PIERI, Il Marchese Eugenio de Ligniville :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

 

Duccio Pieri

 

Il Marchese Eugenio de Ligniville. Sovrintendente alla musica della Real Camera e Cappella

Un inedito Gluck fiorentino e una querelle musicale con Charles Antoine Campion*

 

Fra i protagonisti del Settecento musicale oggi dimenticati, un posto d’onore spetta senz’altro, in questo poco gratificante primato, al Marchese lorenese Eugenio de Ligniville. La sua notorietà in ambito musicologico nasce e in senso più generale si limita ad una fugace apparizione nelle cronache mozartiane. Già nelle prime biografie del maestro salisburghese[1] viene ricordato come «direttore della musica della città [Firenze]» e «sapiente contrappuntista», il quale sottopose il giovane Mozart, durante un’accademia tenutasi al Poggio Imperiale per i Granduchi di Toscana, alla risoluzione di alcune difficili fughe e temi da analizzare e suonare a prima vista. Anche il padre Leopold ne riferiva in una lettera alla moglie, scritta a ridosso di quel breve soggiorno fiorentino (aprile 1770), presentandolo come «der stärkste Contrapunctist in ganzen Italien».[2] Lo stesso Mozart non dovette ritenere quella conoscenza poi così superflua se successivamente utilizzò nove dei trenta movimenti canonici del suo Stabat Mater a tre voci in canone per la composizione di un Kyrie a cinque con diversi canoni (KV 89).[3] Completando il giro dei viaggiatori-diaristi del tempo, anche l’immancabile Charles Burney, di passaggio nel capoluogo toscano pochi mesi dopo i due Mozart, ci ha lasciato di lui un ricordo.[4] Queste definizioni sintetizzano alcune specificità del Marchese lorenese, ma non ne esauriscono affatto il ruolo rivestito nelle attività musicali fiorentine della seconda metà del Settecento.

In ambito bibliografico soltanto Giacomelli[5] e Rice[6] forniscono informazioni appropriate, documentandone il primo alcuni aspetti delle relazioni con il conterraneo Campion e rivelandone il secondo le implicazioni nella diffusione fiorentina della musica di Händel. Altri studiosi, invece, ne danno una notizia poco più che aforistica,[7] quando addirittura non lo ignorano.[8] Nonostante i meriti emersi in questi studi, siamo tuttavia in presenza di un corpo bibliografico che si è occupato del Ligniville soltanto marginalmente o perlomeno che lo ha sempre posto come figura satellitare rispetto all’indirizzo più generale delle indagini intraprese e non al centro di esse. Perciò, di fronte all’assenza di un suo profilo biografico e professionale compatto, la ricerca ha mosso necessariamente i suoi passi nella direzione della scoperta di fonti primarie per lo più inedite ed è dall’incrocio di carteggi, gazzette e dati amministrativi che ho potuto ricostruirne la figura rivelando la centralità che ebbe in molti aspetti della vita musicale fiorentina.

Spirito libero e inquieto, appassionato ed esperto di musica, agronomia ed esperimenti scientifici, nella versatilità degli interessi è riconoscibile quel tratto enciclopedico che è la linea direttrice principale, caratterizzante gli ingegni più arguti del suo tempo. Dotato di un sarcasmo pungente e di una schiettezza di giudizi che non conosceva mediazioni, fu proprio in virtù di questo carattere che – lo vedremo oltre – Ligniville si trovò più volte in aspre polemiche con alcuni colleghi musicisti e subì, probabilmente a causa di una gestione non proprio oculata del bilancio economico, l’esilio dalla Corte fiorentina.

Nato nel 1730 a Lunevylle, discendeva da una di quelle famiglie della grande aristocrazia lorenese che al momento del cambio territoriale seguirono fedelmente le sorti della Maison principale.[9] Nulla è noto dell’educazione ricevuta, anche se verosimilmente fu avviato agli studi musicali da giovane, come prevedeva la formazione di ogni nobile sin dai tempi del Cortegiano di Castiglione.

Le prime notizie lo indicano nel 1757 a Mantova dove, inviato dal governo austriaco, stava svolgendo analisi sulla coltivazione dei gelsi, da cui scaturì una acuta relazione, il Mémoire sur la culture des Meuriers dans le Duché de Mantoue.[10]

Proprio al periodo mantovano risalgono anche le prime informazioni relative alle sue occupazioni musicali. Ce lo rivela il carteggio con il centro di gravità della musicografia settecentesca: Padre Martini. Questo scambio epistolare, che occupò entrambi per circa un ventennio, è particolarmente utile per conoscere il rapporto intercorso fra il canonico bolognese e il Marchese e costituisce un tassello importante nella comprensione degli interessi e dei modus operandi propri dei teorici della musica nel Settecento. È illuminante sul sistema della circolazione libraria e delle raccomandazioni così come nel mostrare un’attenzione crescente per l’arte del contrappunto, disciplina particolarmente cara a Padre Martini e della quale il Ligniville si rivelò degno seguace. Alza il velo su una rete di interessi, amicizie e conoscenze, di cui Padre Martini costituiva uno snodo fondamentale, rivelando una comunità incredibilmente coesa ed organizzata e che, a dispetto delle oggettive difficoltà comunicative sofferte dalla società del tempo, non permetteva l’indifferenza reciproca, ma rendeva ciascun musicista partecipe alla sorte degli altri e pedina indispensabile per il buon funzionamento dell’intero scacchiere musicale. Il carteggio ci rende infine familiari con la personalità del Ligniville ed avvicina ai suoi molteplici interessi e funzioni: dall’ammissione all’Accademia Filarmonica di Bologna, all’attività compositiva particolarmente incline al contrappunto, sino alle implicazioni che gli venivano dall’incarico di «Sovrintendente alla musica della Real Camera e Cappella», il dipartimento musicale della Corte fiorentina.

Nella prima fase della corrispondenza[11] il principale interesse del Ligniville era rivolto all’ammissione presso l’Accademia Filarmonica di Bologna, della quale il canonico era un esponente influente ed autorevole. Impossibilitato a recarsi a Bologna per sostenere una prova d’ammissione, proponeva che gli venisse inviato «per thema un canto fermo per formarvi sopra un soggetto a quattro, a otto voci, o qualunque altra cosa d’impegno che sia di suo piacere», ed in base a questo essere giudicato dal consesso accademico.

Il Marchese lorenese evidentemente ignorava l’esistenza di alcune delibere accademiche che dal 1726 rendevano più agevole l’aggregazione all’Accademia Filarmonica alle persone di nobile lignaggio e «di maggiore grado» in qualità di «Accademici d’onore». Per ottenere tale privilegio questi illustri personaggi dovevano comunque essere «veri e attuali professori di musica» e grazie alle loro spiccate qualità musicali rendere lustro e decoro alla nobile istituzione. In questo regolamento, non sfuggivano certo considerazioni di carattere economico, giacché si guardava ad essi come persone facoltose in grado di dare impulso maggiore e assistenza all’Accademia per ogni eventualità.[12] La normale ammissione all’Accademia avveniva tramite un esame che stabiliva, nelle tre classi che la componevano («Compositori», «Cantanti» e «Suonatori»), se il candidato era in possesso degli standard di dottrina, sapere, giudizio, bravura e destrezza richiesti.[13] Per coloro, invece, che volevano fregiarsi del titolo di «Accademico d’onore» in qualità di «Compositore» e come Lignivillle abitavano extra locum (cioè non risiedevano in Bologna) era sufficiente produrre una dichiarazione del maestro di cappella della città dove abitualmente dimoravano, che testimoniasse le abilità del candidato, e a questa allegare una composizione scritta a loro piacimento da sottoporsi al giudizio dei censori per l’aggregazione all’Accademia.[14] Si seguì questo iter e pochi mesi dopo (il 2 agosto 1758), Ligniville inviò la propria composizione che, favorevolmente valutata all’unanimità dalla commissione giudicatrice, gli consentì l’ammissione all’Accademia nel novero dei «Compositori».[15]

Nel dicembre dell’anno successivo si trasferì a Firenze,[16] dove ebbe inizio la sua stagione musicale più incisiva. L’impiego a «Generale delle Poste», cui venne nominato immediatamente dopo il suo arrivo e che mantenne sino al 1767,[17] non gli impedì di coltivare i propri interessi musicali e di contribuire già in quegli anni a vivacizzare la vita musicale fiorentina.

Firenze e i fiorentini avevano molto sofferto per il cambio dinastico (1737), specialmente per la mancanza di una Corte, la cui sostituzione con una Reggenza, caratterizzata da una gestione estremamente parsimoniosa, non poteva far altro che alimentare il rimpianto per il glorioso passato mediceo.[18] La Reggenza, che fu una sorta di Corte atrofizzata, aveva ridotto le sue funzioni al minimo indispensabile, conseguentemente anche la musica conobbe un deciso ridimensionamento sia nell’organico che nelle funzioni. Ma l’assestamento del panorama politico internazionale, seguito alla pace di Aquisgrana (1748), e soprattutto la decisione di riportare, attraverso una secondogenitura, una vera Corte a Firenze condussero la Reggenza in una fase più dinamica, in cui gli esiti successivi cominciarono a configurarsi.

Le infiltrazioni lorenesi, evidenti a livello di gestione amministrativa e fiscale, ebbero un loro peso anche in ambito musicale, soprattutto nel direzionare la musica verso lo sviluppo di un ricco ed originale repertorio cameristico che, nel corso degli anni del governo leopoldino, avrebbe reso il capoluogo toscano una singolare eccezione all’interno del panorama musicale italiano, profondamente immerso nel teatro d’opera. Gli anni della Reggenza, caratterizzati da un marcato favoritismo verso i lorenesi, ebbero positive ripercussioni sulla successiva trasformazione della regione in un vivace laboratorio di rinomate scuole solistiche e la diffusione della musica da camera. È il caso del flautista lorenese Nicolaus Dôthel, il quale in anni di vacche magre riuscì ad ottenere ugualmente l’impiego di «Virtuoso di Camera».[19] Di lui esiste una copiosa produzione[20] nota ed apprezzata a livello europeo ed è al contributo suo e di altri conterranei, operativi nella Banda Militare di Corte, che si deve l’introduzione nella regione della pratica, tradizionale della musica francese, del complesso di flauti.

Non meno prestigiosa e benefica, nel senso qui analizzato, fu la presenza di Charles Antoine Campion,[21] il quale rappresentava insieme al Dôthel i due terzi di quella scuola di rinomati Maestri europei attiva a Firenze e celebrata dal Burney qualche anno dopo.[22] Il suo ingaggio alla corte fiorentina in qualità di «Maestro di Cappella» (febbraio 1763) seguì un percorso travagliato, benché egli fosse favorito dall’Imperatore Francesco Stefano in persona e raccomandato dal Marchese Ligniville.[23] L’ottenimento dell’incarico si legava al progetto di dotare nuovamente il capoluogo toscano di una Corte e fu soltanto con il raggiungimento di accordi matrimoniali fra gli Asburgo-Lorena e i Borbone di Spagna (dicembre 1762) che i nodi finali di questa vicenda poterono finalmente sciogliersi.

Ligniville, estremamente partecipe di quel valzer di vacanze, candidature e raccomandazioni seguito alla morte del Maestro di Cappella Orlandini,[24] percorse anche altre vie per incoraggiare la musica e rendere nota la sua passione alla società fiorentina. Proseguì a scrivere musica, che promosse sia in stampa che con pubbliche esecuzioni,[25] estendendo il suo campo di interesse anche alla produzione cameristica. Nel 1762 scrisse un Salve Regina a tre voci, pubblicato grazie all’intermediazione di Padre Martini presso lo stampatore bolognese Lelio della Volpe. Un lavoro in stile contrappuntistico per il quale Ligniville ricevette il plauso e l’approvazione degli Accademici[26] e che il Campion definì «terreur de touttes les Salve».[27] Risalente allo stesso periodo è anche un «concerto di fagotto, con due violini, viole, corni», che il Ligniville intendeva dedicare a Padre Martini, al quale chiedeva diversi suggerimenti sulle scelte di metodo seguite, e che forse venne stampato in Bologna.[28] Incoraggiò iniziative sperimentali legate alla ricerca strumentale, come veniva pubblicizzato sulle pagine della «Gazzetta Toscana ».[29]

Infine iniziò a svolgere un ruolo attivo nelle vicende musicali di Corte, segnando così la strada che lo avrebbe condotto all’incarico di Sovrintendente alla Musica di quel dipartimento.

La via per l’ottenimento di quell’incarico passava da Pietro Leopoldo, ed è con il giovane Principe che Ligniville instaurò un rapporto di stima e di fiducia poggiante essenzialmente su una base intellettuale di interessi comuni. Il Granduca aveva un temperamento riflessivo ed una curiosità erudita che lo spingeva ad appassionarsi con interesse a tutte le forme dello scibile ed in particolare alle sue appendici scientifiche e sperimentali, di cui fu valido patrocinatore.[30] Anche il Marchese coltivava con passione interessi scientifici e si prodigò per promuoverne la diffusione.[31] Il suo interesse non solo teorico per il contrappunto va quindi a chiudere il cerchio delle affinità fra campi disciplinari diversi (musica e scienze), le cui tangenze emergono chiaramente grazie a valori ed approcci mentali condivisi. L’arte del contrappunto è infatti la tecnica di composizione musicale che maggiormente fonda la propria realizzabilità su criteri matematici e non c’è dubbio che Ligniville ne investigò a fondo le potenzialità realizzando con intelligenza e metodo lavori singolari. Questa convergenza di interessi fu il terreno d’incontro fra i due e ne sono riprova le circostanze che segnarono il loro rapporto.

Quando Pietro Leopoldo giunse nel settembre 1765 a Firenze, ebbe verosimilmente contatti con il Ligniville per via dell’incarico istituzionale (Generale delle Poste) rivestito dal lorenese, ma i particolari interessi musicali di quest’ultimo dovettero presto divenire oggetto di conversazione se il Granduca, a distanza di tre mesi dall’insediamento della nuova Corte, gli commissionò la composizione di musica sacra, nello specifico di «una messa con stromenti che duri poco più di una messa bassa».[32] Ligniville per la composizione di questo lavoro si rivolse a Padre Martini, affinché gli inviasse una messa «brevissima con strumenti di qualche autore bravo che sia ricca di fughe» che lo potesse illuminare e servirgli da esempio. Non è affatto da escludere che in seguito a quella commissione si sia materializzato il celebre Stabat Mater a tre voci in canone che Ligniville pubblicò nell’aprile 1767[33] dedicandolo proprio al Granduca, e che venne eseguito pochi giorni dopo nel Real Palazzo di Pisa, dove la Corte si era trasferita.[34] Questa composizione doveva essere ritenuta particolarmente ricca di pregi. Mozart – come già osservato – ne trasse materia di ispirazione, ma anche i Filarmonici ne tessero le lodi, come emerge dai verbali di una seduta tenutasi il 2 aprile 1767.[35]

Avendo Ligniville inviato il suo lavoro a Bologna, gli Accademici si riunirono nelle camere di Padre Martini per determinare la risposta da dare; i presenti a quella seduta furono tredici e tutti approvarono il testo di risposta, già preparato dal Martini. L’epistola-giudizio toccava problemi sia compositivi che estetici, ed attraverso l’utilizzo di metafore di natura pittorica care al Maestro Martini – «la cognizione del contrapunto è tanto necessaria nella Musica, quanto nella Pittura il Disegno» – concludeva valutando lo Stabat Mater «opera pregevole, attese sopra tutto le straordinarie difficoltà, che occorrono nel praticarle nella tessitura de Canoni».[36] Un giudizio lusinghiero che Padre Martini amplificò in una lettera privata elogiando il Ligniville quale musicista degno di essere paragonato ai più celebrati Maestri che nei secoli si erano misurati con la disciplina contrappuntistica.[37]

Lo stesso Pietro Leopoldo ne rimase singolarmente colpito, come si deduce da un catalogo prodotto nel 1771 dalla stamperia granducale (il Catalogue des livres du Cabinet particulier),[38] dove si trova una sezione musicale contenente circa 200 tra spartiti e volumi di musica di vari autori e generi musicali.[39] La cosa particolare di questo catalogo è che presenta numerose annotazioni manoscritte a lato di ciascun titolo – alcune sono del Granduca stesso, altre furono stese sotto dettatura – che dovevano essere ad uso e guida dei giovani Arciduchi. I 114 titoli musicali indicati sono tutti accompagnati da un sintetico giudizio dell’autore: «excellent», «fort bon», «bon», «passable», «singulier», «médiocre», «mauvais».[40] Ebbene lo Stabat Mater del Ligniville presente fra i brani di quel volume venne giudicato – caso unico – «singulier ».

Ma una lettura attenta e mirata di questo documento si rivela preziosa non solo per comprendere i gusti musicali del Granduca, su cui in generale le informazioni scarseggiano, ma anche perché ci porta direttamente nel cuore dell’atmosfera culturale della Corte fiorentina, rendendo più chiaro il ruolo rivestito dal Marchese Ligniville così come le ragioni che condussero al suo incarico. Ligniville, dopo aver ottenuto la dimissione da Generale delle Poste nel settembre 1767[41] e sistemato pochi mesi dopo alcune questioni ereditarie successive alla morte della madre,[42] inoltrò nel settembre 1768 la richiesta al Granduca di essere nominato Sovrintendente alla Musica.[43] L’incarico gli venne accordato tramite una formula compromissoria a «titolo di onorificenza»[44] poiché, seguendo l’esplicita proposta del Ligniville, venne pagato «a reflesso» della pensione materna che ritirava dal Regio Erario.[45]

Il ruolo di «Sovrintendente alla Musica della Real Camera e Cappella» era sostanzialmente nuovo per la Corte fiorentina, le sue competenze perciò non sono rintracciabili in una figura del passato dotata di funzioni analoghe né tanto meno vennero sancite da un regolamento scritto ad hoc. Cosa significasse questo particolare incarico può essere compreso soltanto alla luce di quella singola esperienza.

L’incrocio del Catologue des livres con gli eventi salienti del primo quinquennio di governo leopoldino e le competenze musicali del Ligniville fornisce utili spiegazioni a riguardo.

L’arrivo dei nuovi sovrani aveva suscitato grande eccitazione ed introdotto nella città un indiscutibile respiro europeo, che risuonò a livello musicale non solo nelle stanze della Corte ma anche nelle sue propaggini cittadine (accademie poetico-musicali e teatri) e nelle dimore di alcuni facoltosi mecenati, come quella del versatile nobile inglese Earl Cowper. Firenze divenne in breve la succursale e prima referente delle principali novità teatrali espresse dalla riforma viennese e un centro di culto della musica di Händel. Nello scorrere il calendario di eventi noti e altri ancora ignoti troviamo Alcide al Bivio di Hasse, Alceste e Orfeo di Gluck, Ifigenia in Tauride di Traetta e alcuni dei principali oratori di Händel, fra cui il Messia e il Convito d’Alessandro. Sono opere il cui valore è confermato dal fatto che resistono ancora oggi nel repertorio e verso le quali Pietro Leopoldo nutriva una profonda ammirazione, restituendoci così l’immagine di un Granduca vero esperto di musica e non semplice patrocinatore di eventi musicali. Nel Catalogue des livres questi lavori vennero tutti giudicati «excellent», con l’unica eccezione del Convito valutato più modestamente – ma non poi tanto – «bon». Ciò che accomunava quelle opere nel renderle favorite al Granduca era il fatto che si trattava di opere con cori. È proprio il Marchese lorenese a suggerirci la via in una serie di lettere inviata a Padre Martini, nella quale chiedeva gli fosse spedita tutta la «musica d’Handel con cori», indicandola come il tipo di composizione prediletto dal Granduca.[46]

Ligniville in questa scena oltre a fare da intermediario, reperendo opere gradite al Granduca, si ritagliò un ruolo di primo piano nelle attività musicali di Corte, assumendo su di sé la responsabilità dell’allestimento e dell’esecuzione di alcune opere che caratterizzarono quella stagione; partecipò con buone probabilità nell’ottobre 1766 alla realizzazione nelle stanze di palazzo Pitti dell’Alcide al bivio,[47] come informa egli stesso in un interessante foglio di Corte che verrà esaminato oltre; si inserì da protagonista nel revival di Händel promosso inizialmente da Lord Cowper e proseguito dal lorenese con la messa in scena nella propria abitazione, complice la partecipazione dei musicisti di Corte, di Aci e Galatea[48] e Giuda Maccabeo e la riproposta del Messia e del Convito;[49] infine diresse negli ambienti di Corte una esecuzione – sinora ignota – dell’Alceste di Gluck, che seguiva di pochi mesi un allestimento altrettanto inedito dell’Orfeo, cui il Marchese però non prese parte essendo assente in quel periodo da Firenze. Ciò nonostante una ricognizione di quei due eventi, di cui finora non si aveva notizia, si rende indispensabile.

Nella ricerca sono stati rinvenuti documenti che attesterebbero una esecuzione ‘italiana’ di quelle opere in anticipo rispetto a quella parmigiana nel 1769 dell’Orfeo e quella patavina nel 1777 dell’Alceste. L’uso del condizionale è d’obbligo per la frammentarietà e incompletezza delle fonti, ma il congiungimento di questi dati con alcuni indizi significativi fa propendere chi scrive per un’accettazione delle novità prodotte da questi documenti.

Il caso di Orfeo è quello più problematico. Si tratta di una carta che riferisce genericamente dell’esecuzione il 22 marzo 1768 di una «Cantata d’Orfeo a Corte».[50] Ciò che lascia perplessi nell’identificare quest’opera con quella di Gluck, oltre alla mancata attribuzione della musica ad un qualsivoglia compositore, è il fatto che non esiste nessun’altra testimonianza che informi di quell’evento. Questo non è però così insolito dato che non tutti i documenti del periodo hanno la qualità di corrispondere. Si pensi, ad esempio, all’esecuzione a Corte dell’Alcide al Bivio precedentemente ricordata, che venne reclamizzata sulle pagine della Gazzetta, ma di cui non esiste nessuna traccia nei documenti amministrativi. Sono molti invece gli elementi che spingono a identificare quell’opera con l’Orfeo di Gluck; anzitutto la perfetta compatibilità dell’organico utilizzato per quell’evento con la partitura originale[51] e la presenza fra le voci di una «parte d’amore» che escluderebbe un qualsiasi Orfeo alternativo a quello qui preso in considerazione e verosimilmente rappresentabile in quell’anno.[52]

Qualche perplessità potrebbe lasciare la definizione «Cantata», dato che era termine con cui si designavano generalmente i lavori appartenenti al genere oratoriale e non alle Feste teatrali cui l’opera in questione appartiene. Ma in una filza successiva a quella dove ho trovato questa indicazione, si parla dell’esecuzione dell’Alceste di Gluck (una tragedia) utilizzando nuovamente il termine Cantata.[53] Si tratta evidentemente di una semplificazione e banalizzazione alquanto diffusa nei documenti amministrativi che non hanno nessuna attenzione o pretesa di usare termini tecnicamente qualificanti. Si può quindi ritenere che sia stato utilizzato il termine Cantata perché quella esecuzione fu priva di ogni supporto scenico e drammaturgico, in semplice forma cantata.

La vicenda è decisamente più chiara per ciò che concerne l’Alceste, l’opera più emblematica della riforma viennese dedicata proprio a Pietro Leopoldo; i documenti indicano che nell’estate del 1769 la cantata venne provata due volte in casa del Marchese di Ligniville[54] e che per quelle prove erano state fatte diverse copie in musica.[55] Seguì a quelle prove una esecuzione ufficiale o perlomeno in presenza del Granduca? Il quesito è destinato a rimanere aperto per la mancanza di documenti. Resta comunque l’ennesima conferma che le opere del boemo incontravano il favore di Pietro Leopoldo e che in conseguenza di ciò, già molto prima di essere immesse nel circuito musicale cittadino, si fossero imposte all’attenzione della Corte. Inoltre la fugace apparizione nel 1767 di Gluck a Firenze per un lavoro secondario quale era la composizione di un prologo all’Ifigenia in Tauride di Traetta, opera principale rappresentata alla Pergola e scelta per celebrare il futuro parto di Maria Luisa, troverebbe alla luce di queste scoperte una giustificazione e comprensione sinora sfuggita.[56]

In un contesto così impegnativo, che finiva per confrontarsi con la riscoperta dei capolavori händeliani e con il linguaggio complesso e fuori moda delle opere riformate viennesi, c’era la necessità di servirsi di musicisti dotati di specifiche capacità, e le competenze del Ligniville erano evidentemente considerate spendibili a questo scopo.

L’incarico ricevuto non fu quindi meramente onorifico, come si segnalava nei documenti amministrativi, ma ebbe una ragione d’essere negli indirizzi culturali che animarono questa fase della Corte leopoldina. Ligniville da parte sua credé fermamente in questa attività e profuse il massimo impegno nella realizzazione dei suoi obiettivi tanto da arrivare a concepire un minuzioso progetto di miglioramento del dipartimento musicale. All’indomani del riordino organizzativo dell’intera Corte, seguito alla partenza del Rosenberg,[57] Ligniville inviò al Granduca un articolato piano di intervento in cui evidenziava i difetti del funzionamento della «Real Camera e Cappella» e ne indicava la soluzione proponendo di migliorare il servizio del dipartimento con l’integrazione all’organico dei «Provvisionati» dei musicisti più capaci che in varie occasioni partecipavano alle funzioni musicali in qualità di «giornalieri» e inspirare così in essi e nei candidati futuri una applicazione sempre maggiore alla professione.[58] Il memoriale di risposta redatto dal Maggiordomo Maggiore Thurn sollevava questioni economiche, rilevando sia l’inesattezza dei conti del Ligniville sia la superfluità per le funzioni di Corte di questi ingaggi,[59] ed essendo il suo parere determinante per le decisioni del sovrano, Pietro Leopoldo non approvò il nuovo sistema e decise di «di lasciare le cose sul piede in cui sono».[60]

Indipendentemente dalla smacco subito, la diretta partecipazione del Marchese alla cura delle opere più significative, l’autorevolezza raggiunta fra i musicisti di Corte e la scelta del repertorio comico da eseguire nei periodi di villeggiatura al Poggio a Caiano,[61] danno il segno di un’attività a tutto campo che avrebbe finito per invadere e collidere con le competenze di colui al quale queste funzioni generalmente spettavano per statuto: il Maestro di Cappella. Fu quindi con il conterraneo Campion, che maturò un’aspra querelle musicale.

I problemi fra i due divennero manifesti nel giugno 1772, all’indomani dell’aumento di stipendio concordato dal Granduca a favore di Campion.[62] Il Maggiordomo Maggiore Thurn, facendosi latore di una richiesta di Pietro Leopoldo, chiedeva al Ligniville le ragioni dell’esclusione del Maestro di Cappella dall’esecuzione della Cantata (lo Stabat Mater del Pergolesi) tenutasi, sotto la direzione del Marchese, in onore della Elettrice di Sassonia,[63] e gli ordinava di impiegare Campion in tutte le funzioni di Corte che si sarebbero tenute in futuro, giacché al Granduca non piaceva che «les gens qui sont à mes gages soient mis dehors au risque de leur reputation».[64] Il memoriale di risposta apre uno squarcio sulla situazione che si era venuta a creare nel dipartimento musicale, dove il centro decisionale era divenuto il Marchese Ligniville, cui spettavano la direzione delle composizioni e persino la scelta dei ruoli da distribuire nell’orchestra. Quanto al severo giudizio di Ligniville sulle capacità musicali del conterraneo Maestro di Cappella mi preme rimarcare che si tratta di un’opinione personale, specchio certamente di una difficile situazione maturata all’interno della «Real Camera e Cappella», ma che non deve influenzare il lettore, la cui valutazione del Campion non può prescindere dallo studio delle sue opere.

Ligniville giustificava l’esclusione del Campion col fatto che questi si era dimostrato incapace di coprire i tre ruoli nei quali avrebbe potuto essere impiegato: dirigere, suonare il clavicembalo o tenere la parte contabile. E che per questa ragione era stato escluso dai concerti dati in onore del Duca di Brunswick, per il quale venne allestito l’Alcide al bivio precedentemente menzionato, della Regina di Napoli e dell’Imperatore.[65] Trattandosi di un attacco diretto alla professionalità del Campion, per di più scritto a ridosso del suo aumento di stipendio, il Maestro di Cappella decise di rispondere alle accuse del Marchese lorenese e di confrontarsi direttamente sul terreno più familiare al rivale, quello del contrappunto.

Da questa querelle si generò l’interesse del Campion per il contrappunto osservato e la tecnica canonica sfociato nella composizione dei Canoni 55 i quali sono nell’Historia della musica del R. P. M. Martini risoluti da C.A. Campion, di cui riferisce Giacomelli, prendendo spunto dal carteggio Martiniano.[66] Il Granduca conosceva e stimava la celebre opera di Padre Martini, che gli era stata donata dal maestro bolognese tramite il Ligniville,[67] perciò la sfida di Campion assumeva il tono di un regolamento di conti. Padre Martini, chiamato in causa dal Campion per aiutarlo nella correzione delle sue risoluzioni, tornò così nuovamente ad essere protagonista nelle vicissitudini musicali fiorentine e, nonostante una anomala lentezza nella risposta,[68] fece giungere le agognate correzioni. Quel lavoro insieme al Trattato teorico e pratico dell’accompagnamento del Cimbalo; con l’arte di trasportare in tutti i toni e sopra tutti gl’Istrumenti fu dedicato al Granduca Pietro Leopoldo[69] e rappresentò a un anno di distanza dall’inizio della querelle la risposta del Campion alle accuse del Marchese lorenese.

Quanto ci fosse di vero nelle accuse rivolte al Campion è difficile da valutare. Certo è che i ruoli nel dipartimento musicale dovevano essere stati spartiti secondo un criterio preciso, per cui le esecuzioni più impegnative furono affidate al Ligniville e al Campion vennero verosimilmente lasciate le sole funzioni ordinarie. Ligniville comunque non era nuovo ad un certo tipo di eccessi e la sua sicurezza in materia musicale aveva già fatto un’altra vittima illustre del mondo musicale fiorentino, il giovane compositore Alessandro Felici,[70] il quale venne accusato dal Marchese lorenese di essere preparato nell’arte del contrappunto quanto l’ultimo dei suoi cani da caccia![71]

Se sia riconducibile a questa esuberanza il suo allontanamento dalla Corte non è dato sapere. Nell’ottobre 1776 Ligniville venne esautorato dall’incarico con un motuproprio di Pietro Leopoldo.[72] Le cause di questo licenziamento sono tutte segretamente racchiuse in quel «per ragioni a lei note» che tutto e niente dice. Certo è che già qualche anno prima Ligniville era stato al centro di un curioso episodio; nel febbraio del 1773 Pietro Leopoldo aveva fatto al Marchese un singolare dono, regalandogli un cavallo dal nome sibilino, «ingrato».[73] Un gesto che aveva poi trovato un’eco sulle pagine del periodico «Notizie del Mondo».[74] Ligniville doveva aver tenuto una condotta poco gradita dal sovrano il quale con questa azione intendeva ‘galantemente’ punirlo, secondo codici comportamentali la cui finezza e sofisticazione sembrano sfuggirci, e probabilmente, con la pubblicazione apparentemente celebrativa della notizia, metterlo alla berlina dinanzi alla buona società fiorentina. Inoltre a distanza di due anni da quell’episodio fu al centro di una causa civile intentatagli per debiti davanti al Magistrato Supremo, che certamente non contribuì a fargli guadagnare prestigio agli occhi della Corte.[75] Il suo licenziamento equivalse ad una sorta di ‘morte sociale’. Praticamente non abbiamo più nessuna notizia di lui e nessun periodico – va ricordato che le gazzette dell’epoca erano organi di stampa ufficiosi della Corte – si degnò di dare notizia della sua morte, avvenuta il 10 dicembre del 1788 a Firenze. Un fatto che deve fare riflettere specialmente se consideriamo che negli anni della sua ‘fortuna’ presso la Corte le stesse cronache avevano sempre mostrato nei suoi confronti attenzioni e benevolenze persino esagerate.[76]

Ligniville comunque poté forse consolarsi col fatto che lasciava il campo alla vigilia di una stagione di drastica riduzione delle spese e delle funzioni di Corte, in cui i fasti del primo periodo della «Real Camera e Cappella» divennero solo uno sbiadito ricordo.

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[Bio] Duccio Pieri si è laureato in Storia Moderna presso l’Università di Firenze. Ha pubblicato diversi articoli sul Settecento musicale fiorentino e viennese. E-mail: k545_99@yahoo.it.

* NOTIZIA: i risultati qui esposti sono il frutto della mia tesi di laurea: Vita di Corte: attività musicali a Pitti in età lorenese (1765-1790), Università degli Studi di Firenze, a.a. 2003-2004, relatore R. Pasta. Nata dalla convergenza di un mio desiderio di affrontare un tema musicale della seconda metà del Settecento e di quello del prof. Bertelli di investigare, nell’ambito di uno studio su Palazzo Pitti, le attività del Dipartimento musicale in età lorenese, questa tesi è stata proseguita dal prof. Pasta, affiancato per la parte musicale dal prof. Piperno. A tutti loro va il mio ringraziamento.

[1] FRIEDRICH VON SCHLICHTEGROLL, Nekrolog auf das Jahr 1791, Gotha, J. Perthes, 1793. FRANZ NIEMETSCHEK, Leben des k.k. Kappelmeisters Wolfgang Gottlieb Mozart nach Originalquelle beschrieben, Praga, Herrl, 1798. Consultabili entrambi in FRANZ NIEMETSCHECK - FRIEDRICH VON SCHLICHTEGROLL, Mozart, a cura di G. Pugliaro, Torino, EDT, 1990, pp. 33, 79, 102.

[2] «Die Sache gieng wie gewöhnlich und die Verwunderung war um so grosser, als Se: Ex der Marchese Ligneville (welcher Musiquedirector ist) der stärkste Contrapunctist in ganzen Italien ist, und folglich dem Wolfg: die schweresten Fugen vorgelegt und die schweresten Themata aufgegeben, die der Wolfg: wie man ein Stück brod isst, weggespielt und ausgeführt». Mozart Briefe und Aufzeichnungen, hrsg. von der Internationalen Stiftung Mozarteum Salzburg, gesammelt und erläutert von Wilhelm A. Bauer und Otto Erich Deutsch, Kassel, Bärenreiter, 1962, Band I, p. 331. GUGLIELMO BARBLAN-ANDREA DELLA CORTE, Mozart in Italia, i viaggi e le lettere, Milano, Ricordi, 1956, p. 231.

[3] HERMANN ABERT, Mozart, la giovinezza 1765-1782, Milano, il Saggiatore, 1984, p. 196.

[4] «Among the Dilettanti, at Florence, the Marquis of Ligniville is regarded as a good theorist and composer. He has set the hymn Salve Regina in Canon, for three voices. The music is neatly engraved, and copies of it are given to his friends. The Marquis was not in Florence during my residences there; however, I was presented with a copy of this curious piece, by a musician in the service of his excellence»: CHARLES BURNEY, The Present State of Music in France and Italy: or The journal of a Tour through those countries, undertaken to collect materials for a general history of music, London, T. Becket and Co., 1771 (trad. it. Viaggio musicale in Italia, a cura di Enrico Fubini, Torino, EDT, 1979).

[5] GABRIELE GIACOMELLI, Monsieur Campion e Padre Martini: un «armonioso segreto» fra lettere e ritratti, «Recercare», XIV, 2002, pp. 159-189.

[6] JOHN RICE, An Early Haendel Revival in Florence, «Early Music», XVIII/1, 1990, pp. 63-71.

[7] MARCELLO DE ANGELIS, La felicità in Etruria, Firenze, Ponte alle Grazie, 1990, p. 94.

[8] ROBERT LAMAR - NORMA WRIGHT WEAVER, A Chronology in the Florentine Theater 1751-1800, Warren (Michigan), Harmonie Park Press, 1993.

[9] La famiglia Ligniville insieme alle tre principali Maison di Lorena, i Du Châtelet, gli Harancourt e i Lénancourt, formava la grande aristocrazia lorenese definita «Grande Chevalerie Lorraine». Una nobiltà cavalleresca che godeva di privilegi fiscali e giurisdizionali e che poteva essere considerata un corpo distinto e in qualche modo indipendente dai Duchi di Lorena, essendo dotata di un propri uomini e sudditi. ALESSANDRA CONTINI, La Reggenza lorenese fra Firenze e Vienna, Firenze, Olschki, 2003, p. 42. Inoltre il padre era, secondo la testimonianza del Burney, quel celebre Maresciallo Ligniville ucciso nei giardini di Cologno, di proprietà del Duca di Parma, durante la guerra del 1733. Cfr. BURNEY, The Present State of Music in France and Italy, cit., p. 250.

[10] La coltivazione dei gelsi è notoriamente funzionale all’industria serica. Il mantovano era un terreno sfavorevole alla coltivazione di questa tipologia di Moracee, ma l’analisi del Ligniville imputava la sua scarsa diffusione soprattutto ad una metodologia sbagliata: all’abitudine di piantare i gelsi nei terreni meno indicati, perché non sufficientemente distanziati da quelli usati per le colture cerealicole, che impoveriscono il suolo; e all’uso predominante di togliere dall’albero, insieme con le foglie, gli stessi rami. Cfr. CORRADO VIVANTI, Le campagne del mantovano nell’età delle Riforme, Milano, Feltrinelli, 1959, pp. 155-156.

[11] Civico Museo Bibliografico e Biblioteca di Padre Martini (d’ora in poi CBM), Carteggio Martiniano, I.21.89, 16 settembre 1757; I.21.92, 15 febbraio 1758; I.21.93, 26 febbraio 1758.

[12] Cfr. NESTORE MORINI, L’Accademia Filarmonica di Bologna (1666-1966) – I: Fondazioni e vicende storiche, Bologna, Tamari, 1967 (La Musica a Bologna – B: Età Barocca e Moderna, 2, I), pp. 73-74.

[13] Cfr. ROMANO VETTORI, Accademia Filarmonica di Bologna, Bologna, Alfastudio, 2001, pp. 9-10.

[14] Cfr. MORINI, L’Accademia Filarmonica di Bologna, cit., pp. 73-74.

[15] «Stante l’avviso colle solite polize per aggregar soggetti, ed altro si congragarono li seguenti […] A quali SS. Congregati è stato letto il memoriale di Sua Eccellenza Sig. Marchese Eugenio de Ligniville, quale ha già esibita la sua composizione, e questa stata veduta da SS. Censori e però ha fatto istanza di essere ammesso in qualità di compositore. Letto il memoriale, è stato d’ordine del N. Principe proposto il seguente partito. A chi pare, e piace, che il Sig. Marchese Eugenio di Ligniville sia ammesso all’ordine de’ Compositori dia il suo voto favorevole, e chi pare in contrario lo dia nero negativo, e il partito s’intenda ottenuto per la pluralità di voti. E distribuite le fave, e quelle nell’urna secretamente raccolte si è poscia pubblicato il partito in presenza de SS. Congregati si è ritrovato ottenuto a tutti i voti bianchi affirmativi. Che è quanto» Reale Accademia Filarmonica di Bologna, Documenti, Verbali, II/3 anno 1758, cc. 25-26.

[16] «È venuto in Firenze il Conte di Ligneville Lorenese Generale delle Poste in Toscana con provisione di cento scudi il mese, e si parla che abiterà in Palazzo Vecchio». Moreniana, Acquisti diversi n° 54, NICOLÒ SUSIER, Diario di tutto quello che è seguito nella città di Firenze (d’ora in poi SUSIER), vol. XXVI, c. 92 , Anno 21, dicembre 1759.

[17] Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASF), Segreteria di Finanze affari prima del 1788, Dipartimento Generale delle Poste, F. 636.

[18] Sul periodo della Reggenza si veda: FURIO DIAZ, Il Granducato di Toscana: i Lorena dalla Reggenza agli anni rivoluzionari, Torino, Utet, 1997; ALESSANDRA CONTINI, La Reggenza lorenese tra Firenze e Vienna: logiche dinastiche, uomini e governo, Firenze, Olschki, 2002.

[19] In pratica subentrò al posto lasciato vacante dall’Arrigoni. Alla morte di quest’ultimo (agosto 1744) avanzarono la propria richiesta diversi postulanti fra i quali – fatto sinora ignoto a chi si è occupato delle sue vicende biografiche – il famoso violinista livornese Pietro Nardini, il quale si era già candidato nel gennaio dello stesso anno: «Altezza Reale / Piero Nardini di Livorno sonatore di violino, umilissimo servo, e suddito di V. A. R. supplica riverentemente la sua innata Clemenza a volerlo graziare benignamente di un luogo di suonatore di violino nella sua Real Cappella di Firenze colla Provvisione di Lire millenovantadue l’anno, come ha Giuseppe Tanfani altro suonatore di violino della medesima Real Cappella, che della grazia Quam Deus». Seguiva alla supplica una scheda di presentazione del violinista livornese, nella quale veniva elogiato come uno dei migliori allievi del Maestro Tartini e si sottolineava la sua frequente presenza a Firenze nelle feste di «maggior pompa». Questa supplica come quella successiva vennero entrambe rigettate con il pretesto che «le presenti circostanze» non fossero favorevoli. ASF, Segreteria di Finanze affari prima del 1788, F. 475, Cappella di Corte, Petizioni in genere, c. 2. Ma in realtà quel posto vacante venne assegnato poco tempo dopo al Dôthel. ASF, Depositeria Generale, F. 1473, Conti della cassa dall’anno 1745 a 1747, c. 26. La candidatura di Nardini in questa contingenza rappresenta una anteprima assoluta che riteniamo possa essere accolta con favore da chi in questi anni si è occupato, da un punto di vista strettamente biografico, del celebre violinista livornese: cfr. FEDERICO MARRI, Questioni biografiche nardiniane, in Pietro Nardini violinista e compositore, Atti del convegno Livorno 12 febbraio 1994, a cura di F. Marri, Livorno, 1996 (Quaderni della Labronica), pp. 1-13.

[20] Nella sua lunga carriera (Lunevylle 1721 - Firenze 1810) ha scritto concerti per flauto e orchestra, studi, sonate per flauto e basso, duetti per flauti, trii e quartetti. Cfr. MARIA GRAZIADEI, Niccolo Dôthel, virtuoso di flauto traversiere, Tesi di Laurea, Università degli studi di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1987/1988.

[21] Limitandosi a citare soltanto il suo repertorio cameristico, esistono sonate e divertimenti per violino, violoncello e clavicembalo, duetti, trii e concerti per flauto ed orchestra.

[22] «Signor Campioni is settled here as maestro di cappella to the grand duke; Signor Dottel, the celebrated performer on the German flute, is of his band, and Signor Nardini is engaged here as principal violin, in the service of the same prince. These three eminent masters, whose merit is well known to all Europe, have been lately tempted to quit Leghorn, by the munificence of the grand duke». BURNEY, The Present State of Music in France and Italy, cit., p. 246.

[23] Cfr. MARIO FABBRI, Giovanni Battista Pascetti e un concorso per maestro di cappella a Firenze, «Rivista Italiana di Musicologia», I, 1966, pp. 120-126. MARIO FABBRI - ENZO SETTESOLDI, Precisazioni biografiche sul musicista pseudolivornese Carlo Antonio Campion, «Rivista Italiana di Musicologia», III, 1969, pp. 180-188. GIACOMELLI, Monsieur Campion e Padre Martini, cit., pp. 161 sgg.

[24] Ligniville ebbe un ruolo anche nelle vicende relative alla sostituzione di Campion alla Collegiata di Livorno. Cfr. loc. cit.

[25] «A di 19 Aprile Venerdi Santo nella Chiesa di S. Trinita fu fatto una bella musica composta dal Generale delle Poste Lorenese et erano tutti Cav. Dilettanti che sonavano diversi stromenti e tale effetto fu fatto in palco nel muro di detta Chiesa»: SUSIER, vol. XXXI, c. 13, Anno 1764. «A di detto [11 Giugno] nella Chiesa di S. Giuseppe de’ padri di S. Francesco di Paola fu fatto una gran musica con palchi e due cori e la compose e la batte il Generale delle Poste e spese il tutto; e ciò fu fatto per avere eletto il Generale di detta Religione»: ibid., c. 27.

[26] Cfr. CBM, Carteggio Martininano, I.19.198, 18 dicembre 1762; I.1.19.105, 1° marzo 1763.

[27] Cfr. ivi, I.14.117 e GIACOMELLI, Monsieur Campion e Padre Martini, cit., p. 164.

[28] «Mi farà un sommo piacere di dirmi il suo sentimento sopra il metodo da me tenuto sopra la libertà che ho preso di principiare il larghetto sopra la quarta, e sesta del tono; nella fuga l’obbligo di tenermi corto, mà fatto che non mi sono impegnato a fare molte strette, le ho accennato solamente verso il fine quando la parte concertante del fagotto scherza con il sotto violino, e ribatte il motivo alla quinta»: CBM, Carteggio Martiniano, I.19.1.101. Purtroppo non sappiamo se quel lavoro venne stampato. Certo è che non viene segnalato in nessun repertorio del Marchese lorenese.

[29] «Il nostro Fra Giovanni M. Poggi Servita uomo ben noto per la somma industria e sottigliezza del suo talento per le meccaniche, e per l’arte di lavorare il ferro, a richiesta del Sig. Marchese de Ligneville Generale delle Poste di S.A.R. ha saputo comporre, e fare agire una macchina, che gli altri artefici non avevano potuto condurre alla sua perfezione. Per mezzo di questa restano alzati i mantici di un organo senza l’aiuto di alcuno, onde un Organista può da se solo sonare per lo spazio di qualche ora, per la cosa il suddetto padre ha riscossa lode e stima dal medesimo Sig. Marchese, e da quelli che l’hanno osservata»: «Gazzetta Toscana» (d’ora in poi GT), 17 novembre 1766, p. 191.

[30] Cfr. La politica della Scienza, Toscana e stati italiani nel tardo Settecento, a cura di G. Bersanti, V. Becagli e R. Pasta, Firenze, Olschki, 1996.

[31] Si veda a questo proposito il suo rapporto e patrocinio del giovane intellettuale e scienziato Giovanni Fabbroni. Cfr. RENATO PASTA, Scienza politica e rivoluzione, l’opera di Giovanni Fabbroni (1752-1822) intellettuale e funzionario al servizio dei Lorena, Firenze, Olschki, 1989, p. 39.

[32] CBM, Carteggio Martiniano, I.19.1.119, 14 dicembre 1765.

[33] «Fra le molte spiritose produzioni in musica, che fin’ad ora si sono sentite del Sig. Marchese di Ligneville Generale delle Poste in Toscana, per cui ha meritato il pieno voto dell’accreditata Accademia de Filarmonici di Bologna, fa prova del suo ingegnoso talento una Stabat Mater dal medesimo messa sulle note in canone a tre voci, che presentemente si vede manifestata al pubblico in un libretto stampato in rame»: GT, 18 aprile 1767, p. 66.

[34] «Restituitosi [Pietro Leopoldo] non è altrimenti uscito essendovi stata una scelta accademia, nella quale fu con soddisfazione intera delle Reali Altezze Loro cantata la Stabat Mater messa nuovamente in bella musica dal Sig. Marchese Di Ligneville»: GT, 24 aprile 1767, p. 74.

[35] Cfr. GIUSEPPE VECCHI, Padre G.B. Martini e le Accademie, in La musica come arte e come scienza: ricordando Padre Martini, Bologna, Antiquae Musicae Italicae Studiosi, 1985, pp. 183-185. Va rilevato che Ligniville decise di dare alle stampe il proprio Stabat Mater solo dopo l’autorevole avallo di Padre Martini e dell’Accademia Filarmonica: «Vado terminando un stabat io [sic] procurato di far li canoni li più armoniosi e [sic] che sia stato possibile benché niente può esser nuovo a V.R. spero che non li dispiaceranno alcuni estri nuovi in tal genere prima di dar le alla luce le sottoporrò al suo savio parere»: CBM, Carteggio Martiniano, I.1.19.139, senza data.

[36] Reale Accademia Filarmonica di Bologna, Verbali sedute, vol. 3, pp. 27-29 (da VECCHI, Padre G.B. Martini, cit.).

[37] Cfr. la voce di FERRUCCIO TAMMARO, «Ligniville, (Pierre) Eugène (François), Marquis of, Prince of Conca» in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, ed. by Stanley Sadie, 2nd revised ed., London, Macmillan, 2001, vol. 20, p. 697.

[38] Cfr. LUCIA CHIMIRRI, Le letture di Pietro Leopoldo, «Biblioteche oggi», dicembre 1999, pp. 42-45; RENATO PASTA, La biblioteca aulica e le letture dei Principi lorenesi, in Vivere a Pitti, una Reggia dai Medici ai Savoia, a cura di S. Bertelli e R. Pasta, Firenze, Olschki, 2003, pp. 351-387.

[39] I generi presenti sono i più disparati. Vi è una cospicua presenza di opere serie e buffe, ma non mancano oratori, musica da chiesa e brani strumentali.

[40] Così suddivisi: 23 excellent, 1 fort bon, 30 bon, 8 passable, 1 singulier, 24 médiocre, 27 mauvais.

[41] «Il Sig. Marchese di Ligneville avendo fatta umilissima supplica a S.A.R. per la dimissione della sua carica di Generale di tutte le Poste del GranDucato di Toscana, la medesima Reale Altezza si è degnata accordargliela con rilasciargli a titolo di pensione tutta la provvisione, che godeva come Generale suddetto »: GT, 28 settembre 1767, p. 161.

[42] «Il Sig. Marchese di Ligneville Ciamb. della LL. MM. II. e RR. dopo la dimora di circa 5 mesi fatta in Napoli, ove per la morte seguita dalla Sig. Marchesa di Ligneville nata Principessa della Conca sua madre, si portò a prendere il possesso di quell’ampia eredità, e particolarmente l’investitura del grosso Feudo detto Mignono, avendo fatto qua ritorno nel dì 22, avendo portato seco ricchissimi suppellettili, ed una monta a sei bei cavalli di quel Regno con superbe carrozze. Sua Maestà Siciliana gli ha accordato il privilegio, come agli altri Toscani, di poter godere di quelle entrate anco dimorando in Firenze»: GT, 23 aprile 1768, p. 83.

[43] «Monseigneur Eugene de Ligneville à l’honneur de représenter a Votre Altesse Rojale que l’espoir qu’il a dans Ses Bontés, et le désir de suivre son service le détermine à Lui demander la Charge de Surintendant Général de Sa Musique, et ne voulant en aucun facon être à charge à V.A.R. je prends la Liberté de Lui représenter, que la mort de ma Mère il est rentré dans les caisses de Sà Mayestè trois pentions dont Elle avoit été gratifié en differens un des quelles m’avoit cedé par contrat d’un mariage, qu’Elle avoit deigné protéger. J’emplore la Protection de V.A.R. auprès de Sà Mayeste l’Imperatrice pour que’Elle daigne me continuer la mêmê [sic] grace, dont la mort de ma Mere m’a privé Et plein de confiances à ses bontés, je me mets à Ses pieds»: ASF, Imperiale e Real Corte (d’ora in poi IRC), F. 15, Affari del Dipartimento del Maggiordomo Maggiore della Real Corte, Luglio-Dicembre 1768, c. 71.

[44] «Stato dei Provvisionati del Dipartimento del Maggiordomo Maggiore / Nota delle cariche e impieghi addetti al Dipartimento del Maggiordomo Maggiore della R. Corte secondo il nuovo Piano di Riforma del 1771 con la dichiarazione dei rispettivi annui assegnamenti che restano fissati in confronto di quelli che antecedentemente avevano come dagli ordini qui annessi del 16 Marzo 1771 segnati ai n.° 57- 58 / Musici della Real Camera e Cappella / S.E. il Sig. Marchese di Ligneville / Provvisione: questa carica è conferita a titolo di onorificenza»: ASF, IRC, F. 20, Affari del Dipartimento del Maggiordomo Maggiore della Real Corte, Gennaio-Giugno 1771, cc. 109-118.

[45] ASF, IRC, F. 15, cc. 72-73. La pensione che egli ritirava era posta non sulla cassa della Real Corte, bensì su quella della Depositeria Generale ed ammontava a £ 7125 annue: ASF, Depositeria Generale (d’ora in poi DG), F. 15, Compendio di suppliche e rescritti dal 29 novembre 1775 al 26 maggio 1777, c. 258.

[46] Su questa fase del carteggio si veda RICE, An Early Haendel Revival in Florence, cit., pp. 63-71.

[47] «Dai nostri Reali Sovrani è stata data questa sera espressamente a S.A. Serenissima il Principe di Brunswich con invito di dame e ciamberlani ec. un’Accademia degna della loro grandezza, nella quale hanno dato prove della conosciuta abilità la Sig. Angiola Branchi, la Sig. Agnesa, figlia del Sig. Angelo Franceschini, questa pure brava dilettante sentita per la prima volta a Corte, il Sig. Giacomo Veroli virtuoso della Real Cappella, e di Corte, ed il noto Sig. Salvador Pazzaglia volterrano. Questi quattro soggetti hanno eseguito felicemente un Dramma dell’incomparabile Pietro Metastasio, intitolato Alcide al Bivio, messo in musica dal celebre Hasse, detto il Sassone, il quale è stato accompagnato da scelta orchestra, e arricchito da un coro dei migliori Professori »: GT, 9 ottobre 1766, p. 168.

[48] «Giovedì sera dal Sig. Marchese di Ligniville Ciamberlano delle LL.MM.II. fu data una sontuosa Accademia di musica, consistente in una cantata con cori del sempre celebre Sig. Federigo Handel intitolata l’Aci e Galatea: tra i molti professori che vi operarono, si distinsero i Sigg. Giovanni Manzuoli, Giacomo Veroli, Gio. Vallesi, Lampruch e Bussani. La festa fu onorata dalla presenza dei Reali Sovrani, e vi si trovò pure la primaria Nobiltà serviti tutti di copiosi rinfreschi: in seguito le LL.AA.RR. passarono in un Gabinetto a godere di alcuni Giuochi matematici, eseguiti dal prefato Sig. Marchese»: «Notizie del Mondo» (d’ora in poi NDM), 10 aprile 1772, p. 230.

[49] «Nell’Accademie di canto, e suono state date nelle sere di Venerdi 13, 20, e 27 dal Sig. Marchese Pietro Eugenio di Ligneville fu cantato nella prima il Convito d’Alessandro, nella seconda il Messia, e nella terza l’Alessandro a richiesta, ove si contraddistinsero i Sig. Giovanni Manzuoli, Giacomo Veroli, e Lampruck con musica di Hendel accompagnata a solo dal Sig. Pietro Nardini essendovi stato sentito un concerto suonato dal Sig. Bartolommeo Campagnoli di Cento»: GT, 28 marzo 1772, p. 50.

[50] ASF, IRC, F. 227, Filza di conti e di ordini che provengono immediatamente dal Maggiordomo Maggiore 1768-1769, c. 21 e c. 78.

[51] Questa prevede Orfeo-contralto, Euridice e Amore-soprani, coro, oboi, flauti, chalumeaux, arpa, corni, trombe, tromboni, timpano, violini, viole fagotti, violoncello, contrabbasso e un clavicembalo. Cfr. Orfeo ed Euridice, Originalpartitur der Wiener Fassung von 1762, bearb. von Hermann Abert, Graz, Akademische Druck- und Verlagsanstalt, 1960. Per la cantata a Pitti furono impiegati fra i «giornalieri», tredici voci, due oboi, tre violini, tre viole, un contrabbasso, due trombe, due tromboni e un timpano a cui vanno aggiunti un fagottista e due cornisti impiegati nella «Banda militare» e segnati in un conto diverso. Quanto al flauto, l’arpa, il clavicembalo e il violoncello erano presenti fra i provvisionati musicisti di tali strumenti, infine lo chalumeau, (piccolo strumento ad ancia semplice da cui si sviluppò il clarinetto), immaginiamo potesse essere suonato dall’oboista di corte. ASF, IRC, F. 227, Filza di conti e di ordini che provengono immediatamente dal Maggiordomo Maggiore, 1768-1769, c. 21 e c. 78.

[52] Avendo operato una ricerca sistematica nel catalogo analitico dei libretti d’opera del Sartori si nota che, escludendo a priori tutti gli Orfeo barocchi, nei pochi settecenteschi rimasti nessuno indica Amore fra i personaggi. Cfr. CLAUDIO SARTORI, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Cuneo, Bertola & Locatelli, 1991, vol. IV, pp. 321-326. Si segnala infine una caso abbastanza curioso ma che non risolve i problemi posti. Qualche anno dopo in occasione dell’inaugurazione dell’Accademia degli Ingegnosi venne composta una cantata celebrativa a tre voci scritta dal dott. Lombardi con musica del giovane compositore fiorentino Alessandro Felici. I personaggi della cantata erano tre: Giove, Virtù e Amore. L’interprete di quest’ultimo era lo stesso cantante che aveva svolto la «parte d’amore» nell’Orfeo di corte, cioè Fedele Venturi. Cfr. GT , 1° aprile 1770, p. 35.

[53] ASF, IRC, F. 228, Filza di conti e di ordini che provengono immediatamente dal Maggiordomo Maggiore 1770, c. 37.

[54] «Francesco Casini, fagottista della Banda Musicale, funzioni fatte dal suddetto […] n.° 2 prove dell’Alceste di Cluch in casa S.E. il Marchese di Ligneville», loc. cit.

[55] L’organico dei giornalieri impiegato per quell’occasione era costituito da 5 soprani, 4 alti, 6 tenori, 6 bassi, 1 organista, 1 oboe, 1 contrabbasso, 2 viole e 6 violini. Il «conto delle copie fatte per la Tragedia Alceste» ammontante a £ 175 comprendeva 34 fogli per la parte cantante principale, 48 per 12 parte di coro, 80 per 5 parte di violino, 32 per 2 viole, 5 per 2 fagotti in un libbro, 5 per 2 corni da caccia, 6 per due flauti, 10 per due oboe. Loc. cit. e ASF, IRC, F. 227, cit., c. 117.

[56] Cfr. KLAUS HORTSCHANSKY, Gluck e la famiglia Asburgo-Lorena, «Chigiana», XXIX-XXX, pp. 571-583: 581; JOHN RICE, Emperor and Impresarios: Leopold II and the Transformation of Viennese Musical Theater 1790-1792, Ph.D. diss., University of California, Berkeley, 1987, p. 14 e sg.

[57] Cfr. Imperiale e Real Corte / Archivio di Stato di Firenze, inventario a cura di C. Giamblanco e P. Marchi, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1997, pp. 4-5.

[58] ASF, IRC, F. 21, Affari del Dipartimento del Maggiordomo Maggiore della Real Corte Luglio-Dicembre 1771, c. 38.

[59] 59 Ibid., c. 39.

[60] Ibid., c. 38, 21 agosto 1771.

[61] «S.A.R. essendo per portarsi alla fine del corrente, e ai primi del prossimo mese alla villeggiatura al Poggio a Caiano e vuole che in tal congiuntura si facciano in quel teatro una, o due opere buffe in musica sul piede di quelle che furono fatte nella villeggiatura del Maggio scorso, V. S. Ill.ma si compiacerà di prendere in veduta le disposizioni che perciò convengono, e specialmente in quanto riguarda l’orchestra, e i Cantori i quali potrebbero essere gli istessi che furono l’ultima volta quando non sono assenti [sic]. Quanto al libretto dell’opera, e allo spartito è rimessa in V.E. la scelta. Starò dunque in attenzione di ricevere da V.E. il piano delle disposizioni che stima più conveniente di fare per l’adempimento della R. A. S.» (corsivo mio): ASF, IRC, F. 23, Affari del Dipartimento del Maggiordomo Maggiore da Luglio a tutto Dicembre 1772, c. 82.

[62] Gli venne concesso un aumento di £ 52 mensili per un totale di £ 2016 annue. ASF, IRC, F. 22, Affari del Dipartimento del Maggiordomo Maggiore della Real Corte Gennaio-Giugno 1772 , cc. 184-185.

[63] «Domenica mattina S.A.R. Elettorale osservò altre di queste magnifiche Chiese, e Fabbriche, quindi pranzò nuovamente a Corte, e dopo si compiacque di sentir cantare la Stabat Mater messa nuovamente in musica dal Sig. Marchese di Ligneville»: NDM, 25 maggio 1772, pp. 353-354. Questo «messo nuovamente in musica dal Sig. Marchese di Ligneville» va inteso come direzione dell’evento e non come composizione del medesimo. Lo confermano sia la «Gazzetta Toscana» che i Protocolli della Real Corte, che attribuiscono entrambi la paternità dell’opera al Pergolesi. Cfr. GT, 30 maggio 1772, pp. 85-86; ASF, IRC, Protocollo della Real Corte dell’anno 1772, c. 33.

[64] «Du Palais Pitti le 9 de Juin 1772 / Monsieur / J’ai cherché depuis mon retour de Poggio l’occasion de vous parler seul mais ne je n’ai pu y reussir pour vous communiquer des ordres que S.A.R. m’a donné lorsque il me remit celles qui concernaient l’augmentation des gages de mr. Campion. Il me demanda porquoi n’avois pas été emploié à la Cantata, qu’on a donne pour l’Electrice: je répondìs que je n’en savois rien: il me dit, je ne m’elois pus appareù [sic] ce jour là, personne s’est plainsé à moi, mais j’ai su, que Ligneville aians été demandé à ce sujet repondit qu’aiant cherché longtemps une place dans cet orchestra, Qu’el n’avoit jamais pù en trouver une pour Campion. Il me dit en continuant, vous voiez que c’est un mauvais prétexte: si Campion ne sait son métiér la faute seroit a ceux qui l’ont mis dans ce poste, mais je ne veux pas que les gens qui sont à mes gages soient mis dehors au risque de leur reputation, et vous direz au Marquis de Ligneville qu’à toutes les musiques qui se donneront à la Cour, Campion y duit exercer son emploi. Je crois que vous rèlevez sans doute aux ordres de S.A.R., si jamais vous auriez a l’avenir des raisons de mé contentement contre Campion, je me flate que vous m’en fer part pour enseigner à Campion le respect qu’il vous doit. Je suis faché d’avoir du m’acquitter de cette commission: Elle ne diminuera votre amitié pour moi, et je serois touiours flaté pouvoir vous donner des preuves de la consideration distingué avec la quelle j’ai l’honneur d’être Monsieur/ Votre très humble et très obéissant serviteur/ Thurn Antonio»: ASF, IRC, F. 5434, c. 53.

[65] «Le sieur Campion sestant plaint à V. A. R. de n’avoir pas été employé dans plusieurs occasions Je me trouve obligé de répondre pour ma justification qu’on ne pouvoit bien servir que de trois manières ou au clavecin / Ou pour la direction de la mesure / ou pour la partie qui regardoit l’economie de cette fete / Sattestat et prouve qu’il n’a pas la connoisance du clavecin/ Sattestat et prouve qu’il n’a pas la précision dans le temps nécessaire pour cette occasion. / Sattestat et prouve qu’ayant malvérsé dans ses contes il n’estoit pas de l’interest de V. A. R. de luy en faire dresser d’autre / On ne s’en est servi ni au concert l’on a donné au duc de Brunsvik, ni a celuy que l’on a donné a la Reine de Naples , ni a celuy que l’on a donnè a S. M. L’impereur / Je nay fait que de me conformer à ce que j’ay trouvé établi le reste dépend de la volonté de V. A. Royalle»: ibid., c. 54.

[66] Giacomelli, il quale tratta l’argomento distesamente, riportando ampi passi delle lettere presenti nel carteggio martiniano, rimane ignaro delle reali origini di quel lavoro. Cfr. GIACOMELLI, Monsieur Campion e Padre Martini, cit., pp. 166-sg.

[67] Cfr. CBM, Carteggio Martininiano, I.1.129, 9 marzo 1771; I.1.130, 12 giugno 1771.

[68] Alla prima lettera del Campion il maestro bolognese non rispose, costringendo il Maestro di Cappella ad una seconda lettera in cui venivano rinnovate le stesse richieste. CBM, Carteggio Martiniano, I.14.118, 8 agosto 1772; I.14.119, 1 dicembre 1772. La generosità di Padre Martini era proverbiale; questo anomalo silenzio si potrebbe imputare al fatto che il canonico bolognese fosse a conoscenza degli screzi fra Ligniville e il Maestro di Cappella e perciò con il suo atteggiamento volesse tenersi distante da questa diatriba o favorire il Marchese lorenese, con il quale aveva senza dubbio più affinità e del quale nutriva maggiore stima.

[69] «Il Sig. Carlo Antonio Campion, Maestro di Cappella a questa Real Corte, avendo in più volte presentato diversi suoi lavori in musica a S. A.R., nostro Sovrano, ne ha riportato ultimamente dalla Real Munificenza in segno di gradimento, una superba tabacchiera d’oro piena di Zecchini»: GT, 19 giugno 1773, p. 99.

[70] Alessandro Felici (Firenze, 1742-1772), compositore eclettico e prolifico, nella sua carriera si misurò con vari generi, operistico, chiesastico e cameristico. Dopo un robusto apprendistato condotto sotto la guida paterna si recò molto giovane a Napoli per un perfezionamento nella Drammatica (musica da teatro). Rientrato a Firenze iniziò per lui una attività instancabile che portò i suoi lavori ad essere eseguiti e apprezzati in varie piazze italiane. Insieme al padre aveva dato vita alla cosiddetta ‘scuola dei due Felici’, presso la quale si formò il giovane Luigi Cherubini. Cfr. MARIO FABBRI, La giovinezza di Luigi Cherubini nella vita musicale fiorentina del suo tempo, in Luigi Cherubini nel II centenario della nascita, Firenze, Olschki, 1962, pp 13-19.

[71] «Sento con sommo dispiacere che un giovane nostro fiorentino sia passato le montagne per farsi compatir a Bologna doveva riflettere che un maestro come Kluck era rispettabile fin nella disgrazia questa verità lanno sentito i maestri di cappella teatrali di Bologna i quali non hanno voluto impegnarsi in tal affare siccome il nostro Felici è giovane si può sperare che impara primo a vivere del mundo e poi il contrapunto in quest’ultima scienza io credo luttimo dei miei cani di caccia molto più servito di lui mi perdoni V.R. questa mia amara critica ma certe cose mi fanno perdere la flemma»: CBM, Carteggio Martiniano, I.19.1.139, senza data.

[72] «Sua Altezza Reale per ragioni a lei note, ordina, che dal primo dello scorso mese di Ottobre in poi cessi la pensione di Lire Sette mila cento venticinque l’anno, di cui godeva il Marchese Eugenio di Ligneville sopra la cassa della Depositeria generale; al quale effetto il detto Marchese di Ligneville sarà levato dal ruolo de Pensionati della detta Depositeria»: ASF, DG, F. 15, c. 258, 25 novembre 1776.

[73] «S. A. R. avendo destinato di dare in regalo al Sig. Marchese Eugenio di Ligneville il cavallo stornello di anni 6 nominato = ingrato = che si ritrova nelle RR. Scuderie di S. Marco, partecipa questa risoluzione a V. S. Ill.ma in adempimento della quale farà consegnare al predetto sig. Marchese il cavallo divisato»: ASF, IRC, F. 24, Affari del Dipartimento del Maggiordomo Maggiore della Real Corte, Gennaio-Giugno 1773, c. 38.

[74] «S.E. il Sig. Marchese di Ligneville ha ricevuto in dono da S.A.R. uno de’ suoi bellissimi cavalli stornelli della razza gentile»: NDM, 5 febbraio 1773, p. 87.

[75] «All’E. S. Dott. Giuseppe Vinci Cancelliere del Magistrato Supremo / Lì 4 luglio 1775 / Trasmetto a V.E. la qui annessa istanza di Cosimo Siries affinché dal tribunale del Magistrato supremo sia proceduto come è di giustizia nella vertenza del credito che il detto Siries espone di avere contro il sig. Marchese Eugenio di Ligneville. / Mi confermo con distinta stima / Thurn» ASF, IRC, F. 28 , Affari del Dipartimento del Maggiordomo Maggiore della Real Corte, Luglio-Dicembre 1775, c. 171. Cfr. anche PASTA, Scienza politica e rivoluzione, cit., p. 10.

[76] «Ieri tornò di Maremma il Marchese di Ligneville»: NDM, 12 maggio 1775, p. 303.

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