CARLO BIANCHI, L’Andante della Sonata n° 5 op. 45 di Viktor Ullmann. Una testimonianza da Theresienstadt :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

Carlo Bianchi

 

L’Andante della Sonata n° 5 op. 45 di Viktor Ullmann. Una testimonianza da Theresienstadt

 

 

I. Ullmann-Renaissance

Da circa dieci anni la figura di Viktor Ullmann (1898-1944) sta emergendo con rinnovata forza nell’ambito degli studi musicologici e, di pari passo, in quello dell’editoria musicale, del mercato discografico e dei circuiti concertistici. Nel 2004 la rappresentazione al Festival di Spoleto dell’opera da camera Der Kaiser von Atlantis, oder die Todverweigerung (L’imperatore di Atlantide, ovvero l’abdicazione della morte) ha posto Ullmann anche all’attenzione del pubblico italiano. Per quanto riguarda il mercato audio-visivo, dopo vari CD, nel 2003 la casa Capriccio ha realizzato il DVD multilingue Fremde Passagiere. Auf den Spuren von Viktor Ullmann (Passeggeri sconosciuti. Alla ricerca di Viktor Ullmann) che insieme all’esecuzione della Seconda Sinfonia in Re maggiore (ricostruita trascrizione dalla Sonata n° 7 per pianoforte) contiene un documentario curato da Jean-Jaques Vlasselaer. Fra le pubblicazioni delle musiche di Ullmann si segnalano, oltre al Kaiser von Atlantis, il melologo per pianoforte e voce recitante Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph Rilke (Il canto d’amore e morte dell’Alfiere Christoph Rilke; Schott, 1995) e le edizioni complete delle Sonate per pianoforte solo (Schott: vol. I, 1997; vol. II, 2001) e dei Lieder per voce e pianoforte (Schott, 2004). I contributi musicologici sono per lo più di area e lingua tedesca: fondamentali l’ampia monografia di Verena Naegele (2002)[1] e alcune pubblicazioni curate da Hans-Günter Klein, in particolare un volume di documenti e gli atti di due convegni organizzati, rispettivamente, in occasione del cinquantenario della morte e del centenario della nascita del compositore.[2]

Quali i motivi di tale ritorno su più fronti? Certo una fisiologica necessità di completezza di analisi dei repertori. Ma probabilmente anche una tendenza che, ormai da anni, ha messo in discussione quella sedimentata visione storiografica di derivazione adorniana secondo cui nella prima metà del Novecento la dodecafonia di Schönberg e il neoclassicismo stravinskijano costituirebbero due principali ‘poli di attrazione’ che relegano altre coeve produzioni in posizione subordinata a costituire una sorta di ‘tessuto connettivo’. Il linguaggio adottato da Ullmann, erede ab imis fundamentis delle ricerche armoniche e contrappuntistiche della scuola schönberghiana, ma allo stesso tempo non assoggettato alla dodecafonia, continuamente in bilico fra l’«opera di attualità» anni Venti, l’assunzione di matrici etniche e decisi recuperi delle strutture tonali, si pone nell’ambito di quelle scritture eclettiche – di Milhaud, Poulenc, Britten, Křenek, Hindemith, Prokof’ev, Šostakovič, per fare alcuni nomi – che ultimamente hanno stimolato interessi analitici volti a contraddire il presupposto ruolo egemone della coppia Schönberg-Stravinskij. Inoltre, certi linguaggi ‘misti’ sono più in sintonia con i cross-over che da un po’ di tempo, superata la fase delle avanguardie seriali, contraddistinguono vari ambiti della musica contemporanea. In altre parole, oggi forse attraversiamo un periodo che con le sue multiformità espressive si rivela più adatto che in passato a recepire, ad ogni livello, una produzione come quella di Ullmann.

Sono, queste, ipotesi di motivazioni ‘tutte musicali’. Ma il rinnovato interesse su Ullmann è anche fortemente legato alle particolarissime condizioni sociali che al tempo investirono il compositore e la sua musica. Ullmann appartiene a quella schiera di compositori perseguitati dal regime nazista la cui produzione rivela una peculiare ‘resistenza’. Nell’ambito delle dinamiche storiche e sociali che durante la seconda guerra mondiale causarono agli artisti lutti e sconvolgimenti, condizionamenti, repressioni, deportazioni ed emigrazioni coatte, quello di Ullmann fu un caso estremo, in un luogo a cui storici, sociologi, musicologi, e non ultimi gli psicologi, hanno dedicato particolare attenzione: il campo di concentramento di Theresienstadt.

 

II. Ullmann e Theresienstadt

Cecoslovacco di famiglia e cultura ebraica, ma entusiasticamente coinvolto nel movimento mistico-cristiano dell’antroposofia di Rudolf Steiner, Ullmann viveva a Stoccarda quando Hitler andò al potere, nel 1933. Dopo una serie di difficoltà e preoccupazioni legate alle sue attività antroposofiche e alle sue origini ebraiche, nel marzo 1939 venne sorpreso a Praga dall’occupazione nazista, andando incontro a varie peripezie che nel 1942 culminarono con la deportazione a Theresienstadt, insieme a migliaia di altri ebrei. Nel 1944 fu trasferito ad Auschwitz, a cui non sopravvisse.[3]

Theresienstadt, poco a sud di Praga (in ceco Terezín), era un campo di concentramento, ma non di sterminio. Secondo un piano opportunisticamente prestabilito, le condizioni dei detenuti erano più accettabili rispetto a quanto avveniva negli altri campi, perché Theresienstadt, oggetto delle ispezioni della Croce Rossa internazionale, doveva convincere l’opinione pubblica che nei campi nazisti fosse mantenuto un sostanziale rispetto dei diritti umani. A tale scopo venne anche realizzato il menzognero filmato Der Führer schenkt den Juden eine Stadt (Il Führer dona una città agli ebrei). Se Theresienstadt era il luogo che Hitler aveva ufficialmente donato agli ebrei, le condizioni in realtà non erano davvero buone, e furono molti a morire per stenti o denutrizione. Tuttavia, nonostante le ristrettezze e la vessazione morale, ai prigionieri veniva concessa la possibilità di frequenti attività di svago. La Freizeitgestaltung («Amministrazione del tempo libero») organizzava appuntamenti che davano modo di esprimersi agli artisti e in particolare ai musicisti: rappresentazioni teatrali e musicali, concerti, canti comunitari. Condividendo questa condizione di ‘creatività indotta’ con compositori come Pavel Haas, Gideon Klein, Alois Hába e Hans Krása, nell’arco di due anni Ullmann diede alla luce molte delle opere che oggi la musicologia sta riscoprendo: dal Cornet ai Lieder, ad alcune Sonate per pianoforte, fino a Der Kaiser von Atlantis – composizione quest’ultima, forse la più riuscita di Ullmann, che può essere considerata l’emblema del musicista perseguitato.

A Theresienstadt le ambiguità, le contraddizioni fra concessione e repressione che caratterizzavano tutto l’universo concentrazionario nazista risultarono talmente accentuate da far scaturire una produzione artistica e musicale non solo paradossalmente fiorente, ma anche dai presupposti sociali, dalle caratteristiche tecniche e dalle funzioni estetiche assai singolari.[4] Arte e musica come sfogo, svago, sollievo rispetto alla sofferta vita del campo, ma anche come esperienze che, pur nel gioco dei persecutori, produssero fra gli internati una forte coesione sociale ed etica, configurandosi talora come un’insperata possibilità di espressione critica, dolorosa e dissenziente, rivolta verso gli aguzzini. Rivolta dell’anima.

Ma come si poteva porre in atto una critica verso un potere tanto opprimente, pronto a colpire con ferocia ogni segno di insubordinazione? Ovviamente in modo sfuggente, allusivo, simbolico, metaforico. In generale, le resistenze interne al Reich nazista sono individuabili per lo più tramite una Sozialgeschichte von unten («storia sociale dal basso») attenta ad atteggiamenti poco esposti dell’uomo comune, che potevano specchiarsi nel carattere ripiegato e metaforico delle opere di taluni artisti e intellettuali. Allo stesso modo la resistenza degli artisti e dei compositori di Theresienstadt va ricercata in una ‘poetica del camuffamento’ che per la comunità del campo, e ancor più per noi, fruitori di tali opere dopo tanti anni, corrispondeva e corrisponde a una ‘estetica della decifrazione’.

 

III. Musica e messaggi

Nella produzione musicale di Theresienstadt la critica socialmente connotata, l’atteggiamento dissenziente, si poteva esprimere con l’allegorico impiego di testi verbali: per lo più libretti di opere o poesie di cicli liederistici. Der Kaiser von Atlantis, ancora, è l’esempio di come una vicenda apparentemente a-storica possa essere riferita alla realtà che coinvolgeva Ullmann e i suoi compagni di sventura. Il libretto, scritto da un altro internato, Peter Kien, narra infatti di un dominatore e del suo ambiguo rapporto con una morte intesa come momento di catartica liberazione dal dolore.[5] Non ci sono in verità, né potevano esserci, elementi che indichino esplicitamente il protagonista, il Kaiser, come una personificazione del dominio nazista (o lo identifichino addirittura con lo stesso Hitler), ma la metafora appare fortemente probabile considerando sia il generale contesto di Theresienstadt sia alcuni piccoli indizi del libretto e della partitura. Fra questi il più sintomatico è forse il nome del protagonista, non solo il Kaiser ma il Kaiser Overall. Singolarmente inglese, all’interno di un’opera in lingua tedesca, il nome dell’imperatore è una presumibile copertura della corrispettiva espressione über alles. È facile individuarvi un riferimento al Deutschland, Deutschland über alles dell’inno nazionale tedesco. E del resto la parola Kaiser ricorreva nel primo verso dell’inno dell’impero asburgico, intonato sulla medesima musica (Gott erhalte Franz, den Kaiser). Il riferimento a inni nazionali, delle nazioni dominanti o di quelle degli oppressi, era un espediente musicale allegorico diffuso a Theresienstadt come nei campi di concentramento in generale. Disponiamo di testimonianze riguardo al modo in cui tali riferimenti potevano essere recepiti, dalla comunità estetica dei prigionieri, nel loro pieno significato.[6]

Oltre all’adozione di certi testi verbali, era dunque la citazione melodica un altro dei mezzi che a Theresienstadt potevano veicolare, in modo tutto interno al medium musicale, referenti dal sapore polemico, di resistenza. Il movimento conclusivo della Sonata per pianoforte n° 7 di Ullmann è stato definito un testamento da Theresienstadt proprio in ragione delle sue svariate citazioni melodiche, tali da rendere la partitura simile, idealmente, a quelle cartoline che i detenuti inviavano a conoscenti e parenti all’esterno del campo piene di sottointesi e messaggi in codice: ‘criptate’, per aggirare la censura dei carcerieri.[7] Nel Finale della Sonata ci sono allusioni all’inno nazionale della Cecoslovacchia, patria di Ullmann, ma anche citazioni di una melodia ussita e soprattutto di una ebraico-sionista, che costituisce il tema per le Variazioni e la Fuga. Si trova anche la citazione di una cellula melodica che in Der Kaiser von Atlantis ricorre in modo assai drammaturgicamente connotato.

Ullmann, insomma, non potendo scrivere aperte denunce, ricorre a elementi molto sintomatici. Fra le varie citazioni melodiche, risultano di intuibile significato soprattutto quelle ebraiche, tese a rinforzare una coscienza ebraica collettiva che a Theresienstadt, come in tutti i territori del dominio nazista, veniva continuamente umiliata e soppressa. D’altronde, il forte contributo dato da Ullmann alla valorizzazione delle attività e del patrimonio musicale ebraico del campo aveva certo avuto anche questa funzione di autoaffermazione psicologica, non solo di svago.[8]

Insieme con la Sonata n° 7 per pianoforte e con Der Kaiser von Atlantis, la composizione più resistenziale di Ullmann a Theresienstadt è generalmente considerata il melologo Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph Rilke, cui si è accennato all’inizio, basato su un poemetto di Reiner Maria Rilke (scritto nel 1899) che narra le gesta di un antenato di Rilke, Christoph. Ullmann adotta il testo di Rilke con il presumibile significato di una ‘incoraggiante’ analogia storica rispetto a ciò che stava accadendo intorno a Theresienstadt (lo sbarco in Normandia, l’avanzata delle truppe sovietiche da est: l’imminente sconfitta dei tedeschi). Oltre al Cornet, alla Sonata n° 7 e al Kaiser, per decifrare ulteriormente la resistenza musicale di Ullmann, non va tuttavia dimenticata una breve pagina pianistica: il secondo movimento della Sonata n° 5 op. 45.

 

IV. L’Andante della Sonata. Aspetti e vicende di due testi

In questo Andante di 78 battute Ullmann non ricorre a citazioni di connotata derivazione etnico-sociale. Il referente extramusicale, che sembra indicare una contraddizione rispetto all’etica e all’estetica del dominio, è dato invece dalla presenza di una poesia intitolata Vor dem Schlaf (Prima del sonno) di un altro artista ebreo, Karl Kraus. Come per il poema di Rilke, Ullmann sembra appropriarsi di un testo preesistente (Vor dem Schlaf risale al 1919) ricodificandolo alla luce dell’hic et nunc di Theresienstadt. Al tempo dei regimi totalitari e della seconda guerra mondiale, quello della ricodificata appropriazione di un testo letterario precedente è un procedimento condiviso da altri compositori che in modi diversi esprimono una certa ‘resistenza’: si pensi ad Arnold Schönberg (Ode to Napoleon Bonaparte, da Byron), Goffredo Petrassi (Coro di Morti, da Leopardi), Luigi Dallapiccola (Il prigioniero, da De Coster e Villiers de L’Isle Adam), Karl Amadeus Hartmann (Simplicius Simplicissimus, da Grimmelshausen), Sergej Prokof’ev (Guerra e pace, da Tolstoj). Testi verbali le cui implicazioni poetiche originarie vengono assunte e riconnotate all’interno di un nuovo orizzonte di significato storico, socio-politico, filosofico. Come per il Cornet e la sua battaglia etica, tali operazioni ermeneutiche portano la struttura semantica del testo a ‘divaricarsi’, ad articolarsi su due o più livelli che interagiscono in base a meccanismi estetici diversificati. Come si articola e da cosa è motivato, dunque, il rapporto fra i livelli semantici del Vor dem Schlaf nell’Andante di Ullmann?

Tramite le parole di Kraus, Ullmann evoca uno sconsolato, dimesso ripiegamento interiore venato di sofferenza e di incertezza per il futuro. Nella partitura manoscritta è annotata solo la prima strofa delle tre di cui consta l’originale di Kraus, seguita da una parentesi con il titolo e l’autore

 

1. So Spät ist es, so späte…

Was werden wird, ich weiß es nicht.

Es dauert nicht mehr lange,

Mir wird so bange

Und seh in der Tapete

Das klagende Gesicht.

 

(„Vor dem Schlaf". K. Kraus)

 

[2. Allein bin Ich, allein

Was außerhalb, ich weiß es nicht.

Ach, dass mir’s noch gelänge,

Mir wird so enge,

Und seh’ in jedem Scheine

Ein fragende Gesicht].

[3. Nun bin ich schon entrissen,

Was da und dann, ich weiß es nicht.

Ich kann sie nicht behalten

Die Wahngestalten

Und fühl’ in Finsternissen

Das sagende Gesicht].[9]

 

Ullmann non ha incluso le due strofe successive, forse perché esse non introducono elementi di contraddizione o alterazione rispetto alla prima, ma si limitano a completarne e accentuarne il senso di dolente impotenza. Dopo la prima strofa infatti Kraus prosegue con riferimenti alla limitatezza dell’animo, alla follia e all’oscurità, con quella ripetizione della frase ich weiß es nicht a mo’ di ritmica cantilena che sembra configurarsi ancora di più come esistenziale verso portante della poesia, e infine con un altrettanto ritmico e pregnante ritorno del «volto» (Gesicht): prima «doloroso», «che piange» (klagende) poi «che si interroga» (fragende) e nell’ultimo verso «eloquente», «che parla» (sagende).

Non ci sono pervenute testimonianze sulla funzione di questa citazione, sul significato che Ullmann intendeva attribuire alla poesia. Come per il Kaiser, per la Sonata n° 7 o per il Cornet, possiamo formulare alcune ipotesi, ricorrendo a generali considerazioni storiche, sociologiche ed estetiche riguardo al compositore e alla sua vita nel campo, nonché appoggiandoci a certi aspetti compositivi di questo Andante, anche in relazione ad altre opere dello stesso Ullmann. È presumibile che Ullmann tramite i versi di Kraus intendesse commentare la propria condizione di sofferenza, di precarietà materiale e spirituale. Una condizione che egli condivideva con gli altri detenuti. Inoltre il sonno è qui una presumibile metafora della morte, e quindi per Ullmann l’essere «prima del sonno» poteva corrispondere alla visione di una morte che a Theresienstadt aveva colto molti altri compagni e suoi amici, e di cui egli poteva avere comprensibilmente paura. La morte stava davvero attendendo Ullmann: ad Auschwitz.

L’idea che Ullmann intendesse il sonno come metafora della morte può essere supportata da vari elementi. Oltre all’ipotesi che questa metafora fosse propria dello stesso Kraus, e oltre all’ovvia considerazione che siamo in presenza di un’identificazione trasversale a tutta la letteratura occidentale, è utile considerare il momento e le modalità di stesura della Sonata. Ullmann la compose e rielaborò in cinque successive versioni, che ci sono pervenute manoscritte di suo pugno.[10] La prima versione intitolata Meiner liebern Frau Elisabeth / In memoriam Theresienstadt / Viktor Ullmann / 5. Klaviersonate / op. 45 venne terminata il 27 giugno 1943. Presenta una struttura in sei movimenti, indicati da Ullmann con il seguente elenco (annotato dietro la pagina del titolo):

 

I – Variationen über ein Lied ohne Worte

II – Menuett (Totentanz)

III – Toccata

IV – Serenade

V – Notturno

VI – Finale fugato

 

In questa versione il movimento con il testo di Kraus è il quinto, intitolato Notturno, e consta di 51 battute. L’indicazione Variationen über ein Lied ohne Worte in realtà non corrisponde al primo movimento, che è un Allegro originariamente pensato per la Sonata n° 6. Nella seconda versione viene eliminato il Menuett. Nella terza versione il Notturno accompagnato dalle parole di Kraus è posto come secondo movimento, modificato, ampliato fino a 78 battute e intitolato prima Notturno Andante, poi addirittura Vor dem Schlaf (cancellato). Nella quarta versione viene eliminato il testo di Kraus e l’indicazione agogica è semplicemente Andante. L’edizione Schott considera il movimento nella revisione di 78 battute. È indicato Andante e con il testo di Kraus sopra il primo pentagramma. La prima versione invece, il Notturno di 51 battute, è riportata in appendice (così come il Menuett-Totentanz eliminato). La successione dei movimenti nell’edizione è quindi questa

 

I – Allegro con brio

II – Andante

III – Toccatina

IV – Serenade

V – Finale fugato

 

Il processo di revisione della Sonata mostra una generale attenzione da parte di Ullmann nel connotare il ‘movimento di Kraus’ in senso extramusicale (a tale esigenza sembra rispondere anche l’indicazione Notturno), ma emerge un indizio significativo anche relativamente al Menuett. Eliminato nel passaggio dalla prima alla seconda versione, il Menuett, con il sottotitolo Totentanz, testimonia come l’idea della morte aleggiasse sulla Sonata fin dall’inizio. Dopo averlo tolto dalla disposizione della Sonata, Ullmann fece confluire questo Totentanz nella struttura di Der Kaiser von Atlantis a cui stava lavorando proprio in quell’estate 1943. In particolare, il Totentanz nella versione definitiva del Kaiser è un Intermezzo posto come primo brano del secondo quadro (n. VII). Gli altri due Intermezzi dell’opera hanno lo stesso carattere: il secondo Intermezzo è ancora un Totentanz (ultimo brano del secondo quadro, n. IX) che riprende materiale del primo, mentre il terzo è una Tanz-Intermezzo Die lebenden Toten (I morti viventi, ultimo brano del terzo quadro, n. XIII) che preannuncia il quadro con la scena di Arlecchino e del Suonatore di Tamburo. È proprio questa scena, peraltro, a testimoniare quanto l’idea del sonno e dell’ora ‘tarda’ (spät) siano nell’opera e nelle concezioni di Ullmann strettamente connesse all’idea della morte. Durante questo dialogo con il suonatore di tamburo, Arlecchino invita un bambino a dormire, perché non si curi della morte del proprio padre in guerra e del dolore della propria madre: «Schlaf, Kindlein schlaf: / ich bin ein Epitaph. / Dein Vater ging im Krieg zu-grund. / Dein’ Mutter fraß ihr roter Mund, / schlaf Kindlein schlaf. // Spät Kindlein spät, / der Mann in Monde mäht...» («Dormi bambinello dormi. Io sono un epitaffio. Tuo padre è perito in guerra. Tua madre ha divorato la sua bocca rossa. Tardi, bambinello tardi, l’uomo sulla luna miete…»).

Il fatto che Ullmann stesse lavorando contemporaneamente alla Sonata n° 5 e al Kaiser, e che fra queste due composizioni si verifichi uno scambio di materiali così pregnanti, materiali che anche nella Sonata sono caratterizzati da espliciti referenti extramusicali, rende plausibile l’ipotesi di una similitudine poetica fra il «sonno» di Kraus e le più tragiche, a loro modo polemiche pieghe della morte. Data la citazione da Kraus, l’Andante rivela la propria carica suggestiva anche nel testo musicale stesso: una dimensione fonica e un aspetto notazionale che si adeguano a questi versi poetici e ne potenziano il significato onirico, dolente, metaforico.

 

1. Pensiero ed Armonia

Nel corso dei cinque movimenti della Sonata, nella versione che Ullmann considerava definitiva, l’Andante si pone con una singolarità di linguaggio che risulta accentuata soprattutto dal contrasto rispetto al movimento precedente. La differenza deriva dall’agogica, dall’ordito, da figurazioni che nell’Allegro con brio sono decisamente ‘toccatistiche’ e nell’Andante molto più ‘liriche’, ma interviene soprattutto una differenza di tipo armonico. La diversa organizzazione dell’armonia dei primi due tempi della Sonata dimostra come nell’eclettico linguaggio di Ullmann – un modo, come diceva lui stesso, di riempire il divario fra l’armonia «romantica» e quella «atonale» per una sorta di «sistema dodecafonico su basi tonali»[11] – i momenti sperimentali e cromatici, radicalmente dissonanti, potessero essere impiegati per rivitalizzare certi processi associativi e simbolici ereditati dal sistema tonale.

L’ampio vocabolario armonico di Ullmann lascia sovente individuare una matrice sonora che in epoca post-tonale venne saltuariamente adottata da altri compositori, come Skrjabin e Bartók: la cosiddetta scala «acustica», ovvero quella compresa fra l’ottavo e il quattordicesimo suono della serie degli armonici. Partendo dal Do si può formare, per grado congiunto, la successione Do-Re-Mi-Fadiesis-Sol-La-Sibemolle. Quindi una scala con il IV grado innalzato e il VII minore (abbassato). La figura 1 illustra tale derivazione scalare e alcune delle sue potenziali armonie.

 

Figura 1

 

La figura 1 mostra come peraltro la scala acustica sia una sorta di intersezione fra un tetracordo esatonale (Do-Re-Mi-Fadiesis) e un esacordo ottatonico (Mi-Fadiesis-Sol-La-Si-Do). Riunendo le caratteristiche di due fondamentali risorse sonore neo- e post-tonali, dunque, la scala acustica offre possibilità armoniche molto varie; può costituire un mezzo per la generazione e l’integrazione di triadi e altri accordi per terze (settime, none, accordi di sesta eccedente) e accordi non-triadici (accordi per quarte, intersezioni di quarte giuste e tritoni, agglomerati con urti cromatici, fino all’accordo ‘mistico’ di Skrjabin). Per quanto sulla base della scala acustica, o di altre scale, gli accordi tonali di Ullmann non siano in genere tonalmente correlati ma diano luogo a cadenze alterate e straniate, i momenti, i passaggi, i luoghi in cui essi sono impiegati con frequenza risultano comunque carichi di ‘tendenze’ tonali, anche quando alternati ad altri in cui la morfologia degli elementi tonali (non solo la loro sintassi) è fortemente compromessa.

 

Esempio musicale Esempio 1 (V. Ullmann, Sonata n° 5 op. 45, I)

 

Da un accostamento fra il primo e il secondo tempo della Sonata n° 5 emerge come tali procedimenti armonici possano corrispondere a un meccanismo estetico carico di referenti extramusicali. La veste armonica iniziale dell’Allegro con brio è decisamente tonale, quantunque ‘modernizzata’ dalle note della scala acustica. Nelle primissime battute, i salti melodici all’unisono fra le due mani già suggeriscono movenze armoniche V-I. La scala acustica ascendente fra le bb. 3-4 è armonizzata con una triade di Do maggiore. La scala discendente a bb. 7-8 mostra come per Ullmann la scala acustica possa essere un riferimento di partenza continuamente modificato, poiché partendo dalla nota Sol si dispiega una scala con il IV grado alterato e il settimo minore, ma anche con il sesto minore (Mi). La centralità intorno a Sol deriva, oltre che dalla nota di partenza della scala, dalla triade di Sol maggiore che armonizza queste due battute. La successiva b. 9 riporta l’armonia nell’ambito di un Do maggiore ‘allargato’ da alcuni accordi non tonalmente funzionali e da qualche nota estranea. Si può dunque vedere come pur nel riferimento a una scala acustica, in ogni caso non diatonica maggiore-minore, quella di Ullmann sia comunque una tonalità (una neo-tonalità) di Do maggiore. Ullmann impiega alcune triadi fondamentali, formando cadenze che sono sì inusuali e arricchite da note estranee ma mantengono comunque ‘gesti’ inequivocabilmente tonali. Nelle prime 8 battute l’impalcatura cadenzale complessiva è data dal rapporto fra una tonica (triade di Do maggiore) e una dominante (triade di Sol), collegate tramite una nota Fadiesis (bb. 5-6: trillo della mano destra) che, pur derivata dalla scala acustica su Do, assume un ruolo di tonicizzazione come sensibile di Sol.

Nel linguaggio neo-tonale di questo Allegro con brio si verificano vari allentamenti, per così dire. Nondimeno, ritornano con frequenza gli accordi triadici accompagnati da diversificate salienze della loro tradizionale funzionalità. Insieme con gli accordi tonali permane un loro trattamento che conferisce stabilità/distensione alle triadi consonanti e instabilità/tensione agli accordi che, per morfologia o posizione, da queste triadi sono distanti. A tale tendenziale dialettica armonica neo-tonale dell’Allegro con brio segue, nella disposizione definitiva dei movimenti, un Andante che si pone in una sorta di ‘stasi’ armonica, con un linguaggio assai più tonalmente corroso e defunzionalizzato.[12]

 

Esempio musicale Esempio 2 (V. Ullmann, Sonata n° 5 op. 45, II)

 

 Alle triadi perfette, ai gesti cadenzali tonali, alle polarità di alcune note e triadi dell’Allegro si contrappongono, nell’Andante, un continuo ‘scivolante’ cromatismo melodico, la presenza di accordi non-triadici, formati da quarte e seconde con urti cromatici, e infine un diverso trattamento degli accordi tonali per terze. In tale contrapposizione si può vedere l’allargamento di un principio generale secondo cui, se la dialettica tonale stabilità/instabilità deriva dall’impiego di triadi perfette alternate ad altri accordi progressivamente ‘tensivi’ (dalle settime e none di dominante fino alle settime più alterate e agli accordi di sesta eccedente), tale dialettica entra in crisi quando questi ultimi, gli accordi più alterati e maggiormente costituiti da intervalli simmetrici, vengono impiegati in modo insistito. Di fatto, le triadi eccedenti e diminuite, le settime diminuite, le seste francesi e tedesche etc. – vagierende Akkorde («accordi vaganti») come li chiamava Schönberg – se presenti in gran quantità perdono l’originaria necessità di risoluzione e la loro direzionalità cadenzale tonale.

Oltre che da accordi morfologicamente non tonali, questo Andante è caratterizzato da una quantità di accordi triadici simmetrici non risolti che contribuiscono a rendere l’armonia complessiva affatto ‘vagante’, per dirla con Schönberg. Sintomatici, fra gli altri, gli accordi simmetrici a tendenza esatonale impiegati per alcune fondamentali cesure fraseologiche: la triade eccedente a b. 22 (mano destra, a conclusione della sezione Più adagio per l’inizio della sezione Rubando ma tranquillo) o l’accordo per quarte eccedenti a b. 42 (conclusione della sezione Rubando ma tranquillo che prepara alla ripresa della sezione iniziale, Tempo I). La cesura di b. 34, invece, è ottenuta con una settima di prima specie (di dominante, in senso lato) costruita su un Sol che costituisce un pedale della precedente cadenza ‘alterata’. Ullmann tende a straniare anche le poche triadi perfette (come già nell’inizio la triade di Re minore a b. 2) e a sospendere le funzioni degli accordi di settima (come a bb. 11-12 la settima di prima specie nella mano sinistra: Fadiesis-Ladiesis-Dodiesis-Mi).

Per gli accordi dell’Andante in molti punti si può intravedere una potenziale derivazione ‘acustica’. Pure all’interno di una medesima caratteristica di linguaggio, dunque, fra i primi due movimenti si crea un sensibile scarto stilistico. A fronte della relativa direzionalità dell’Allegro con brio, l’Andante dispiega un’armonia che elude pressoché del tutto i momenti di tensione e distensione tonale. Un’armonia ‘vagante’, così come ondivaga, dai contorni sfumati ed esistenzialmente interrogativi, è l’atmosfera dell’incipiente sogno di Kraus. Rispetto al primo movimento, sembra operare un principio di differenziazione armonica erede, a lungo raggio, di quella contrapposizione fra campi diatonici e campi cromatico-simmetrici che nella drammaturgia musicale dell’Otto-Novecento, soprattutto in area russo-slava, giù giù fino a Glinka, corrispondeva alla contrapposizione fra il mondo reale/concreto e quello fantastico/onirico. Ullmann sembra rifarsi a processi residui del sistema tonale per le loro potenzialità associative.

Così l’Andante si differenzia rispetto all’Allegro con brio grazie all’armonia. Ma abbiamo accennato anche ad altre caratteristiche di scrittura statiche e ‘sognanti’ (si veda ancora il ‘penseroso’ ostinato iniziale sulla nota Dodiesis, ripreso nella sezione Rubando ma tranquillo) che contribuiscono a rendere la sonorizzazione delle parole di kraus lontana dal i movimento, e anche dai movimenti successivi.

L’esplicito referente extramusicale indicato dalla prima strofa della poesia di Kraus non costituisce un mero riferimento esterno, eventualmente ‘posticcio’, ma trova una rispondenza nel linguaggio compositivo del brano. Si verifica un’interazione fra la struttura dell’opera musicale e quella del testo verbale, indice di una identificazione fra la poetica del compositore e il significato delle parole. Ripiegandosi verso aspetti esistenziali dolenti, in simbiosi con una struttura compositiva vagante, l’Andante della Sonata si configura come un atto di non conformità alla politica, all’etica e all’estetica naziste, le quali invece dalle espressioni artistiche esigevano un vitalistico e celebrativo ‘ottimismo’ nei riferimenti verbali e rappresentativi, nonché una massima comprensibilità di linguaggio, che in musica doveva corrispondere a una sostanziale adesione ai principi tonali.

 

2. Pensiero ed enarmonia

Dunque, in base ad alcuni indizi forniti dalla vita del campo e dalla vita e dalla struttura della partitura, si può cercare di ricostruire un significato dell’andante che tende a superare un generico ripiegamento intimista per farsi anche socialmente critico. il presumibile slittamento semantico che ullmann attribuì alle parole di kraus, riferendole alla condizione esistenziale di theresienstadt, si può dedurre, dicevamo, da considerazioni generali sulle dinamiche di organizzazione e psicologia sociale del campo. in tal senso costituiscono un prezioso elemento alcune dichiarazioni dello stesso compositore. ad esempio, in uno scritto dal sintomatico titolo Goethe und Getto, Ullmann parla della musica scritta a Theresienstadt come di uno atto etico: «il nostro sforzo per servire rispettosamente le Arti è stato proporzionale alla nostra volontà di vivere malgrado tutto».[13]]

Nell’Andante l’identificazione fra sonno e morte, già indirettamente segnalata dalla presenza e dallo spostamento del Menuett-Totentanz, può risultare confermata, e caricata non solo di un senso di dissenziente scoramento ma, paradossalmente, anche di resistente volontà di sopravvivenza, chiamando in causa la più forte fonte di ispirazione etica e spirituale di Ullmann: il pensiero antroposofico di Rudolf Steiner. Il fondamentale libro di Steiner Die Geheimwissenschaft im Umriss (La scienza occulta nelle sue linee generali) contiene infatti un capitolo intitolato «Sonno e morte» che può illuminare più a fondo il Vor dem Schlaf di Ullmann. Non è il caso di riassumere qui il contenuto di «Sonno e morte»; basta forse ricordare che in Steiner l’analogia fra la condizione del sonno e quella della morte scaturisce dall’identificazione con una generale condizione ‘soprasensibile’ in grado di condurre l’uomo a un progresso spirituale che si traduce in una più profonda conoscenza del mondo, dei suoi aspetti visibili e invisibili.

Come l’uomo non può essere sempre desto, così nelle esigenze reali della vita, presa in tutta la sua estensione, egli non può fare a meno di ciò che gli è offerto dal soprasensibile […] La vita continua nel sonno, e le forze che lavorano o creano durante la veglia prendono vigore e ristoro da ciò che il sonno dà loro […] un uomo che non rinnovi continuamente con il sonno il vigore delle proprie forze esaurite giunge alla distruzione della propria vita; parimenti una considerazione del mondo che non sia fecondata dal riconoscimento dell’invisibile conduce alla desolazione […] Similmente è della ‘morte’: gli esseri viventi soggiaciono alla morte perché possa sorgere nuova vita: è la scienza occulta che diffonde chiara luce sulle belle parole di Goethe: «la natura ha inventato la morte per avere molta vita…».[14]

Sonno come morte, dunque, ma, prima ancora, sonno come fonte di energia e conoscenza metafisica. Fu questo per Ullmann, oltre un senso di ripiegamento dolente, il profondo significato delle parole di Kraus nella tragedia di Theresienstadt? Il riferimento a queste riflessioni di Steiner non deve sembrare troppo ipotetico, poiché per Ullmann il pensiero steineriano era stato un interesse culturale, religioso e filosofico rivelatosi una ragione di vita. Entusiasta neofita dell’antroposofia, egli aveva addirittura deciso di rinunciare, professionalmente, all’attività di musicista, per dedicarsi, fra il 1931 e il 1933, alla gestione di una libreria antroposofica a Stoccarda. La libreria venne chiusa proprio all’avvento del regime, nel 1933. Due anni dopo, l’antroposofia divenne per Ullmann addirittura il soggetto di un’Opera, Der Sturz des Antichrist (La caduta dell’anticristo), basata su un libretto di Albert Steffen, successore di Steiner alla Anthroposophische Gesellschaft. Sempre su testi di Steffen, Ullmann scrisse anche parecchi Lieder (vanno menzionati in particolare i Sechs Lieder nach Gedichten von Albert Steffen op. 17, del 1937). Ullmann doveva dunque conoscere molto bene, fra i libri di Steiner che aveva studiato e commerciato, anche il fondamentale La scienza occulta, con il suo «Sonno e morte». Non abbiamo prove incontestabili che il sonno di Ullmann corrisponda esattamente alle riflessioni steineriane di «Sonno e morte». Certo è che i principi esistenziali antroposofici accompagnarono il compositore sino alla fine. Del resto, la dichiarazione di poetica Goethe und Getto che Ullmann scrisse a Theresienstadt è colma di atteggiamenti spirituali steineriani, e già nel titolo indica la fondamentale figura di riferimento culturale ed etico del movimento antroposofico: Goethe. Preso a nume tutelare dell’istituto destinato alla divulgazione del pensiero steineriano, appunto il Goetheanum di Dornach (Svizzera), Goethe ritorna in molti punti nevralgici del pensiero di Steiner, come quando in «Sonno e morte» viene citata la frase «la natura ha inventato la morte per avere molta vita».

Nel sonno dell’Andante l’atteggiamento antroposofico di Ullmann è un dato altamente probabile: anzi, pressoché certo. Un pensiero che ammanta ulteriormente le parole krausiane e il linguaggio musicale dell’Andante di un significato di resistenza rispetto alla catastrofe incombente. Peraltro, tale atteggiamento suggerisce una chiave di lettura per una caratteristica della scrittura dell’Andante che sembra per certi aspetti inspiegabile: la sua notazione enarmonica.

Ullmann ricorre ad alcune alterazioni che producono, soprattutto a livello di costituzione degli accordi, una sorta di distorsione notazionale: una distorsione armonica fittizia. Oltre agli accordi per quarte e a quelli formati da intersezioni di quarte giuste e di tritoni, gli accordi tonali sono scritti in modo da nascondere il principio della sovrapposizione di terze. Basta osservare come all’inizio di bb. 2 e 6 la triade di Re minore nella mano destra presenti la quinta, Fa, scritta come Midiesis. Lo stesso si verifica nella cadenza della mano destra che caratterizza l’inizio della seconda sezione Rubando ma tranquillo, a bb. 23 e 25, e poi nella ripresa della prima sezione a b. 44. Da notare anche il Fa e il Doo rispettivamente a bb. 8 e 10 nella mano sinistra. Tali enarmonie sono disseminate pressoché per tutto il brano. Esse possono forse essere spiegate come conseguenza di un movimento interno delle parti, a testimonianza della spiccata attenzione che Ullmann aveva sempre avuto per l’aspetto polifonico e contrappuntistico della scrittura. Ad esempio, il Midiesis che nasconde la triade di Re minore a bb. 4, 6, 23, 25 etc. può essere visto come appoggiatura delle successive note interne: Fadiesis a bb. 4 e 6, Fa naturale a bb. 23 e 25. Come appoggiature possono essere considerati anche il Fa e il Do di bb. 8 e 10. Insieme a tali scivolamenti cromatici giustificati da minimi movimenti melodici, permane tuttavia spesso una non-identità fra l’effetto triadico di certi accordi e la loro veste notazionale. Inoltre, ci sono altre pagine di Ullmann, strumentali, liederistiche e operistiche, in cui la notazione enarmonica lineare non è giustificata dal movimento melodico. Ancora nella quinta Sonata, ad esempio, si trova un caso di enarmonia totalmente ingiustificata all’inizio del quinto movimento: a b. 3 il soggetto del Fugato è caratterizzato da un Mi ribattuto tre volte, ma la prima volta è scritto come Fa bemolle (e così nella risposta della mano sinistra a b. 9).

 

Esempio 3 (V. Ullmann, Sonata n° 5 op. 45, V)

 

In casi quali quest’ultimo, come in molti Lieder, gli espedienti enarmonici di Ullmann sembrano solo dei ‘tic’ locali. Invece nell’Andante della quinta Sonata l’enarmonia, a dispetto di una eventuale giustificazione melodica, sembra, data la sua frequenza, indicare con più forza un intento nascosto, forse simbolico. Secondo un’ipotesi formulata da Robert Kolben, la notazione enarmonica di Ullmann potrebbe in qualche modo essere una rappresentazione grafica dell’idea di ‘euritmia’ steineriana. Per euritmia Steiner intende un’attività espressiva legata al movimento, al linguaggio, alla recitazione e quindi anche alla poesia, che rivela un’essenza corporea non visibile dell’uomo: l’essenza del corpo ‘eterico’ che si nasconde dietro l’apparenza del corpo fisico..[15] In Ullmann, quindi, quest’idea di espressione che manifesta una realtà diversa da quella visibile si rifletterebbe in un linguaggio – un sistema di organizzazione delle altezze – ‘diverso’ da come appare nella sua veste notazionale. Kolben argomenta tale ipotesi accennando ad alcune pagine liederistiche e al citato Finale fugato della Quinta Sonata, ma non all’Andante.[16]

Ullmann dovette certo essere a conoscenza del concetto di euritmia grazie alle rappresentazioni teatrali euritmiche che gli steineriani portarono nel 1923-1924 al Neue deutsche Theater di Praga, dove egli era attivo proprio in quel periodo.[17] A prescindere dallo specifico concetto di euritmia, l’attenzione alla sfera soprasensibile caratterizza tutto il pensiero di Steiner. ‘Occulta’, come detto, è la scienza trattata nel suo primo fondamentale libro. E già in vari capitoli de La scienza occulta Steiner elabora quella distinzione fra corpo eterico e corpo fisico su cui si basa l’idea di euritmia. Nel capitolo «L’essere dell’uomo» egli infatti elenca sette parti costitutive dell’uomo: corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale, io, sé spirituale, spirito vitale, uomo-spirito Tale concezione si trasmette al seguente capitolo «Sonno e morte», che qui ci interessa più da vicino. Secondo Steiner, nel sonno le attività creative si innestano grazie ad una particolare interazione fra le diverse parti corporee dell’uomo, quella fisica, quella eterica e quella astrale. Steiner parla di un corpo astrale che nello stato di veglia è congiunto con quello fisico e quello eterico, mentre nel sonno

Assume una forma d’esistenza diversa da quella che possiede quando è congiunto con il corpo fisico e con quello eterico. È compito della conoscenza soprasensibile di considerare quest’altra forma di esistenza del corpo astrale.[18]

Sono dunque vari gli elementi del pensiero steineriano, con cui Ullmann era in stretto contatto, che indicano una possibile funzione simbolica della notazione enarmonica dell’Andante.

 

V. Resistenza al dominio sull’arte e sul pensiero

I significati steineriani, tanto avversati dal nazismo, contribuiscono a configurare questa musicale ‘attesa del sonno’ come momento di resistenza, o per meglio dire, di ‘impermeabilità’ all’ideologia dei carcerieri di Theresienstadt. Quello che abbiamo definito «ripiegamento» su aspetti dolenti della condizione umana, il significato più evidente del testo di Kraus a prescindere dall’aggancio con l’idea della morte, è già un modo di porsi al di fuori del vitalistico pensiero del dominio nazista. Un pensiero che, nelle concezioni dei gerarchi, doveva permeare la vita del popolo, di ogni singolo individuo, fin nei minimi atteggiamenti quotidiani, coinvolgendo anche gli atteggiamenti psicologici e i gusti artistici. Nelle concezioni dello stesso Hitler, una nazione non poteva aspirare ad una reale crescita complessiva organizzandosi solo su basi materialistiche. Bisognava agire sulle coscienze. Questo pensiero dominante imponeva all’arte comprensibilità di linguaggio e ordine formale – figurativo, architettonico, letterario, musicale – nell’intento, più generale, di creare una sorta di identità fra la realtà esterna, quella delle militarizzate strutture materiali controllate dal regime, e quella interna alla mente dell’uomo comune, dell’artista, nonché del fruitore dell’opera. Del resto, il ripiegamento sul dolore è caratteristico non solo delle forme di resistenza al dominio nazista ma di quelle che si oppongono alle pressioni dittatoriali in genere. In Italia ancora più che in Germania, grazie a un decorso della dittatura generalmente più benigno e quindi a un maggiore possibilismo estetico, varie poetiche della sofferenza e del dolore, segnate tanto da psicologismi angosciati quanto da inquietudini formali e asperità di linguaggio, si sposarono a ideali di resistenza al fascismo e alla sua estetica. Si pensi, in ambito letterario, ai presupposti dell’Ermetismo fiorentino o della poetica di Cesare Pavese fino a Il dolore di Giuseppe Ungaretti o a La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda.

La resistenza, l’impermeabilità che si intravede nell’Andante della Sonata di Ullmann sembra spingersi oltre un generico ripiegamento dolente, fino a un rifiuto di adesione alla realtà esterna che sembra farsi pensiero socialmente critico. In questo brano il compositore sembra esprimere la coatta condizione di sonno e morte di Theresienstadt riferendosi alle concezioni steineriane de La scienza occulta e relative all’euritmia. Il testo di Kraus è una spia di quella psicologica «mobilità» ebraica – secondo una definizione di Vladimir Jankélévitch – che si pone con singolare continuità rispetto al pensiero steineriano dell’ebreo Ullmann. Si tratta di una irrequietezza disincarnata, una tendenza che da sempre, intrecciandosi ai princìpi cabalistici e alchemici, abbatte i confini della realtà materiale e le sue regole per sconfinare nella sfera dello spirituale, del fantastico, dell’irrazionale.[19] Una posizione della mente che, superando la contraddizione fra il cristianesimo di Steiner e l’ebraismo di Ullmann, soggiaceva alle varie forme di pensiero attaccate dai nazisti.

La ventata di tendenze metafisiche, simbolismi, misticismi, esoterismi e occultismi che aveva investito l’Europa a cavallo del Novecento aveva trovato un forte momento di contatto con la mobilità ebraica (soprattutto degli ebrei tedeschi), informando scoperte scientifiche, correnti artistiche d’avanguardia e nuovi filoni di pensiero. Il nazismo cercò a tutti i costi di sopprimere ed esorcizzare tale modernità inquieta. La persecuzione contro le opere artistiche ‘degenerate’ scaturì da una loro carica di psicologismo che si traduceva nella crisi di codificati princìpi formali e che sovente rifletteva altrettanto osteggiati modi di pensiero mistico, metafisico ed esoterico, come quello steinieriano.[20] In generale, l’antisemitismo nazista identificava nell’ebreo il fulcro dello sfascio nazionale tedesco non solo per ragioni socio-economiche ma anche spirituali e psicologiche. Se dunque l’antisemitismo era – per usare ancora le parole di Jankélévitch – un fatto «ontologico», a Theresienstadt il mantenimento di riferimenti steineriani, con le relative implicazioni mistiche e soprasensibili, equivaleva all’affermazione di una spiritualità invisa al dominio.

L’intensità con cui il nazismo si scagliava contro qualsiasi manifestazione di spirito irrazionale non si giustifica con una tendenza al materialismo – quel materialismo che secondo lo stesso Hitler, come abbiamo accennato, costituiva invece, se lasciato a se stesso, un potenziale tallone d’Achille per lo sviluppo del regime. Era, piuttosto, lo spasmodico tentativo di ‘non lasciare ad altri’ una forma di pensiero su cui il regime stesso basava una propria ideologia di nazionalizzazione fortemente simbolica, che presumibilmente affondava le sue radici, addirittura, in un oscuro occultismo.[21]

L’organizzazione gerarchica e l’iniziazione mediante riti simbolici, cioè che non richiedono di far lavorare il cervello ma solo l’immaginazione, tramite la magia e la simbologia del culto: questo è l’elemento pericoloso, e l’elemento di cui ho assunto il controllo[22]

ebbe a dichiarare Hitler.

A fronte di tale soverchiante pensiero, l’Andante della Sonata di Ullmann sembra porsi come frammento di un mondo spirituale opposto. Data la nota condizione vessatoria di Theresienstadt e la scarsità di documenti che indichino i contorni di un atteggiamento dissenziente in Ullmann, la sottile rete di rimandi fra il testo di Kraus e i significati allegorici che esso sembra assumere nell’Andante della Quinta Sonata è ricostruibile in base a ipotesi, contestualizzazioni e riflessioni storiche, biografiche, sociologiche da condurre con estrema circospezione e senso critico. Ancor più se si considera che a differenza di altre pagine scritte a Theresienstadt, dove Ullmann sembra lanciare messaggi in codice decifrabili dalla comunità estetica dei prigionieri – come nel caso delle citazioni di inni nazionali –, qui egli sembra riferirsi solo a se stesso. Così, la carica tutta introspettiva di opere come l’Andante necessita più che mai di riferimenti alle correnti di pensiero che si intrecciarono in quell’epoca di dittature, per tentare di ritrovare, a dispetto di una mancanza di documenti, dichiarazioni e segni espliciti, le radici di una creatività che i compositori, e gli artisti in generale, riuscirono a preservare pure in condizioni di inaudita difficoltà esistenziale.

 

NOTA DISCOGRAFICA

Viktor Ullmann, Die Klaviersonaten, Konrad Richter, piano. Beyer Records BR 100 113/114 (Reihe Atlantis, Komponisten unseres Jahrhunderts: gefallen-verschollen-verbrannt) 1993 (2 CD)

–––––––, Klaviersonaten Nr 5-7, Gregor Weichert, Klavier. CPO 999 087-2, 1992

–––––––, Piano Sonatas Nos 5, 6, 7, Robert Kolben and Edith Kraus, piano (con String Quartet No 3, op. 46) Koch International Classic 3-7109-2h1, 1991

 

________________________

[Bio] Carlo Bianchi è diplomato in pianoforte e insegna analisi musicale presso la facoltà di Musicologia di Cremona. Si è addottorato presso la medesima facoltà presentando la dissertazione Musica e guerra. Comporre all’epoca del secondo conflitto mondiale. Svolge attività di ricerca prevalentemente nell’ambito del Novecento storico. E-mail carbianchi@libero.it

[1] VERENA NAEGELE, Viktor Ullmann, komponieren in verlorener Zeit, Köln, Dittrich Verlag, 2002.

[2] Viktor Ullmann: Materialen, Hamburg, Von Böckel, 1995; Viktor Ullmann. Die Referate des Symposions anlässlich des 50. Todestags 14.-16. Oktober 1994 in Dornach und ergänzende Studien, Hamburg, Von Böckel, 1996; Lebe in Augenblick, lebe in der Ewigkeit. Die Referate des Symposions aus Anlaß des 100. Geburtstages von Viktor Ullmann in Berlin am 31. Oktober/1. November 1998, Saarbrücken, Pfau, 2000.

[3] La data di morte di Ullmann non è certa. Egli fu ucciso probabilmente nell’ottobre 1944.

[4] La vita artistica di Theresienstadt si trova ampiamente descritta già nel libro di riferimento del reduce HANS GÜNTER ADLER, Theresienstadt 1941-1945. Das Antlitz einer Zwangsgemeinschaft, Tübingen, J.C. Mohr, 1960 e nei 15 voll. della collana «Theresienstädter Studien und Dokumente», Berlin, Theresienstädter Initiative, 1994-1999. Dedicato esclusivamente all’attività musicale il libro di JOŽA KARAS, Music in Terezin. 1941-1945, Stuyvesant (New York), Pendragon Press, 1984. Alcune preziose riflessioni sugli aspetti sociali della musica a Theresienstadt, con riferimenti al ruolo di Ullmann, si trovano nell’articolo di LEONARDO V. DISTASO, Il teatro musicale a Terezín, «Musica/Realtà», 66, 2001, pp. 151-169. Sul web: GIANNI M. GUALBERTO, Note da Theresienstadt: Viktor Ullmann, http://www.fucine.com/archivio/fm10/gualberto.htm.

[5] LINDA HUTCHEON - MICHEAL HUTCHEON, Death, Where Is Thy Sting? The Emperor of Atlantis, «The Opera Quarterly», XVI/2, 2000, pp. 224-239.

[6] «La Theresienstadt Symphonie di Carlo Tauber […] dimostra che la resistenza poteva davvero essere espressa attraverso la musica. Arnost Weiss, un testimone oculare della prima esecuzione, riguardo all’ultimo movimento della Sinfonia ebbe a dire: "Questo movimento fu seguito da un turbolento Finale, nel quale le prime quattro battute di Deutschland, Deutschland über alles erano ripetute continuamente ed enfatizzate con una ferocia sempre crescente fino a che l’ultimo acuto Deutschland, Deutschland si spezzò prima di arrivare a über alles e naufragò in un’orribile dissonanza. Tutti capirono"»: ECKHARD JOHN, Musik und Konzentrationslager: Eine Annäherung, «Archiv für Musikwissenschaft», XLVIII, 1991, pp. 1-36: 24 (trad. di chi scrive).

[7] Cfr. CORNELIUS WITTHOEFFT, Variations and Fugue on a Hebrew Folk Song, in DESSA, A Legacy from Theresienstadt. Paintings inspired by Viktor Ullmann’s Piano Sonata No 7, Pully, Petroz-Abeles, 1997, pp. 59-70.

[8] Cfr. DAVID BLOCH, Viktor Ullmann’s Yiddish and Hebrew Vocal Arrangements in the Context of Jewish Music Activity in Terezin, in Viktor Ullmann. Die Referate des Symposions anlässlich des 50. Todestags, cit., pp. 79-86.

[9] 1. Tardi, così tardi… / Non so che accadrà. / Non tarderà a venire. / A me viene tanta paura / e scorgo nella tappezzeria / il viso che piange. // [2. Solo son io, solo / ciò che vi è al di fuori non so / Ah, se le cose mi riuscissero ancora, / tutto mi si stringe d’intorno, / e in ogni sembiante scorgo / un viso che si interroga. // 3. Sono già lacerato, / ciò che sarò qui e allora, non so. / Non posso trattenere / le folli immagini / E nelle tenebre avverto / Il viso che parla].

[10] Questo materiale, come tutti i manoscritti e gli schizzi di Ullmann sopravvissuti a Theresienstadt, dove Ullmann li aveva lasciati prima di essere deportato ad Auschwitz, è ora conservato presso la Paul Sacher Stiftung di Basilea. Una sommaria collazione descrittiva delle cinque versioni manoscritte della Sonata n° 5 è contenuta nella prefazione di Konrad Richter al secondo volume dell’edizione Schott delle Sonate (nn. 5-7, 1997).

[11] Cfr. KONRAD RICHTER, Einführung in die Komposizionsprinzipien der Klaviersonaten Viktor Ullmanns, in Lebe in Augenblick, lebe in der Ewigkeit, cit., pp. 103-120: 106.

[12] Parlare di una dialettica di tensione e distensione all’interno di un sistema di organizzazione delle altezze, in senso lato armonico, impone, soprattutto se tale sistema non è storicamente e propriamente tonale, osservazioni critiche che potrebbero dare luogo a una lunga digressione. Si tratta del grado di soggettività con cui un elemento fonico può essere percepito come stabile o instabile, o delle caratteristiche di linguaggio che sviluppandosi nel corso del flusso storico modificano di volta in volta l’aura di stabilità e instabilità del materiale. Tuttavia, per modalità di scrittura che mantengono risorse diatoniche, centricità e polarità dei suoni, nonché accordi triadici oltre una certa quantità, è possibile cercare di definire genericamente momenti di stabilità e instabilità, stasi e movimento, tensione e distensione che derivano ancora da quelli esteticamente esperiti nel sistema tonale. Residui di dialettica tonale, si potrebbe dire. Le possibilità e le contraddizioni insite in un’operazione analitica di tal genere emergono in modo sintomatico nelle storiche trattazioni di Paul Hindemith, con il concetto di Harmonisches Gefälle («gradiente armonico» od «oscillazione armonica») elaborato nell’Unterweisung im Tonsatz (Regolamento del comporre, 1936-1937), e di Boleslav Javorskij, con le considerazioni intervallari di Strojenije muzïkal’noj rechi (La struttura del discorso musicale, 1908-1933).

[13] Tradotto in J.-J. Vlasselaer, La musica nei campi di concentramento nazisti, in Enciclopedia Einaudi. Il Novecento, Torino, Einaudi, 2001, pp. 103-118: 114-115.

[14] RUDOLF STEINER, «Sonno e morte», in La scienza occulta nelle sue linee generali, Milano, Editrice Antroposofica, 1985, pp. 66-110: 67.

[15] Il libro di Steiner dedicato a tale argomento, Eurythmie als sichtbare Sprache (trad it. Euritmia linguaggio visibile, Milano, Editrice Antroposofica, 1997), venne pubblicato nel 1927 come raccolta di varie conferenze tenute a Dornach nel 1924. Le ricerche di Steiner sull’euritmia erano tuttavia iniziate a partire dal 1912.

[16] Cfr. ROBERT KOLBEN, Viktor Ullmann und die Anthroposophie, in Viktor Ullmann. Die Referate des Symposions anlässlich des 50. Todestags, cit., pp. 39-54.

[17] Cfr. MARCUS GERHARDTS, Viktor Ullmann und die Anthroposophie, in Kontexte: Musica Iudaica 1996. Bericht über die internationale Konferenz, Praha 30.-31. 10. 1996, ed. by Vlasta Benetková, Praha, Nadace Musica iudaica, 1997, pp. 151-158: 151.

[18] R. STEINER, L’essere dell’uomo, in La scienza occulta nelle sue linee generali, cit., pp. 44-65: 64.

[19] VLADIMIR JANKÉLÉVITCH, La coscienza ebraica, Firenze, Giuntina, 1997 (in particolare il cap. I, «L’ebraismo, problema interiore», pp. 7-37).

[20] La componente mistica e metafisica del pensiero steineriano è deducibile dai libri stessi di Steiner. Per la componente esoterica, meno nota, cfr. GEOFFRY AHERN, Sun at Midnight. The Rudolf Steiner Movement and the Western Esoteric Tradition, Wellingborough (Northamptonshire), The Aquarian Press, 1984.

[21] I legami del regime hitleriano con varie correnti occultiste, spiritiste ed esoteriche sono oggetto di una vasta letteratura sensazionalistica, che tende ad ammantare il fenomeno nazista di un’aura arcana e demoniaca senza documentazioni attendibili. Tuttavia, secondo alcune indagini più storicamente fondate, sembra che l’occultismo abbia in effetti giocato un ruolo non trascurabile, forse addirittura primigenio, nelle concezioni di Hitler e dei suoi gerarchi. Un saggio che ripercorre con equilibrato senso critico i contributi sull’argomento e nel contempo offre dati concreti per riflessioni di tal genere è quello di NICHOLAS GOODRICK-CLARKE, The Occult Roots of Nazism, Wellinborough (Northamptonshire), The Aquarian Press, 1985 (trad. it. Le radici occulte del nazismo, Carnago [Varese], SugarCo Edizioni, 1992). Cfr. anche PETER LEVENDA, Unholy Alliance, New York, Avon Books, 1995 (trad. it. Satana e la svastica. Nazismo, società segrete e occultismo, Milano, Mondadori, 2005).

[22] HERMANN RAUSCHING, Hitler Speaks: A Series of Political Conversations with Adolf Hitler on his Real Aims, London, Butterworth, 1939, p. 237 (trad. it. Hitler mi ha detto, Milano, Rizzoli, 1945), citato e tradotto in P. LEVENDA, Satana e la svastica, cit., p. 153.

Top

Firenze University Press

 Copyright © 2005-06 Università degli Studi di Pavia
 Dipartimento di Scienze musicologiche e paleografico-filologicheFacoltà di Musicologia

 



Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale di Pavia n. 552 del 14 luglio 2000 – ISSN elettronico 1826-9001 | Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Musicologia | Pavia University Press

Privacy e cookies