Recensione a cura di Marco della Sciucca :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

 

Contributo di Recensione a cura di Marco Della Sciucca

 

CECILIA LUZZI, Poesia e musica nei Madrigali a cinque voci di Filippo di Monte (1580-1595), Firenze, Olschki, 2003 ("Historiae musicae cultores", XCII), pp. VIII-404

 

 

Il più prolifico compositore di madrigali del Cinquecento, ma anche l’instancabile creatore di una quantità sbalorditiva di opere sacre, Philippe de Monte (alla fiamminga; Filippo di Monte all’italiana, come lui sembra preferisse), è a tutt’oggi, a più di quattro secoli dalla morte e a dispetto delle varie renaissance di personaggi grandi e piccoli, ancora un musicista semisconosciuto, certamente ignoto alla maggior parte del pubblico generico, ma direi anche degli stessi musicisti. Né abbiamo ancora degli opera omnia, nonostante i tentativi novecenteschi, il più recente dei quali fu l’edizione dalla Leuven University Press (con René Bernard Lenaerts come general editor), iniziata nel 1975 e interrotta nel 1988 al tredicesimo volume: la produzione di de Monte è dunque conosciuta oggi solo in minima parte.

Questo ponderoso studio di Cecilia Luzzi, che è frutto del lavoro svolto per la tesi di dottorato in Musicologia discussa all’Università di Bologna nel 1997/98 (relatore Lorenzo Bianconi), non ha certo la pretesa di esaustivo riscatto dei mancati riconoscimenti, ma può essere considerato un tassello importante nella bibliografia montiana, unendosi alle monografie fondamentali ma ormai un po’ datate di Piet Nuten, Robert Lindell, Brian Mann,[1] e alle lodevoli iniziative nell’ambito delle celebrazioni di de Monte in Belgio, Italia e Republica Ceca, che hanno caratterizzato questi ultimi anni (specialmente il 2003, quattrocentesimo anniversario della morte del compositore).[2]

Il pregio maggiore di questo studio, soprattutto nella prospettiva a lungo termine di una sostanziale rivisitazione della figura del musicista nel suo complesso, sta nel fatto che, pur volendo limitarsi a un campo ristretto di osservazione, esso non si ferma a un unico fatto concreto – come potrebbe essere una raccolta a stampa di madrigali – ma si spinge dinamicamente all’analisi delle fasi evolutive delle scelte estetiche e dei risultati artistici di un intero corpus, benché circoscritto nel tempo e nel genere. E questo corpus è appunto qui dato dalle raccolte di madrigali pubblicate da Monte dal 1580 al 1595.

Luzzi dà avvio al volume esponendo con dettaglio nel primo capitolo, «L’analisi stilistica nel madrigale polifonico cinquecentesco» (suddiviso nei paragrafi: Le dichiarazioni programmatiche nelle dediche di Monte; Il concetto di ‘stile’ come categoria retorica; L’analisi della poesia; L’analisi della musica), le intenzioni metodologiche di analisi stilistica. Il volume prosegue secondo la seguente divisione della materia: Cap. II, «La poesia nei libri di madrigali dal 1580 al 1584» (Le dediche dell’Ottavo e del Decimo libro e il cambiamento dello stile; Dal sonetto al madrigale; Le fonti della poesia; Gli autori); Cap. III, «I segnali di un nuovo stile nei libri a cinque voci (1580-1581)» (Declinazioni di stile nella poesia dell’Ottavo libro a cinque; Tradizione aulica del madrigale espressivo e stile leggero; Stili a confronto: l’analisi di tre campioni; Il Nono e il Decimo libro a cinque voci (1580-1581); Cap. IV, «La poesia nei libri di madrigali dal 1586 al 1603» (Stili e forme della poesia madrigalistica di fine secolo; Gli autori e le fonti della poesia); Cap. V, «Lo stile leggero dei madrigali a cinque (1586-1590)» (La poesia di Tasso e Guarini e l’esordio del nuovo stile musicale; Il ciclo madrigalistico Ardo sì, ma non t’amo: stili poetici e musicali a confronto; Poesia e musica nei libri di madrigali a cinque voci dal 1587 al 1590; «Gravità» e «piacevolezza» nel nuovo stile poetico-musicale; Cap. VI, «Il ritorno al madrigale espressivo» (La sintesi matura del madrigale-canzonetta nel Quindicesimo libro a cinque, 1592; "S’io miro il vostro viso": Monte e la ritrosia per la canzonetta; Poesia epigrammatica e stile grave negli ultimi madrigali a cinque voci, 1593-1595). Dopo questa prima parte storico-critica (pp. 13-178), ve n’è una seconda dedicata alle musiche, con edizione e apparato (pp. 181-287): «Le fonti»; «Criteri editoriali, Testi poetici e apparato»; «Antologia di madrigali dai libri a cinque voci tra 1580 e 1595» (sono riportati 20 madrigali). Infine, un’appendice (pp. 289-403), con «Concordanze poetiche e musicali dei libri di madrigali di Monte (1580-1603)», «Elenco delle fonti poetiche» e «Bibliografia».

Nel primo capitolo, dopo aver ricostruito le dichiarazioni programmatiche qua e là sparse nelle stesse dedicatorie dei madrigali di Monte, Luzzi si propone al lettore con vere e proprie griglie analitiche di riferimento, prima per la poesia, poi per la musica, che costituiranno la base per i successivi cinque capitoli più propriamente dedicati all’analisi stilistica. Noto in questa prima parte un po’ di ridondanza musicologica (ripresentare il rapporto tra bembismo ed evoluzione del madrigale, o la classificazione in generi tipica di certa trattatistica cinquecentesca, è un semplice ripercorre topoi consunti e a volte obsoleti della storiografia musicale, soprattutto se rimane oscuro come tali questioni si possano intersecare direttamente ed esplicitamente con la poetica della produzione madrigalistica di Monte). Allo stesso modo l’idea delle griglie o parametri stilistici tradisce spesso una dipendenza acritica da modelli metodologici di ricerca e indagine analitica che sembra sottrarre originalità di pensiero e di metodo, e quindi di risultati (per non dire che talvolta è fastidioso vedere citati classici come Bembo, Zarlino o Vincenzo Galilei attraverso fonti indirette: cfr. p. 17, nota 12; p. 30, nota 48; p. 80, nota 14). Voglio dire, con questo, che può andar benissimo rifarsi ai parametri musicali, poetici e poetico-musicali elaborati da Alessandro Martini, Don Harrán, Ulrich Schulz-Buschhaus, Elio Durante e Anna Martellotti, Ruth DeFord, Bernhard Meier, Harold Powers, Stefano La Via, Rossana Dalmonte e Massimo Privitera, James Chater. Tuttavia, tali modelli dovrebbero costituire solo dei riferimenti di partenza, per poi entrare, in piena autonomia critica, in un percorso di analisi che sappia ricostruire il senso vero della creatività del musicista e dei suoi sviluppi. Sotto il profilo testuale, ad esempio, Luzzi sembra rimanere piuttosto ancorata a descrizioni d’insieme delle provenienze testuali (con l’ausilio imprescindibile del Repertorio della Poesia Italiana in Musica, 1500-1700, base dati a cura di Angelo Pompilio[3]), della circolazione manoscritta o a stampa: certo, non vi mancano osservazioni importanti, tuttavia non sempre si approfondisce l’aspetto storico-biografico-estetico che lega più propriamente il musicista a determinati testi e che meglio ci illuminerebbe rispetto alle peculiarità estetico-culturali proprie del compositore. Se è vero che questo talvolta avviene, per esempio a proposito dei testi poetici soprattutto guariniani di origine mantovana (anche se riprendendo tesi di Durante e Martellotti sui rapporti tra gli Absburgo e i Gonzaga)[4] per il Dodicesimo libro a cinque voci del 1587 (pp. 106-108), è vero anche che ben altre reti di relazioni vengono trascurate. Si prenda il caso degli otto testi poetici di Berardino Rota utilizzati per altrettanti madrigali contenuti in ben tre raccolte pubblicate tra il 1580 e il 1581 (pp. 55-59): l’autrice si sofferma – per altro doverosamente – in questioni di collazioni delle fonti letterarie o questioni generali di stile – quasi statistiche, direi – dei testi (un acuto petrarchismo di tradizione napoletana); ma sarebbe forse stato opportuno aggiungere riflessioni sulle probabili relazioni personali che potevano collegare il Monte a un poeta così poco musicato dai madrigalisti. Basti dire che Rota era molto legato alla corte del duca d’Atri Giovan Girolamo Acquaviva (come dimostra, tra le altre cose, la dedica a quest’ultimo del volume Delle rime del s. Berardino Rota terza impressione, Napoli, Giuseppe Cacchij dell’Aquila, 1572, dedica firmata da Dionigi Atanagi), il che ci ricollega sorprendentemente alla dedica di un volume di madrigali spirituali del 1581 del Monte (dunque in perfetta contemporaneità) al fratello del duca, il quinto generale della Compagnia di Gesù Claudio Acquaviva. Dunque, una scelta in cui è ipotizzabile l’intreccio con una famiglia che aveva interessi spiccatissimi in campo letterario e che potrebbe entrare nella biografia del musicista con prospettive di certo interesse, anche sul piano estetico.

Dal punto di vista strettamente musicale, o del rapporto testo-musica, assistiamo nel libro di Luzzi alla tendenza a oggettivare la trattazione in griglie di parametri, per ricavarne, statisticamente e percentualmente, comportamenti di un tipo o dell’altro, con tabelle e schemi, e ampie descrizioni degli stessi. Per esempio, vi troviamo tabelle delle cadenze, delle tecniche polifoniche adottate, o griglie delle analisi stilistiche da cui sinteticamente ricaviamo forma poetica, schema metrico, numero di versi, sezioni, stile testuale, immagini verbali (per parole chiave), numero di intonazioni dello stesso testo da parte di altri compositori, chiavi utilizzate, finalis di modo, trattamento polifonico dei soggetti, cadenze, forma musicale e numero di battute (oltre a incipit, pagine e nomi degli autori dei testi). Dalla lettura di queste tabelle, dalla loro messa a confronto, l’autrice ricava una visione interessante dell’iter stilistico-musicale del compositore attraverso gli anni, anche grazie a un’evoluzione degli interessi poetici, a sua volta riflesso delle dinamiche letterarie del tempo: il progressivo abbandono delle forme auliche petrarchesche (sonetto, stanza in ottava rima) a vantaggio di forme leggere più tipiche della canzonetta trova corrispondenza in un percorso di soluzioni musicali che dalle tecniche contrappuntistiche più austere si orienta sempre più verso comportamenti omoritmici, a fraseologia chiusa e fortemente cadenzale. Non solo: partendo da una costante attenzione al significato del testo (adottando di volta in volta tecniche e figure musicali ‘calzanti’ per convenzione), si approda man mano a un atteggiamento di quasi indifferenza rispetto al dato testuale, in costruzioni musicali formalmente più definite, tendenti allo schema chiuso, salvo poi riprendere uno stile più tipicamente grave negli ultimi anni.

Tutta questa analisi è portata avanti con grande meticolosità, su un repertorio decisamente ampio e articolato, che certamente ha richiesto notevole impegno e mole di lavoro. Ed è certamente molto interessante seguirne i vari passi, lasciarsi guidare in questa girandola di poeti e di stili, che pur ci riconducono a un percorso unitario di evoluzione stilistica. Tuttavia, dobbiamo chiederci con schiettezza cosa intendiamo per stile. In questa attribuzione di significato si nasconde in realtà una fondamentale questione di metodo critico. Non voglio affatto negare che le analisi contenute in questo volume illustrino bene certi caratteri dello stile compositivo dell’autore, ma va precisato che si tratta di un livello stilistico assolutamente esteriore, quello che attiene ancora alla sfera generale della grammatica e dei costrutti di una langue (per questo motivo, la lettura del libro potrà risultare utilissima in sede didattica, per comprendere a livello generale problemi e metodi di studio sul madrigale italiano, anche per i preziosi riferimenti bibliografici che vi si possono trovare), ma che non marca la specificità di quell’autore o di un brano in particolare fra opere di uno stesso genere musicale. È vero che il Rinascimento è un tempo caratterizzato musicalmente ancora da forte omogeneità e contiguità linguistica e che non sempre è possibile o facile individuare caratteri di originalità di stile in termini, per così dire, ottocenteschi: nondimeno, però, ogni brano è pur sempre dotato di tratti costitutivi più o meno portatori di senso, ed è solo nel momento in cui ci si propone di cercare di interpretare questo senso specifico che l’analisi acquista legittimazione e dignità (per non dire che il limitarsi all’uso di categorie piuttosto formalizzate porta poi l’autrice a una ripetitività spesso stancante degli stessi concetti nel corso della trattazione: per quale madrigale non si dirà che l’immagine verbale o lo stile formale poetico viene riflesso da un adeguato trattamento polifonico?). Naturalmente, nel caso del madrigale, è nel rapporto col testo, con i suoi contenuti, con la sonorità della parola, con la struttura grammaticale e sintattica, con il ritmo dei versi, con la costruzione formale, che va studiato e interpretato in modo particolare il suo portato significativo: ogni testo è foriero già di per sé di una pluralità di elementi tra loro più o meno contrastanti oppure coincidenti, di compattezza o di ambiguità strutturali e semantiche, e la musica può aggiungersi ad essi in forme amplificative, oppositive, trasversali, o addirittura tutte queste insieme, grazie alla capacità della polifonia di apportare letture plurime sia contemporaneamente, sia nella continuità di quello spazio temporale ripetibile, dilatabile e contraibile che è proprio della musica. E devo aggiungere che è alquanto rivelatrice e sorprendente la mancanza quasi assoluta, nel corso della trattazione, di riferimenti agli innovativi risultati, in campo madrigalistico, ottenuti da una studiosa come Martha Feldman, le cui indagini si muovono proprio in direzione del valore esegetico della musica nei confronti del testo:[5] arrivare a una lettura con questo tipo di prospettiva del repertorio madrigalistico montiano degli ultimi anni – si può ben comprendere – richiede risorse certamente ulteriori rispetto a quelle già ampiamente profuse da Luzzi, ed è ovvio che non lo si possa fare in maniera esaustiva su un corpus così vasto come quello preso in considerazione.

Tuttavia, in questi casi, sfoltendo ampiamente le ripetizioni di concetti più scontati, potrebbe essere ben considerata la possibilità di procedere per esempi rappresentativi, magari anche solo esaminando quei madrigali riportati poi in trascrizione nella seconda parte o, addirittura, anche solo alcuni di questi. E già da tali esempi non potrà che emergere una poetica sottilissima di riflessione esegetica sul testo attraverso la musica: tanto per esemplificare, quella che potrebbe essere liquidata come una ripetizione variata non è mai solo una semplice ‘ripetizione variata’ o ‘amplificazione retorica del verso’ o ‘indizio di genere tendente alla forma chiusa della canzonetta’; è sì tutto questo, ma è ben spesso, in alcuni dei madrigali che possiamo leggere nel libro, ambiguità di funzioni melodiche nel contesto armonico, gioco prospettico di cangianza tonale che illumina il testo e le sue melodie in una varietà di letture e dimensioni semantiche che possono appartenere o no alla fase poietica del letterato, ma che certamente appartengono alla fase estesica, ricettiva (ma a sua volta di nuovo creativa), del compositore e dell’esecutore-ascoltatore. Non è qui il luogo per illustrare nel dettaglio come ciò avvenga, ma va detto che ognuno dei madrigali riportati nel volume contiene una carica emozionale forte, nella sua ricerca di originali risorse esegetiche del linguaggio polifonico (si badi, non di originali risorse linguistiche o formali, ché tale tipo di originalità forse non è data all’epoca), che non può essere imbrigliata in semplici categorie codificate. È necessario allora un atteggiamento analitico molto più elastico, aperto, dinamico, direi anche creativo, ed è proprio in questo territorio affascinante di riflessione che si potranno scoprire le peculiarità stilistiche e le dinamiche evolutive di un musicista di grande respiro estetico qual è il Monte, il suo contributo unico al repertorio madrigalistico cinquecentesco. Luzzi non si addentra in questo tipo di esegesi, neanche in quei rari casi in cui ci offre esemplificazioni analitiche più approfondite (cito il paragrafo sul ciclo madrigalistico Ardo sì, ma non t’amo, pp. 136-142), o nei momenti di riflessione su questioni testuali che offrirebbero facilmente il destro a tali argomentazioni: per esempio quando si sofferma sulle molteplicità interpretative di un testo fortemente ambiguo, formalmente e sintatticamente, come O sia la voglia ardente, di Girolamo Molino (pp. 90-91). Lo stesso recupero che il Monte compie negli anni Novanta del registro stilistico più grave anche per forme palesemente leggere, in un equilibrio di sintesi stilistica tra i generi, viene letto quasi esclusivamente nella sua datità oggettiva di numeri e percentuali (pp. 155-78). Gli unici due momenti in cui l’autrice si lascia timidamente andare a più ispirati momenti esegetici sono a p. 170 (con un’interessante tabella tematica a p. 171), a proposito del madrigale S’io miro il vostro viso, dal Quindicesimo libro di madrigali a cinque voci, del 1592, e alle pp. 176-78, col madrigale Solingo, in selve e ’n boschi, dal Diciassettesimo libro di madrigali a cinque voci, del 1595, momenti la cui brevità sembra rivelare una sorta di pudore musicologico per atti più apertamente interpretativi e di apprezzamento valutativo. D’altra parte, nel volume vi sono numerose sezioni degne di nota: per esempio, l’ampia appendice dedicata alle concordanze poetiche e musicali di tutti i volumi montiani oggetto dello studio, con un’estesa e dettagliatissima tabella (pp. 293-381) che, insieme a tutte le altre tabelle disseminate nel testo, è la testimonianza più evidente del lungo e sistematico lavoro di ricerca effettuato dall’autrice.

Anche le trascrizioni, col relativo apparato, sono molto precise, pur con qualche sporadica distrazione grafica: per esempio, ne salta agli occhi una proprio all’inizio, p. 203, col citato madrigale O sia la voglia ardente, su testo di Girolamo Molino.

Incipit madrigale

All’inizio della seconda battuta, al Do ribattuto dal Quinto deve sicuramente essere aggiunto un diesis editoriale, continuando l’alterazione della battuta precedente, senza lasciarsi fuorviare dalla ‘legittima’ falsa relazione coll’Alto. Bisogna invece apprezzare certe scelte editoriali dell’autrice: sempre per O sia la voglia ardente, ad esempio, in apparato veniamo a sapere che, nella stampa originale, la prima nota del Canto è un Si e che è stato emendato in La per due motivi: a causa della quarta eccedente che il Si procurerebbe con il Fa dell’Alto e in analogia con la parte del Quinto a b. 2: saggiamente Luzzi non si è fatta suggestionare dalla singolarità ed eccentricità di un accordo diminuito in esordio!

 

 

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[Bio] Marco Della Sciucca, compositore e musicologo, è ordinario di Composizione al Conservatorio “Nino Rota” di Monopoli. Ha insegnato a contratto presso le università di Chieti, L’Aquila e Potenza. Si occupa principalmente di musica rinascimentale e contemporanea.

[1] PIET NUTEN, De “Madrigali Spirituali” van Filip de Monte (1521-1603), Brussel, Koninklijke vlaamse Academie voor Wetenschappen, Letteren en Schone Kunsten van België, 1958; ROBERT LINDELL, Studien zu den sechs- und siebenstimmigen Madrigalen von Filippo di Monte, diss., Universität Wien, 1980; BRIAN MANN, The Secular Madrigals of Filippo di Monte, 1521-1603, Ann Arbor, UMI, 1983.

[2] Ci riferiamo per es. al convegno Philippe de Monte, the Rudolphine Court and Bohemia. Conference commemorating the 400th Anniversary of the Death of Philippe de Monte, Praha, 26 settembre 2003, organizzato dal Department of Music della Royal Holloway University of London. Sono inoltre in stampa, presso l’Alamire Foundation, gli atti dell’International Colloquium Philippe de Monte, Antwerp, 30-31 agosto 2003. Infine, la XVII edizione del festival I grandi appuntamenti della musica, Arezzo 2003, ha dedicato ben quattro appuntamenti a De Monte.

[3] Consultabile presso il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna, nonché on-line, all’indirizzo http://repim.muspe.unibo.it/.

[4] ELIO DURANTE – ANNA MARTELLOTTI, Il Cavalier Guarini e il Concerto delle Dame, in Guarini, la musica, i musicisti, a cura di Angelo Pompilio, Lucca, LIM, 1997, pp. 91-137.

[5] Va tuttavia detto che in bibliografia vengono citati tre fondamentali studi di MARTHA FELDMAN: City Culture and the Madrigal at Venice, Berkeley - Los Angeles, University of California Press, 1995; The Academy of Domenico Venier, Music’s Literary Muse in Mid-Cinquecento Venice, «Renaissance Quarterly», XLIV, 1999, pp. 476-512; The Composer as Exegete: Interpretations of Petrarchan Syntax in the Venetian Madrigal, «Studi Musicali», XVIII, 1989, pp. 203-38.

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