare:

  1. Michael Talbot ha proposto il concetto di depersonalizzazione per caratterizzare il lavoro dell’editore in quella che è ritenuta oggi una buona edizione, per opposizione a quelle degli anni Sessanta, quando l’editore interveniva in maniera sostanziale sul testo musicale.

  2. Quanto a quello che ci aspettiamo dall’esecutore, invece, Michele Calella ha ripreso la formulazione di Richard Taruskin secondo cui quello che conta per l’ascoltatore non è quello che è stato ma quello che piace. All’oggettività ideale del lavoro del curatore si oppone dunque l’approccio multiplo dei diversi esecutori, la scelta degli strumenti, il loro numero, il diapason, la funzione degli strumenti nei recitativi, il basso continuo, l’ornamentazione delle parti vocali, gli assolo strumentali, gli stacchi di tempo, per non parlare del delicato problema dei tagli e delle trasposizioni. Tutti questi parametri consentono, partendo da una stessa edizione, di esprimersi in maniera soggettiva e suggestiva.

  3. Maria Caraci Vela ci ha ricordato che edizione critica e prassi esecutiva sono «due piani nei quali le competenze non si sovrappongono, ma sono distinte».

Dunque, per meglio illustrare questi punti, abbiamo oggi il piacere di avere con noi il Maestro Alan Curtis, uno dei massimi esperti dell’opera di Händel, a cui dobbiamo numerose incisioni discografiche per la Virgin. Per intervistarlo, passo subito la parola a Stefano Aresi.

Stefano Aresi

Grazie. Mi soffermerò con le mie domande su aspetti specifici che spero possano essere occasione per aprire il discorso verso le più ampie tematiche di questo convegno. Rivolgerò quindi al M° Curtis domande relative a due registrazioni, Rodrigo (1999) e Admeto Re di Tessaglia, rimasterizzata e riedita da Virgin Veritas. Partirei da Rodrigo perché (contando anche il fatto che nella figura di Curtis abbiamo una doppia professionalità, quella del musicologo e quella del musicista) Rodrigo presenta una situazione testuale molto complessa, che viene anche esemplificata all’interno del libretto che accompagna la registrazione. In particolare mi riallaccerei alla questione dei tagli e della ratio che vi sta dietro, soprattutto per quanto riguarda i recitativi. Rodrigo presenta un problema non indifferente alla base: non si hanno attestazioni complete della partitura, ed è stato ricostruito pezzo a pezzo. In particolare: alcuni dei recitativi composti da Händel non sono sopravvissuti, e il Maestro Curtis ha proceduto ad integrarli componendoli ex-novo; a fronte di questo tuttavia, all’interno della medesima registrazione, sappiamo che per altri motivi sono stati tagliati recitativi di Händel che invece sono sopravvissuti. Volevo quindi sapere qual è la sua posizione riguardo alla questione ‘taglio dei recitativi’. È stata distribuita una fotocopia dove si riporta l’incipit dell’atto primo, scena prima: si vede come, con grandissima onestà, l’esecutore abbia messo in corsivo le parti di recitativo tagliate. Sottolineo un problema: le sezioni eliminate (che sono quelle in cui, come specificato dal Maestro Curtis, non c’è azione) danno informazioni utili all’impianto drammaturgico dell’opera. Il taglio di questi recitativi comporta, per esempio nel secondo caso indicato, corrispondente al momento della prima citazione del personaggio di Evanco, il fatto che questi arrivi in scena inaspettatamente e che il moto di rabbia che egli ha contro i suoi interlocutori venga molto sminuito, perché il taglio nasconde al pubblico un particolare truculento, vale a dire l’entrata in scena di Giuliano con un’asta su cui è infissa la testa del nemico appena ucciso. Volevo quindi sapere nel caso specifico di Rodrigo, perché lei ha optato per la ricomposizione di recitativi che non sono sopravvissuti e perché invece altri recitativi, sopravvissuti, sono stati tagliati.

Curtis

Come avevo già detto sul Giustino di Vivaldi stamattina, ci sono sempre motivi economici e suggerisco ai musicologi di tenere presente questo fatto: anche all’epoca c’erano esigenze finanziarie. Però vorrei anche dire, come uomo di oggi, che io avrei fatto volentieri tutto ciò che esiste di Händel e avrei eseguito tutto quello che rimane del testo. Difatti avevo già musicato l’intero libretto per una recita, ma per la registrazione c’era l’esigenza di fare due dischi e non tre. Io ho pensato molto, ho parlato con colleghi studiosi su cosa fare per arrivare alla durata di due dischi, se tagliare qualche aria (anche solo parti di arie) o se tagliare solo recitativi. Quasi tutti mi hanno consigliato quello che volevo sentirmi dire, cioè di fare tutte le arie complete e tagliare invece molto recitativo, anche perché, essendo Rodrigo una delle poche opere di Händel scritte per un pubblico italiano, lui all’epoca non ha dovuto tagliare, come invece ha dovuto fare più tardi a Londra con un pubblico più moderno, più internazionale, che (come oggi) aveva poca pazienza per i recitativi. Poca pazienza ma non un odio totale, come si trova a volte oggi, soprattutto da parte dei cantanti, che arrivano sempre con le arie imparate a memoria senza aver mai letto i recitativi. Per questo io comincio sempre a studiare con i cantanti partendo dai recitativi, e mi rifiuto di provare le arie finché hanno qualche incertezza sui recitativi. Per tornare alla domanda, non era possibile dare un senso all’opera tagliando così drasticamente, e ho dovuto sacrificare qualcosa: per questo ho messo il necessario per far comprendere l’intreccio all’inizio, anche se non c’era la musica di Händel; poi ho tagliato meno drasticamente anche qualche recitativo musicato da Händel. Ho deciso di comporre per l’inizio dell’opera un recitativo accompagnato perché mi sembrava più efficace e non sappiamo naturalmente (avendo solo il libretto, in cui non è indicato per i recitativi se sono accompagnati o meno) cosa Händel avrebbe fatto; ho studiato altre partiture di Händel coeve, e mi è sembrato probabile che Händel avrebbe composto un accompagnato per la scena iniziale.

Aresi

Sempre in merito a quest’opera, un’altra questione molto interessante riguarda l’atto terzo, dove nell’autografo è presente la dicitura «Segue il duetto»: il duetto però non c’è, ed è sostituito (nel testimone specifico) dall’aria di Rodrigo Qua rivolga, che ha una sua precisa funzione. Lei ha scelto di recuperare un duetto da un’altra opera (sempre di Händel) e di inserirlo in questo punto, creando una contaminazione con il Teseo. Volevo sapere i motivi che le hanno fatto scegliere quel duetto e quelli per cui lei ha ritenuto opportuno, a fronte di un’attestazione reale di un’aria che è stata sicuramente eseguita in quel contesto, seguire l’indicazione relativa al duetto.

Curtis

La risposta semplice è che ho cercato un duetto e ho trovato quello di Teseo che mi piaceva, Addio, mio caro bene; devo dire anche che dopo aver già deciso di mettere questo duetto, ho studiato meglio il constesto e mi è sembrato molto strano che Händel abbia usato quel duetto con quella situazione, dove c’è un dialogo tra un’amante finta e un amante vero. Invece la musica indica una partecipazione sincera di entrambi gli amanti, ma questa è naturalmente solo la mia impressione; si può anche dire che Händel scrive musica sincera anche nel caso di una situazione finta, dipende molto dall’interpretazione. C’è chi ha detto che «Che farò senza Euridice» avrebbe potuto essere anche «Che farò con Euridice», perché la musica è neutra; secondo me Gluck consciamente ha voluto scrivere l’aria in Do maggiore con l’intenzione di rendere un’idea di Classicismo, invece Händel è molto passionale, anche in questo duetto; aggiungo anche che la tonalità di sol minore è molto adatta per questo momento. Rimane però il problema che anche l’aria successiva è in sol minore, cosa non impossibile ma rara nelle opere di Händel; è possibile che Händel volesse inserire il duetto e togliere l’aria, non sappiamo esattamente che musica c’era alla prima di Rodrigo. Sembra anche che la meravigliosa aria di Esilena in fa minore Empio fato, e fiera sorte [II/6] non sia mai stata eseguita; è uno dei capolavori di Händel, scritto per la rappresentazione di Firenze; questa musica non è mai stata eseguita a Firenze finora. Mi rivolgo al mio collega Sardelli, dovete assolutamente eseguirla.

Aresi

Veniamo ora alla registrazione di Admeto, realizzata nel 1967, in un contesto in cui lo sviluppo della prassi esecutiva storicamente informata era chiaramente molto diverso da quello di oggi. Lei nel libretto punta molto alla questione vocale, che in quegli anni, in termini di preparazione dei cantanti, era profondamente differente ai nostri giorni. Oggi esistono i cosiddetti cantanti ‘specializzati’ che hanno comunque alle spalle una tradizione di registrazione, di scuola e di esecuzioni molto molto differente. Nel caso di Admeto, l’ultima aria di Alceste, Sì, caro, sì, rappresenta nella sua registrazione un’eccezione: mentre negli altri numeri dell’opera ha suggerito agli esecutori di inventare delle proprie variazioni ed ornamentazioni per il da capo, ha preteso che si eseguissero le fioriture che si conservano nel cosiddetto manoscritto Cook, che negli anni Sessanta era un modello noto. La domanda è questa: oggi, se lei si trovasse di fronte ad un manoscritto che attesti, rispetto ad un’aria che lei deve registrare, un atteggiamento diminutivo specifico, si comporterebbe nello stesso modo? Oppure, dato che per i cantanti esiste ormai un linguaggio sviluppato, lascerebbe loro maggior spazio e non compirebbe più la contaminazione di due testi (quello delle diminuzioni del manoscritto Cook e la partitura di Händel), come nello specifico caso? Mi spiego meglio: il manoscritto Cook attesta chiaramente una scelta esecutiva della persona che ha realizzato il manoscritto. Negli anni Sessanta questa operazione poteva avere un senso, dato che non c’erano modelli normativi; a tutt’oggi non ci sono modelli normativi, ma c’è comunque una scuola di canto che sa approcciarsi a questo repertorio in maniera più libera rispetto a quarant’anni fa. Vorrei mostrare un esempio pratico, notissimo: le diminuzioni di Corri dell’aria Dove sei amato bene? dalla Rodelinda. Corri, ricordiamo, era un insegnante di canto allievo di Porpora, e pubblicò tutta una serie di arie e canzonette indicando le diminuzioni di suo gusto, stampate in corpo minore. Se lei dovesse registrare Rodelinda, come in effetti ha fatto, terrebbe conto di tali documenti o lascerebbe maggiormente libero il cantante?

Curtis

Si deve sempre guardare le fonti e valutarle; credo che Pietro Prosser possa confermare, per esempio, che Thomas Mace non aveva grande autorità; nel caso specifico si capisce che queste erano fonti per un grande pubblico, non per specialisti, non per star del livello di un’opera di Händel. Credo che tutto dimostri (anche per il basso continuo, nell’interessante esempio di Pietro Prosser appena visto) che niente dice che dobbiamo fare esattamente così, ma è pur sempre interessante un esempio del genere. Per esempio, esiste una versione non di Händel di un’aria di Floridante; per la registrazione abbiamo tenuto delle variazioni, senza farle esattamente così. Forse l’esempio più interessante, più ricco per le variazioni, è l’ultima raccolta di sonate di Corelli, l’op. V, per cui esistono moltissime differenti versioni abbellite; qualcuno ha anche registrato esattamente così com’è scritto, cosa interessante ma che non spiega come interpretare questa situazione. Le variazioni devono essere sempre improvvisate nel senso che, anche se si scrivono o scelgono determinate cose, dev’essere una soluzione per il momento, per questo specifico cantante di oggi, non funzionano mai esattamente quando prendiamo qualcosa scritto per i cantanti dell’epoca. Io sarei di questo avviso anche per l’Orfeo di Monteverdi; dove mi sembra che gli abbellimenti siano un’indicazione, stampata come memoria di ciò che il famoso cantante Rasi ha eseguito, ma non siano necessariamente una prescrizione, un vincolo a seguire esattamente quello che è scritto.

Aresi

Un’ultima cosa riguardo a questo; vorrei sapere se quando lei esegue un’opera di Händel tiene presente quelle che erano storicamente le caratteristiche sceniche e vocali-espressive dei singoli cantanti, laddove esistano studi o comunque sia possibile tenerne conto.

Curtis

La risposta evita un po’ la domanda; io risponderei che prima di scegliere i cantanti un direttore, se ha possibilità di scegliere (cosa non sempre possibile), deve assolutamente sapere per chi l’opera venne scritta, e conoscere anche tutto il repertorio del cantante in questione. Spero che quando finalmente parleremo di Conti, venga fuori qualche informazione sui cantanti di Conti: quando io ho registrato il David di Conti, non sapevo quasi nulla di nessuno di essi tranne Borosini, che subito dopo aver cantato David è andato a Londra e cantato il ruolo di Bajazet nel Tamerlano di Händel. In questo caso sapevo qualcosa; il ruolo di Bajazet mi ha dato l’idea di chiedere a Furio Zanasi, che aveva appena cantato Bajazet a Torino, anche se secondo me era troppo acuto per lui… ma questo David era perfetto per la voce di Furio. In questo caso la storia dei cantanti mi ha aiutato a scegliere i cantanti di oggi. A settembre facciamo Tolomeo, ci sono le due famose primedonne e io sto studiando proprio adesso di nuovo il repertorio per scegliere le due interpreti per la Cuzzoni e la Bordoni; alla fine ho scelto una Faustina mezzosoprano acuto, invece per la Cuzzoni un soprano di una certa personalità.

Aresi

La ringrazio.

Colas

Grazie al Maestro Curtis e a Stefano Aresi per queste domande molto precise e molto interessanti. Introduciamo subito il dibattito, per prolungare la discussione su questi punti di prassi esecutiva.

Romagnoli

Io vorrei solo dichiararmi pubblicamente d’accordo con Alan sul discorso dell’ornamentazione già scritta, che secondo me va usata per capire il meccanismo più che per applicarla; sono perfettamente d’accordo anche su Orfeo di Monteverdi. Un dato molto importante che viene fuori dallo studio dell’ornamentazione all’epoca di Händel è che, contrariamente all’abitudine di una larga fetta di esecutori moderni, non si deve ornamentare quello che è ‘liscio’ nell’originale, ma si deve sostituire la fioritura che è già scritta. Questo è ciò che emerge dallo studio dell’ornamentazione originale; riprodurre sempre l’ornamentazione originale sarebbe un controsenso rispetto alla stessa idea di ornamentazione. Forse, se vogliamo collegare questo discorso con il discorso dell’edizione, è utile (come d’altronde già si sta facendo anche nell’edizione di Händel) proporre in appendice l’ornamentazione originale, quando ne esiste testimonianza; in modo che l’esecutore abbia dei modelli su cui riflettere.

Curtis

Non ricordo a chi l’ho detto, ma qualcuno dell’epoca diceva che si può variare solo se si può fare qualcosa di meglio dell’originale; questo non mi spaventa al punto da non fare nulla quando eseguiamo un’opera, ma io interpreto questa indicazione intendendo ‘meglio’ come qualcosa di variato, invece di ripetere una cosa. Credo che questo possa stimolare la fatica del lavoro. Sono d’accordo sul fatto che spesso uno è tentato di ornamentare, per esempio, una nota fissa, che non è bello; mi fa pensare ad una recensione molto appropriata di Andrew Porter (che scrive ancora per «Financial Times») di un Messiah in America; disse «they ornamented everything, including long vowels, making the plain places rough»; una parodia del testo del Messiah «rough places plain».

Talbot

Parlando di tagli, qual è l’approccio migliore: fare un unico grande taglio diciamo di scene consecutive, oppure fare un centinaio di piccolissimi tagli?

Curtis

Dipende molto dal contesto. Io sarei in principio contrario a tutti e due, ma in pratica non posso dire che uno è migliore dell’altro; se in un’opera c’è una grande lunga scena che è noiosa e non contribuisce per nulla all’intreccio e tagliandola non si danneggia, va bene, tagliamo questo e il resto teniamolo integro; però a volte non c’è una scena che si può tagliare, e per ridurre sono costretto a fare piccoli tagli, spesso brutti. Recentemente ho fatto un piccolo taglio e un collega mi ha fatto osservare che non c’era nemmeno la rima, poi ripensandoci ho riaperto il taglio. Ci sono diversi motivi per tagliare.

Strohm

C’è un caso storico interessante di cui non ho ancora trovato la soluzione. Avete visto prima questa pagina del Giustino di Vivaldi con le singole battute tagliate: questo tipo di taglio è molto simile visivamente a quello che accade nell’autografo della Griselda di Scarlatti, che tre anni prima era stata rappresentata allo stesso teatro, il Capranica di Roma. Nella partitura di Scarlatti ci sono almeno 150 tagli minuti, tagli di singole o anche mezze battute; Scarlatti lo fa anche in altre opere, ma mai con queste proporzioni. A me pare che a quell’epoca fosse quel teatro a non volere tagli di parole ma soltanto di battute strumentali. Forse è una specie di regola teatrale, non so.

Aresi

Io porto un caso in merito alla questione dei tagli, avendo studiato un po’ il repertorio mottettistico degli ospedali veneziani, dove sopravvivono gli autografi di Hasse e di Porpora. In molti casi ci troviamo di fronte a tagli di tal fatta, in maniera molto chiara. Nel caso specifico dei mottetti di Porpora, ho trovato una ratio di questo genere: arrivato all’esecuzione, se Porpora si accorge che dal punto di vista tonale non succede nulla e le introduzioni strumentali diventano tediose, semplicemente le taglia; se in prova verifica che la cosa materialmente non funziona, interviene. Cassa e fa cassare ai copisti (questo è interessante) anche sulle singole parti staccate. Spesso succede lo stesso anche per la scrittura delle cadenze, ma qui il corpus è minore: ci sono rimaste solo quattro cadenze scritte da Porpora per le cantanti. Sempre nello stesso ambiente, abbiamo anche altri esempi che attestano la direzione e le volontà esecutive di molti compositori: per esempio, presso la Biblioteca del Conservatorio «Benedetto Marcello» di Venezia sono conservate in libri-parte del Fondo Esposti alcune cadenze di Furlanetto scritte in modo che la cantante, a seconda dell’esecuzione, intonasse quella che più le aggradava: tali cadenze sono spesso tagliate. E sono testimoniati anche qui tagli delle parti strumentali che risultavano tediose all’atto esecutivo.

Sardelli

Una cosa del genere succede spesso anche in Vivaldi: tagli di mezze battute, non soltanto nel caso di Giustino, ma anche in tutta la musica strumentale. Si capisce che erano dovuti non tanto ad esigenze di rappresentazione, quanto ad un’idea simmetrica compositiva, a un gusto per la concisione; il taglio serve a ridurre la sovrabbondanza, la ridondanza dell’eloquio musicale.

Colas

Parleremo di Vivaldi un po’ più avanti questo pomeriggio; per il momento penso sia il caso di dare la parola al Maestro Fabio Bonizzoni.

 

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[Bio] Damien Colas Ha insegnato Storia della musica presso l’Università di Parigi-IV; dal 1995 è ricercatore del CNRS. Ha collaborato con il Centre d’Études Franco-Italiennes (Chambéry-Torino) e con l’IRPMF (Parigi). I suoi ambiti di studio riguardano principalmente l’opera italiana e francese nella prima metà dell’Ottocento, con un accento su problemi drammaturgici e filologici. Accanto alla ricerca svolge un’intensa attività di divulgazione e consulenza per esecuzioni musicali.

Alan Curtis Musicista e musicologo, ha insegnato all’Università di Berkeley. È universalmente riconosciuto come una delle figure centrali del revival della musica antica, sia per il suo contributo nell’ambito degli studi e delle edizioni, sia per quello concertistico e discografico. Attualmente la sua attività si concentra particolarmente sul repertorio händeliano e sul recupero di autori meno conosciuti, come Francesco Bartolomeo Conti.

Stefano Aresi Laureato in Musicologia con una tesi su Nicolò Porpora (del quale ha anche edito una raccolta di mottetti), ha collaborato come consulente musicologico con diversi ensemble tra cui Il Giardino Armonico e l’Accademia Bizantina. Attualmente è dottorando di ricerca presso la Facoltà di Musicologia dell’Università di Pavia-Cremona.

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