NAUSICA MORANDI, Liturgia e dramma nell’Officium Stellae :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

Contributo di Nausica Morandi

 

Liturgia e dramma nell’Officium Stellae

 

 

L’Officium Stellae,[1] una tipologia[2] di dramma liturgico sviluppatasi tra il X e il XIII secolo, consiste in un’azione drammatica religiosa cantata su testo latino che si inserisce nella celebrazione dell’Epifania; rappresenta l’arrivo dei Magi a Gerusalemme e l’adorazione a Betlemme, come narrato nel secondo capitolo del Vangelo di Matteo.[3]

Caratteristica dell’Officium Stellae è la presenza di luoghi significativi: l’uso peculiare dello spazio risulta infatti da un diverso atteggiamento linguistico rispetto alla prassi del canto liturgico.

L’Officium Stellae utilizza, generalmente, la totalità dello spazio, agendo in ugual misura sull’est, sul centro e sull’ovest senza che si possa parlare di evoluzione: la pratica drammatica si coniuga, in questo senso, al simbolismo del luogo sacro privilegiato, a seconda delle esigenze, quale uno dei tre poli (est, centro, ovest), oppure stabilendo un’equivalenza tra i tre punti. In realtà il ‘luogo teatrale’ del dramma liturgico non è questa o quella componente architettonica della chiesa, ma la chiesa stessa, strutturata in relazione all’asse che conduce dall’atrio al coro e secondo i tre poli, il cui valore simbolico restituisce all’edificio il suo fondamento: la drammatizzazione dell’ufficio si compenetra così alla liturgia. Nell’Officium Stellae coesistono dunque due modi diversi di creazione ed uso dello spazio scenico: la tradizione del locus assegnato ad uno o più attori e quella degli spazi transitori creati attraverso la parola e la presenza dell’attore. Come nel caso dell’Officium Stellae di Compiègne, la creazione di spazi transitori rappresenta la tecnica più vicina alle tradizioni liturgiche.

I ruoli sono ‘interpretati’ prima di tutto da officianti che riattualizzano i tempi sacri: non è prevista alcuna contemplazione, ma piuttosto una partecipazione attiva. Se la cattedrale accoglie solo in seguito i fedeli, non è certo con l’intento di farli assistere ad uno spettacolo, ma per farli partecipare attivamente all’ufficio. La sacralità di questo spazio, nella coscienza dei fedeli, viene ulteriormente rafforzata dall’impiego di una lingua sacra, il latino, che sancisce la rottura spaziale tra lo spazio consacrato e quello profano sul piano dei dialoghi drammatici.

Infine lo spazio sacro è sempre orientato: gli officianti e i luoghi della liturgia drammatizzata sono situati e si muovono secondo un asse, talvolta partendo da questi due poli verso il centro segnato dal quadrato del transetto o del mezzo della navata. In questo spazio orientato, il fedele, ammesso a partecipare all’ufficio drammatizzato, è situato all’interno dei poli estremi. La sua partecipazione all’ufficio è contraddistinta dalla sua stessa integrazione nello spazio sacro.

È interessante rilevare che sono i testi drammatici a suggerire a pittori e scultori una nuova gestualità più dinamica (teatrale, appunto), ma subito codificata: al cospetto del Bambino e della Vergine, i Magi si inginocchiano l’uno dopo l’altro (Laon), uno di loro alza la mano additando la stella (Limoges) o, più propriamente, la indica agli altri (Besançon). Particolari più gestuali che narrativi, che pertanto non si incontrano nei testi, ma che vengono suggeriti dalla necessità di renderli in termini realistici di movimento, una necessità di ‘regia’: un bisogno che scultura e pittura non necessariamente avvertono, mentre l’arte drammatica sente come indispensabile.[4] In tale direzione va sottolineato l’unicum rappresentato dalla tradizione di Rouen, nella quale due Magi pronunciano parole incomprensibili, con lo scopo di ottenere un’impressione realistica del loro essere stranieri. Ciò rappresenta certamente lo sforzo più audace verso una personificazione realistica, con lo scopo di differenziare le varie personalità; da escludere l’intento comico.

La prima frase del dramma, Stella fulgore nimio rutilat, presuppone la presenza della stella, non di una qualsiasi, ma di una stella che, come del resto tutti i personaggi del dramma, è ‘completa’, carica cioè di una sua storia. La stella «che brilla in modo straordinario» che «annuncia che è nato il re dei re, il cui arrivo molto tempo prima era stato annunciato dalla profezia».

Durante le rappresentazioni, erano talvolta[5] impiegate delle particolari macchine per trainare la stella cometa davanti ai Magi.

Non conosciamo l’esatta natura dell’apparizione della stella che mosse i Magi ad intraprendere il loro viaggio e neppure come fossero venuti a conoscenza della nascita del Messia. La loro deduzione non era basata su una tradizione, ma, come fu stabilito dalla profezia di Balaam,

Videbo eum sed non modo intuebor illum sed non prope orietur stella ex Jacob, et consurget virga de Israel; et percutiet duces Moab, vastabitque omnes filios Seth (Nm 24, 17).

su insegnamenti rabbinici[6] che associavano l’apparizione della stella con l’arrivo del Messia. Essi furono comunque tra i primi a ricevere il messaggio del Salvatore. Scrive infatti sant’Agostino:

[...] et illi Magi quid iam fuerunt, nisi Primitiae Gentium? Israelitae pastores, Magi gentiles.[7]

L’antica credenza che una stella-guida salisse in cielo per la nascita di un’importante personalità si riflette nella credenza patristica che la stella di Betlemme fosse di natura particolare, come un’inusuale forma di angelo.

La stella, dalla quale il dramma viene esplicitamente chiamato Officium Stellae, sembra fosse fatta scorrere su una corda, così da essere sempre sopra la testa dei Magi durante il loro viaggio.

Le parole dei Magi rientrano in un sistema deittico delineato dalla stella stessa, che ritaglia nello spazio della chiesa uno spazio proprio, in virtù della sua funzione iconica. Il rapporto tra segni linguistici e segni non-verbali è il tratto pertinente del genere drammatico nato nell’Alto Medioevo, un tratto ‘debole’, privo di traccia sulla pergamena, la cui sopravvivenza era minacciata ogniqualvolta la cerimonia drammatica veniva recepita in un nuovo ambito liturgico. Gli enunciati di cui si compone il dramma sono separati tra loro da momenti significativi; tra un enunciato e l’altro intercorrono mutamenti temporali e spaziali di cui terranno conto gli enunciati successivi.

Come afferma Johann Drumbl,[8] è proprio con le scene di Erode che il teatro irrompe nella coscienza della cultura medievale, addirittura nel IX secolo, e non per sviluppo della liturgia, ma per invenzione della schola. L’Officium Stellae nasce quindi nella schola di un monastero o di una grande cattedrale nella prima metà dell’XI secolo; inoltre, il vero fulcro della rappresentazione sarebbe fin dall’inizio Erode, diversamente da quanto sostenuto dalla critica tradizionale, che vede le sue scene come progressive aggiunte laicizzanti.[9] La parte dell’Officium Stellae debitrice della tradizione drammatica ‘diffusa’, extra-liturgica, ha invece il suo centro ideale nel locus di Erode e del suo seguito. Impiantato in forma stabile in mezzo alla chiesa, il locus deve essere raggiunto dai partecipanti prima che la cerimonia abbia inizio. L’ingresso processionale di Erode con il suo seguito diventa così luogo privilegiato e stabile, in quanto codificato come processione, per introdurre nella cerimonia elementi profani. L’ira di Erode non era sempre rappresentata come scena dai forti effetti realistici. La crudeltà di Erode che brandisce la spada, il potere, il trono riccamente decorato e il bambino innocente nella mangiatoia si presentano quali poli antitetici di forte contrasto. L’impetuosità dei gesti d’ira di Erode, contrapposta al linguaggio nobile, la sua prevalente complessità e le azioni affrettate dei suoi sottoposti, avvicinano il suo personaggio al tipo comico; egli si comporta in modo barbaro, spregevole e disdicevole: deliberato a compiere un regicidio e deicidio, le sue azioni sono manifestatamente blasfeme.

Alla fine del XII secolo questo aspetto si era sviluppato a tal punto che la badessa Herrada di Landsberg del monastero agostiniano di Hohenburg (vicino a Strasburgo) si sentì in dovere di reagire contro tale esibizione di «irreligiosità e dissipazione». Le sue rimostranze hanno descrizioni vivide:

Mutatur habitus clericalis, incohatur ordo militaris, nulla in sacerdote vel milite differentia, domus dei permixtione laicorum et clericorum confunditor, commessationes, ebreitates, scurrilitates, ioci inimici, ludi placesibiles, armorum strepitus, ganearum concursus, omnium vantatum indisciplinato ex cursus.[10]

Anche Geroh di Reichesberg nella seconda metà del XII secolo denunciava:

Vi sono sacerdoti che non si dedicano al ministero della Chiesa e dell’altare, ma piuttosto alla vanità degli spettacoli, essi rappresentano la culla del bambino Gesù, l’aspetto matronale della Vergine Madre, la stella come un astro lucente, la strage degli Innocenti.[11]

Nel 1207 un decreto di Innocenzo III colpiva gli eccessi nelle chiese, con riguardo particolare a quelli che si presentavano nel periodo tra il Natale e la festa degli Innocenti:

Frattanto avvengono, nelle chiese stesse, spettacoli teatrali, e non solo si introducono, con fini di scherno, mostruose mascherate, ma anche nei tre giorni di festa che seguono il Natale del Cristo, i diaconi, i preti, i suddiaconi a vicenda, ostentando le bizzarrie della propria follia, con i propri gesti, con oscene esaltazioni alla presenza del popolo, avviliscono il decoro sacerdotale.[12]

La sacralità dell’ufficio liturgico rischiava quindi di essere sommersa dalla teatralità della recitazione drammatica: la platea latina di cui parlano i libri liturgici, si era trasformata in ‘area d’azione’; allo stesso modo le latine sedes (letteralmente «sedili») dei personaggi che riproducevano l’evento storico (nell’Officium Stellae il palazzo di Erode, la mangiatoia di Betlemme e l’Egitto), si erano ampliate fino a divenire luoghi scenici identificabili.

Alcuni esempi significativi: nella tradizione di Fleury Erode, fuori di sé (quasi corruptus), sguaina la spada e sembra sul punto di uccidersi (arrepto gladio, paret se ipsum occidere); in quella di Padova egli, in mancanza di un ruolo preponderante dei Magi, prende parte alla conclusione stessa del Mattutino, arriva con il suo capitano dalla sagrestia, entrambi abbigliati con tuniche in disordine e portando lance di legno che Erode lancia rabbiosamente contro il coro per poi procedere, cum tanto furore, alla lettura della nona lezione; nel frattempo i suoi attendenti si danno daffare bastonando il capocoro, canonici e coristi con una vescica gonfiata e, alla conclusione della sua lettura, Erode si unisce a queste buffonate cum supradicto furore, presumibilmente mentre il coro sta tentando di cantare l’ultimo responsorio. Nella tradizione di Rouen, Archelao, figlio di Erode, confessa al padre la propria apprensione per il potere del nuovo nato e consiglia di uccidere il regulus, supportato con veemenza dagli ufficiali che entrano a spade sguainate, ed Erode infine accetta il loro consiglio. Con questo espediente viene così risolto il problema di rappresentazione del sacerdote incaricato di impersonare Erode, dovuto alla condotta non cristiana, spesso volgare e disdicevole del re. Interessante la tradizione di Fleury nella quale il dramma si conclude definitivamente con la resurrezione dei bambini e l’abdicazione di Erode in favore del figlio Archelao.

Il chierico che per primo appare nell’Officium Stellae diventa personaggio grazie alla stella, il «Mago in Oriente», ma il suo luogo transitorio è distinto dai luoghi del secondo e del terzo Magio, pur essendo anch’essi luoghi transitori. Lo stesso Vangelo, comunque, non contiene alcun segno di condanna e sembra usare il termine «magio» senza far riferimento ad una speciale classe sacerdotale o professionale, ma solo per indicare i saggi pagani dell’Est abili in astronomia e nell’interpretazione dei sogni. Gli scrittori cristiani li associarono poi con la Persia, l’Arabia e la Caldea.[13] Durante il VI secolo, se non prima, la tradizione riportò che i Magi erano dei Re, e questa credenza prevalse durante il Medioevo. Da qui la festa dell’Epifania ebbe il nome di Festum Trium Regum. I Magi, ognuno caratterizzato da uno specifico oggetto simbolico, creano gli spazi scenici, a mano a mano che servono loro nel prosieguo del cammino, e li abbandonano, di volta in volta, non appena giungono allo spazio nuovo.

Ad Ovest, dal V secolo in poi, gli scrittori ecclesiastici[14] giudicarono il numero tre come il numero corretto (nonostante esistano testimonianze di dodici[15] o tredici e di due e quattro[16), probabilmente perchè il Vangelo faceva riferimento ai tre doni dei Magi.[17] I nomi assegnati ai Magi nei diversi periodi storici furono numerosi;[18] dal XII secolo emerge la triade a noi nota di Melchiorre, Caspare (Gaspare) e Baldassarre della quale la Collectanea et Flores dello pseudo-Beda fornisce la seguente descrizione:

 Magi sunt qui munera Domino dederunt: primus fuisse dicitur Melchior, senex et canus, barba prolixa et capillis, tunica hyacinthina, sagoque mileno, et calceamentis hyacinthino et albo mixto opere, pro mitrario variae compositionis indutus; aurum obtulit regi Domino. Secundum, nomine Caspar, juvenis imberbis, rubicundus, mylenica tunica, sago rubeo, calceamentis hyacinthinis vestitus; thure quasi Deo oblatione digna, Deum honorabat. Tertius, fuscus, integre barbatus, Balthasar nomine, habens tunicam rubeam, albo vario, calceamentis inimicis amicus, per mirraham filium hominis moriturum professus est. Omnia autem vestimenta eorum Syriaca sunt.[19]

L’interpretazione simbolica dei tre doni dei Magi cominciò a fiorire, apparentemente, nella seconda metà del II secolo, epoca in cui Ireneo, vescovo di Lione, scrisse:

Myrrham quidem, quod ipse erat, qui pro mortali humano genere moreretur et sepeliretur; aurum vero, quoniam Rex, cujus regni finis non est; thus vero, quoniam Deus, qui est notus in Judaea factus est, et manifestus eis qui non quaerebant eum.[20]

Degna di particolare attenzione è la figura dell’Angelo: egli infatti non ha la stessa funzione degli altri personaggi, non ritaglia un proprio spazio nello spazio sacro, ma si può trovare ovunque nella chiesa; non è personaggio a tutti gli effetti e i suoi canti sono pronunciati in una dimensione deittica diversa da quella della rappresentazione. Unico personaggio a non avere una storia, l’Angelo non necessita di un luogo. Trovandosi così sia dentro che fuori la rappresentazione, l’Angelo è destinato a concludere il dramma. L’ultimo canto della cerimonia è un brano di transizione, pronunciato dall’Angelus, ma non più attribuibile con certezza al personaggio dell’Angelo. Concludendo il dramma con l’antifona Sinite parvulos venire ad me, l’antifona con la quale riprende la liturgia delle Ore interrotta dall’ordo drammatico, l’Angelo ridiventa chierico nella sua funzione di cantore, poiché, come cantore, egli avrebbe dovuto cantare, in quel preciso momento, proprio l’antifona attribuita all’Angelo. Infatti, con l’antifona Sinite parvulos venire ad me a Compiègne aveva inizio la serie delle antiphonae in Evangelium (cantata al Benedictus delle Lodi) il giorno della festa degli Innocenti. La tradizione di Limoges prescrive che l’Angelo sia interpretato da un ragazzo.

Drumbl giunge persino ad ipotizzare che in realtà la stesura originaria del dramma sia proprio quella conservata nel manoscritto di Compiègne dell’XI secolo, che come complessità sta a metà strada tra i testi più semplici di Nevers e Rouen e i più articolati di Freising e Bilsen.[21] Da quella versione, tramite il processo di neutralizzazione dei tratti di drammaticità, la cerimonia si sarebbe poi contratta e ‘normalizzata’ per poter essere accettata in altre sedi.

È stato finora possibile rinvenire una trentina di tradizioni d’ampia estensione geografica dell’Officium Stellae, (si veda la mappa della diffusione delle fonti dell’Officium Stellae). Esse, ordinate in base a criteri di relazione e somiglianza, per favorire la messa in luce al loro interno di elementi liturgico-drammaturgici di persistenza o variazione, di trasformazione e di eventuale contaminazione, sono le seguenti: Strasburgo, Rouen, Bilsen, Laon, Fleury, Freising, Padova, Nevers, Compiègne, Palermo, Limoges, Besançon, Ginevra, Cremona, Aquileia e Cividale, Ivrea, Toledo, Ripoll, Varsavia, Friburgo, Münsterschwarzach, Micy e Blois, Würzburg, Lorsch, Györ, Ratisbona, Einsiedeln.

La tradizione di Rouen, come indicano le rubriche, viene aperta dai tre membri superiori del clero, vestiti con cappe e corone per rappresentare i Magi, essi giungono da separate direzioni e si incontrano prima dell’altare principale, luogo della rappresentazione. Le rubriche sono particolarmente illuminanti per quanto riguarda le personificazioni, l’azione scenica e la messa in scena. Vediamo che i Magi entrano nello spazio scenico da direzioni diverse, come da differenti Paesi, si scambiano poi il bacio di pace, la stella cometa indica loro il cammino, si siedono davanti ad Erode e, nel presentare i doni al Praesepe, il primo Magio si prostra davanti al re. Ogni Magio è accompagnato dai propri servitori, (posizionati nella platea più bassa), vestito con tuniche e amitto e recante i propri doni. Il Magio che proviene dall’Est, puntando con il suo seguito verso la stella, canta ad alta voce Stella fulgore nimio rutilat, e gli altri rispondono appropriatamente.[22] Abbiamo anche l’indicazione di un Ordinarium di Rouen, del XIV secolo, che scrive espressamente di una «corona pendente davanti alla croce» che veniva accesa ad imitazione della stella.[23] Passando dal coro alla navata, i Magi osservano un raggruppamento luminoso a forma di stella sopra l’altare della Santa Croce. Davanti a questo altare, sul quale sono rappresentati la Madonna e il Bambino, velati dietro una tenda, essi si fermano. Due chierici in dalmatica, dei quali uno all’estremità dell’altare, interrogano i visitatori, udite le loro intenzioni, scoprono la tenda e svelano il Bambino, i Magi si prostrano in adorazione e presentano i loro doni su un semplice piatto e con le mani coperte da un lembo del mantello (rito di origine persiana, che significa il desiderio di purezza).[24] In seguito, sia i chierici che l’assemblea presentano offerte aggiuntive allo stesso altare. In questo dramma, la messa in scena è fatta realisticamente attraverso la presenza sull’altare delle figure plastiche rappresentanti Maria e Gesù.

La tradizione di Bilsen presenta rubriche versificate contenenti interessanti indicazioni sulle modalità espressive dei personaggi, in particolare per quanto riguarda quello di Erode. L’azione inizia con una scena nella quale i pastori ricevono dall’Angelo l’annuncio della Natività. Proprio i pastori assumono qui un’inattesa importanza (pur essendo presenti anche nella tradizione di Fleury accanto alle levatrici). La conclusione di questa scena è unica poichè, dopo l’adorazione del Bambino, i pastori invitano i presenti a fare lo stesso. In questa versione del dramma appare certo, per la prima volta nei drammi dell’Epifania, che il passaggio dei Magi dall’altare attraverso il coro voglia rappresentare il loro viaggio da Est a Gerusalemme. Questa tradizione riprende la suddivisione in tre parti dello spazio della chiesa, privilegiando, (al contrario dell’Ordo di Rouen), la vettorizzazione ovest-est.

I Magi, il primo dei quali stat tunc in medio, il secondo qui stat ad dextram, e il terzo qui stat ad sinistram, si incontrano dopo la partenza dei pastori. Cohen ha tradotto «in medio» con «nel mezzo della navata».[25] Kongson tuttavia dissente affermando che nel centro della navata era situato il palazzo di Erode e che quindi «in medio» indicherebbe la posizione del primo re nella campata centrale, mentre il secondo sostava nel lato destro e il terzo nel lato sinistro.[26] Essi prendono comunque avvio dalla porta occidentale, poi si congiungono nella navata, dove incontrano il messaggero di Erode che li conduce verso il palazzo al centro della stessa. Durante i dialoghi interviene un coro di voci. Sembra improbabile inoltre che la prigione in cui i Magi vengono rinchiusi potesse essere raffigurata da una struttura chiusa da una porta e con finestre con inferriate, ma piuttosto da uno spazio simbolico nei pressi del palazzo.

Degno di nota il dialogo tra Erode e i suoi messaggeri per formalità espressiva e facilità di costruzione dell’esametro. Il riferimento implicato nei praesagia vatis, riguardo a ciò che il re chiede insistentemente, non è del tutto chiaro. Certamente il messaggero che risponde immediatamente non chiarisce la questione e il secondo messaggero aumenta la curiosità per il riferimento ai carmina vatum. L’autore potrebbe avere in mente le scritture dei profeti, esaminate nella scena precedente, oppure in maniera classica, un riferimento alla quarta Egloga di Virgilio:

ultima Cumaei venit iam carminis aetas,
Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo
.[27]

Dopo la rivelazione degli scribi, Erode richiama i Magi dalla prigione e li interroga sulla loro provenienza. Sebbene il discorso in esametri sia ovviamente originale, la scena potrebbe essere stata suggerita dal passaggio virgiliano:

Qui genus? Unde domo? […]
Troiugenas ac tela vides inimica Latinis.[28]

Il nome Zoroaster con cui viene chiamato il primo Magio sembra una fantasia personale dello scrittore di questo dramma. La caratteristica letteraria maggiormente stringente del dramma non è il contenuto o la forma del dialogo, ma la versificazione delle rubriche. Questo passaggio in esametri può far suggerire che lo scrittore abbia abbandonato l’intento di commuovere l’uditorio, dedicandosi ad un mero esercizio letterario per impressionare il lettore, ma questo testo potrebbe anche non essere stato creato per la rappresentazione, data l’assenza generale di indicazioni sceniche nelle rubriche; tuttavia la gestualità di Erode è descritta con cura tale da far fortemente pensare ad una rappresentazione.

Nella rappresentazione di Nevers gli attori non creano il loro personaggio strada facendo durante lo svolgimento dello spettacolo, ma sono definiti e completi sin dall’inizio, portando con sé ciascuno la propria storia, nota al pubblico come noti sono i personaggi agenti. Interessante rilevare che lo scrittore coraggiosamente non ha seguito solo le suggestioni del Vangelo, ma ha elaborato anche alcune parti della Vulgata. Il processionale Eamus ergo, viene ad esempio allargato attraverso l’uso del verso 11 del salmo 71; il dialogo tra Erode ed i Magi viene esteso attraverso la ridistribuzione di frasi del dramma di Nevers; viene introdotto un nuovo dialogo dei Magi (Hunc regnare) e la conclusione del dramma è affidata ad un’antifona del Giorno degli Innocenti, come non accade in nessun’altra versione.

Sebbene messaggeri ed emissari siano contenuti nella narrazione di s. Matteo, essi non sono esplicitamente riferiti al Vangelo e la loro invenzione deve essere attribuita ad uno degli scrittori che sviluppò l’Officium Stellae sotto l’influenza, in questo caso, dell’apocrifo Protevangelium Iacobi, nel quale gli emissari sono ben presenti.

Erode fu turbato e mandò dei messi ai Magi […] Quando Erode si accorse di essere stato beffato dai Magi, infuriato spedì dei sicari.[29]

Per la scena tra Erode ed i suoi attendenti, non vi sono antecedenti biblici o apocrifi e, sebbene l’azione di Erode sia indicata dal Vangelo, le sue parole sono inventate. Non abbiamo notizie su costumi o messa in scena, neppure sulla presenza di una stella, pur rimanendo costante l’intenzione di personificazione.

Il testo ha didascalie poco dettagliate, ma non è in tutto e per tutto un difetto in quanto spesso rubriche molto ricche e dettagliate, diversamente da ciò che si è sempre pensato, hanno molta più probabilità di essere un’interpretazione personale del copista che la testimonianza di una prassi largamente accettata.[30]

La tradizione di Palermo si ispira a quella di Rouen e rappresenta uno stato ormai avanzato: già il titolo decisamente teatrale Versus ad Herode Faciendum[31] può farlo rilevare, e inoltre si inizia qui a notare una mescolanza di versi e prosa. Secondo De Coussemaker,[32] il dramma sarebbe stato ispirato al Protevangelium Jacobi e alla Historia Infantiae Salvatoris.[33] Lo esclude invece de Batholomaeis, per il quale esse non sono che tracce dell’antico responsoriale romano, seppur qui siano le abstetrices a mostrare ai Magi il bambino.

A Besançon gli attori che impersonavano i Magi durante la processione partecipavano anche alla lettura del Vangelo, come descritto nel libro ordinario della chiesa dei santi Stefano e Giovanni:

In Missa, ante evangelium, fit processio Trium Regum, qui induuntur amictis, albis, paratis, solis, et tunicis colore differentibus. Apponuntur etiam humeris cappae, dantur capelli cum coronis, et vinicuique famuli, qui defeant phialas. Finita prosa, egrediuntur e vestiario, praecedentibus cereis, et thuribulo, et duobus choristis quorum iunior cum suo baculo praecedit, senior vero sequitur Reges. Reges eant usque ante altare Beatae Mariae.[34]

Essi erano accompagnati da attendenti recanti i doni in vasi d’oro e dagli altri chierici, che portavano aste d’argento, candele accese e turiboli. Gli attendenti erano vestiti come Persiani ed uno di loro aveva il volto annerito a rappresentare un Moro. Dopo l’annuncio del Vangelo con l’abituale forma liturgica, i Magi prendono parte alla lettura in maniera speciale. Dopo che ognuno di essi ha letto a turno un breve passaggio, i cantori leggono alcune parole all’unisono. Le parole aurum, thus, et myrrham, sono distribuite tra i Magi. Alla conclusione del Vangelo essi esclamano Ecce stella, additando la stella, e avanzano dal pulpito verso l’altare principale, dove ognuno a turno deposita i propri doni e la corona. Durante la processione cantano due strofe di Nos respectu gratiae e, porgendo le proprie offerte, ognuno canta una parte appropriata della terza strofa della medesima composizione.

Questo ufficio drammatico consta quindi di due parti:

1) la processione dei Magi al pulpito e la lettura del Vangelo: una rappresentazione del viaggio a Gerusalemme;

2) la processione dei Magi all’altare principale e la deposizione delle loro offerte, che raffigura chiaramente il viaggio a Betlemme, sotto la guida della stella, completato dall’offerta dei doni e seguito dall’offertorio.

Lo stratagemma di frazionare il Vangelo tra i Magi e i cantori trova paralleli nella Messa dell’Annunciazione, come veniva celebrata a Padova[35] e ciò potrebbe essere dovuto alla stessa tendenza che portò, durante il Medioevo, alla distribuzione dei testi delle Passiones della Settimana Santa tra tre cantori. Mentre le due versioni di Ginevra e Friburgo sembrano manifestare un accento comune nella recitazione monofonica del testo, la versione di Besançon resta l’unica tradizione che viene meglio compresa nel confronto con il tessuto polifonico: troviamo infatti un’alternanza fra i tre cantori, ma manca il collegamento al linguaggio parlato attribuito ai Magi nella Bibbia. Ci troviamo di fronte ad una situazione peculiare: le tre persone che rappresentano i Magi non assumono realmente i ruoli delle tre figure bibliche, ma diventano invece ‘attori’ di un tipo speciale di lezione liturgica; d’altra parte essi in quel momento non rappresentano solo tre chierici che mettono in scena una funzione liturgica.

La tradizione di St.-Pierre (Ginevra), risalente al XIV secolo, riporta un Officium Stellae caratterizzato dall’alternanza di tre voci solistiche e da un finale polifonico. Nel manoscritto ciò è preceduto da una versione monofonica dell’Officium, anch’essa distribuita fra i tre solisti che impersonano i tre Magi.[36]

Nella versione polifonica, scritta probabilmente da un’altra mano, le tre voci sono designate come Tenor, Contra e Altus.[37] Questi tre termini, così strettamente musicali, rimpiazzano i nomi dei solisti della versione monofonica, i tre chierici: Canonicus, Curatus civitatis, Curatus forensis. Nella versione polifonica, i dettagli tecnici concernenti i registri vocali sono considerati più importanti. Permangono tuttavia dubbi che la versione che impiegava la polifonia in unione con l’alternanza delle parti soliste rappresentasse un’alternativa alla versione monofonica: in entrambi i casi gli ‘attori’ dovevano essere tre chierici rappresentanti i Magi, e la struttura musicale delle tre parti polifoniche è costruita proprio in modo da enfatizzare i ruoli individuali dei tre personaggi.

Le tradizioni di Aquileia e Cividale sono anch’esse collegate a quella di Padova per quanto riguarda l’Herodes iratus. La cerimonia dell’Epifania a Cividale (eseguita anche alla presenza del Patriarca, il quale la anticipava alla notte di Natale) era molto probabilmente in relazione con il Ludus regis Herodis del XIII secolo.[38]

Durante il Mattutino il re faceva le veci del celebrante ed è probabile che durante la messa il re cantasse il Vangelo, così si spiegherebbe anche l’origine della Messa dello Spadone a Cividale.[39]

Non conosciamo come fosse abbigliato il re a Cividale, ma sappiamo, da un inventario della chiesa Patriarcale compilato tra il 1358 e il 1378, che ad Aquileia viene ricordata, tra i paramenta, una «stricta rubea de sindone cum stellis aureis per totum qua utior quando fit Ludus Regis Herodis».[40] Probabilmente la stricta si trasformò poi nella dalmatica.

Il castigliano Auto de los reyes Magos di Toledo è il più antico dramma giunto fino a noi, si trova in un codice, di cui meno di centocinquanta versi sono conservati in un manoscritto di contenuto ecclesiastico della capitolare di Toledo (una glossa del Cantar de los Cantares e un commentario al Quomodo sedet sola, di Geremia, con testo scritto al centro e glosse a colonne laterali), oggi conservato nella Biblioteca Nacional di Madrid.[41] L’Auto è un brano evangelico drammatizzato, o meglio dialogato, recante caratteri d’aderenza alla realtà. Questa tradizione rappresenta un unicum: solo qui infatti i Magi, con monologhi successivi, espongono le proprie incertezze in merito all’interpretazione della cometa; segue un dialogo in cui i tre re, fugati i dubbi residui e certi ormai della nascita del Bambino, decidono di partire per rendergli omaggio. L’emozione che la stella suscita nel cuore dei Magi è resa con efficacia, ma stranamente essi esitano nella sua interpretazione. A questo punto si inserisce l’elemento più originale: si sottopone il Bambino all’ordalia della scelta, certi che il tipo di dono che sceglierà sarà rivelatore del Suo essere:

se è un re di questo mondo – sentenzia Melchiorre – sceglierà l’oro; se è un comune mortale, la mirra; ma se è rei celestrial prenderà solo l’incenso.

Che l’insolito particolare dei doni-prova, estraneo sia alla tradizione dell’Officium Stellae che ai vangeli apocrifi, trovi riscontro solo in testi francesi,[42] non sembra indizio decisivo a favore di un’origine transpirenaica. Anche secondo D’Amico,[43] esso presenterebbe una spiccata influenza francese e somiglianze con altri drammi primitivi attinti da un ‘fondo comune’ noto a diverse nazioni.

La rappresentazione di Varsavia risente evidentemente del contesto geo-socio-culturale: troviamo qui il Dialogus pro festo trium Regum[44] e il Ludus Herodis nell’originale versione latina della chiesa evangelica di Varsavia.[45] Maria è una fanciulla umile e l’anziano Giuseppe veglia su di lei, i pastori sono rappresentati da gente ordinaria, l’allegoria personificata della morte è vicino alla mangiatoia, vestita di tela, e saltella intorno ad Erode. Il dramma è ambientato nella campagna polacca, con piccole abitazioni all’orizzonte, bestiame al pascolo e prodotti della tradizione, come formaggi e salsicce che due dei Magi, Kuba e Bartek (nomi evidentemente della tradizione polacca), offrono al Bambino.

Un codice del monastero di Györ riporta una versione ridotta dell’Officium Stellae, nella quale mancano le scene di Erode.[46] Un modello più completo della cerimonia era comunque disponibile poco dopo la stesura del manoscritto, perché una seconda mano, che interviene con correzioni anche in altre parti del codice, ha trascritto due canti legati a scene soppresse in fondo alle carte 28v e 29r .

La tradizione del monastero di Sankt Emmeram (Ratisbona), copiata verso la metà dell’XI secolo, rappresenta una testimonianza di provata arcaicità e rivela chiaramente la causa delle varianti principali riscontrate: il canto recepito nell’ambito dell’Officium Stellae assomiglia, infatti, a un’antifona usata durante l’ufficio e, come in altri casi ben documentati,[47] anche qui viene preferito il canto locale al canto estraneo. L’antifona in questione è responsabile anche della variante «et offeramus» e dell’eliminazione del finale a partire da «quia scriptum didicimus».

 

Ant.

Magi videntes stellam, dixerunt ad invicem:
Hoc signum magni regis est: eamus et inquiramus eum,
Et offeramus ei munera, aurum, thus et myrrham.

 

Doglio documenta nelle tradizioni festive del clero minore, che echeggiavano nei giorni successivi al Natale e fin oltre l’Epifania, antichi modi celebrativi di feste paganeggianti e di leggende cristiane, con la creazione di quei modi paraliturgici parodistici, irridenti e, talvolta, ai limiti della blasfemia che, sviluppandosi nei principali centri ecclesiastici europei dopo il X secolo, assunsero i nomi di: Festum stultorum, fatuorum, follorum ed anche puerorum o innocentium, come il testo riportato dall’Ordinarium di Padova.[48]

La tradizione di Einsiedeln, risalente all’XI-XII secolo, pervenutaci su manoscritto acefalo e mutilo,[49] riporta un’evidente novità rispetto a tutte le tradizioni esaminate: la presenza dei profeti, che divengono veri e propri ‘personaggi’, caratteristica non comune neppure alle altre fonti di area svizzera o tedesca e non imputabile ad una contaminazione con l’Ordo Rachelis, frequentemente rintracciabile nelle tradizioni di area francese.

I profeti vengono citati anche in altre tradizioni di area francese, come quella di Rouen e Besançon, in relazione agli interventi di Erode, ma non rivestono mai un ruolo di particolare importanza come in questo caso, in cui giungono a profetizzare il futuro glorioso del Bambino. Interessante la presenza dei pueri e dei pastori che trova un parallelo solo nella tradizione di Freising, dovuta probabilmente alla contaminazione con l’Ordo pastorum.

 

Sigle delle tradizioni

B = Bilsen

Be = Besançon

Be1 = Besançon MS 308

Be2 = Besançon MS 109

C = Compiègne, MS 16819

C1 = Compiègne, MS 1152

Ci = Cividale

Cr = Cremona

E = Einsiedeln

F = Fleury

Fr = Freising

G = Györ

L = Limoges

M = Malmedy

M1 = Malmedy, MS 14477

Ma = Madrid

Mi =Milano

Mü = Münsterschwarzach

N = Nevers, MS 1708

N1 = Nevers, MS 9449

N2 = Nevers, MS 1235

P = Padova

Pa = Palermo

R = Rouen, MS 384

R1 = Rouen, MS 904

R2 = Rouen, MS 382

R3 = Rouen, MS 222

R4 = Rouen, MS 304

S = Strasburgo

 

AH = Analecta Hymnica Medii Aevi (Blume Dreves-Bannister)

CAO = Corpus Antiphonalium Officii (Hesbert)

RH = Repertorium Hymnologicum (Chevalier)

 

Indice dei canti

ANTIFONE

CAO

TRADIZIONI

Ab oriente venerunt Magi

1205

Angelus ad pastores

1404

Fr

Bethleem non es minima

1737

B Be C E F Fr G M M2 Mü Pa R4 S

Caput draconis

1768

P

Ecce advenit

1073

Mü R2

Ecce Maria

2523

Ci

Ecce virgo

2557

F

Facta est cum angelo

2836

B

Germinavit radix

2941

Ci

Impleta sunt omnia

4268

C E F Fr G M Mü N N1 Pa R R1 R2 R3 R4 S

In Bethleem Iudae

4273

Be P Pa

Interrogabat magos

3376

R2

Magi videntes

3654

Ci L R

O admirabile commercium

3985

Ci F

O regem caeli

4077

F Fr G

Pastores dicite

4224

B E Fr R4 S

Pastores loquebantur

4225

B F Fr S

Quando natus es

4441

Ci

Salutis nostre auctorem

4685

R R1 R2

Sinite parvulos

4966

C

Super solium David

5064

B

Tria sunt munera

5181

R R1

Tu Bethleem

5195

N2

Venite adoremus

5348

Pa

Vidimus stellam

5411

R R2

     

RESPONSORI

CAO

 

Adorabunt eum

8583

F

Angelus ad pastores

6088

B

Et tu Bethleem

6254

Be

Gloria in excelsis deo

6859

F Fr

In columbae specie

6892

Ci

Interrogabat magos

6981

R

Magi veniunt

7112

R R3

O magnum mysterium

7274

R4

O regem caeli

7297

B

Omnes de Saba

7314

R R1

Salvete flores martyrum

rh 18342

Fr

Stella quam viderant

7864

Be

Tria sunt munera

7777

R2

     

SEQUENZE

AH

 

Epyphaniam Domino

7,53 n. 37

R R2

Laetabundus exultet fidelis

54,5 n. 2

Fr

Quem non praevalent

54,9 n. 4

F R4

     

TROPI

RH

 

Ecce puer adest

4789

B E F Fr M N R R1 R2 S

Infantem vidimus

8874

B E Fr Pa R S

O quam dignis

13496

L

Pastores dicite

14123

B F Fr Pa R4 S

     

CONDUCTUS

RH

 

Nos respectu gratiae

12241

Be

     

KYRIE

AH

 

Fons bonitatis

47 n.5

R R1 R2

     

VERSI

CAO

 

Magi veniunt ab Oriente

8129

R

Reges Tharsis

8180

Ci

Vidimus stellam

8243

R R2



Indice dei passi biblici

Nm 24, 17

Cr

Dn 1, 20; 2, 2

Cr

Mt 2, 1-13

B Be C Cr E F Fr Pa

Lc 2, 22-50

P

 

Indice dei passi classici

Sallustio

Incendium meum

De con. Catilinae, 29

E Fr

Virgilio

Iuvenes, quae causa subegit

Eneide, VIII, 112-114

F Fr

Qui genus? Unde domo?

Eneide, VIII, 114-117

B Fr

State viri; quae causa viae?

Eneide, IX, 376-377

S

Ultima Cumaei venit iam carminis aetas

Ecloga IV, 4-5

B

 

 

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________________________

[Bio] Nausica Morandi, laureatasi in Musicologia presso l’Università di Pavia sotto la guida di Giacomo Baroffio con una tesi sul dramma liturgico nel Medioevo, svolge ricerche nell’ambito della musica sacra medioevale.
e-mail nausicamorandi@libero.it

[1] Il termine Officium Stellae viene sostenuto da KARL YOUNG, The Drama of the Mediaeval Church, 2 voll., Oxford, Clarendon Press, 1933, nel supportare Jean d’Avranches (vedi JACQUES PAUL MIGNE, Patrologiae Cursus Completus, 221 voll, Paris-Turnhout, Brepols, 1844-1864 [= P.L.], CXLVII, 43) e i drammi Normanni (tradizione di Rouen). I manoscritti di altre tradizioni forniscono una grande varietà di denominazioni: Officium Trium Regum (Rouen), Ordo Stellae (Bilsen), Versus ad Herodem faciendum (Palermo), Ordo ad rapresentandum Herodem, (Fleury) e Stella (Nevers).

[2] Tra le altre tipologie più diffuse di dramma liturgico ricordiamo: Ludus Danielis, Ordo Pastorum, Ordo Rachelis, Sponsus, Visitatio Sepulchri.

[3] Si noti la presenza qui dell’episodio di Erode assente in ELIGIUS DEKKERS-ÆMILIUS GAAR, Clavis patrum latinorum, qua in Corpus Christianorum edendum optimas quasque scriptorum recensiones a Tertulliano ad Bedam, editio tertia aucta et emendata, Turnhoult, Brepols, 1995 [= Clavis], che invece si trova nei Vangeli Apocrifi: Vangelo dell’Infanzia armeno, 11, 1-12 e Protovangelo di Giacomo, 21, 1-4 (si veda I Vangeli Apocrifi, a cura di Marcello Craveri, Torino, Einaudi, 1969).

[4] FRANCO CARDINI, I Re Magi, storia e leggende, Venezia, Marsilio, 2000, p. 63 e appendice iconografica.

[5] ELIE KONGSON, Lo spazio del teatro nel Medioevo, trad. it. a cura di Luigi Allegri, Firenze, La casa Usher, 1990 (ed. or. L’espace théatral médiéval, Paris, Éditions du Centre National de la Recherche Scientifique, 1975), p. 15.

[6] HERMANN STRACK-PAUL BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrash, München, C.H. Beck’sche Verlagsbuchandlung, 1969, vol. I, Mt 2,2.

[7] Sermo de tempore, 202 (segnalato da MARIO BUSSAGLI-MARIA GRAZIA CHIAPPORI, I re magi: realtà storica e tradizione magica, Milano, Rusconi, 1985, p. 5).

[8] JOHANN DRUMBL, Quem quaeritis: teatro sacro dell’Alto Medioevo, Roma, Bulzoni, 1981, pp. 293, 295-296 e 326.

[9] YOUNG, The Drama, cit. Egli colloca i testi della sua analisi in un ordine che va appunto dalla minore alla maggiore caratterizzazione del personaggio dell’Erode furente.

[10] JAMES WALTER in JOHN WILLAERT, L’ancient cantatorium de l’Église de Strasbourg, Colmar, 1928, pp. 95-97 (segnalato da YOUNG, The Drama, cit., vol. I, p. 455); da f. 315 di HERADA DI LANDSBERG, Hortus Deliciarum, edito da Rosalie Green, con scritti di Christine Bischoff, Michael Curschmann, Michael Evans et al., London, The Warburg Institute - University of London, 1979, 2 voll., XIII, 244, XXXIII.

[11] LUIGI ALLEGRI, Teatro e spettacolo nel Medioevo, Roma, Laterza, 1988, p. 138.

[12] ALLEGRI, Teatro e spettacolo nel Medioevo, cit., pp. 136-137.

[13] YOUNG, The Drama, cit., vol. II, p. 29.

[14] YOUNG, The Drama, cit., vol. II, p. 31.

[15] Così riportano la Cronaca, il siriaco Libro della Caverna dei Tesori del VI secolo, la Cronaca pseudoisidoriana del VII secolo e lo pseudo Dioniso di Tell Mahré del IX secolo (segnalato da BUSSAGLI-CHIAPPORI, I re magi, cit., pp. 32-34 e CARDINI, I Re Magi, storia e leggende, cit., p. 130.

[16] YOUNG, The Drama, cit., vol. II, p. 31.

[17] I Magi divennero anche i rappresentanti delle tre razze umane (la Semitica, la Camitica, la Giapetica) ad indicare l’universalità dell’insegnamento di Cristo.

[18] Nel VII secolo gli Excerpta Latina Barbari, opera di autore ignoto che sfrutta fonti greche in parte perdute, citano Balthasar come il protetto dal Signore, Melchior come il re della luce e Gaspar come colui che è dotato di particolari poteri magici.

[19] P.L., XCIV, 541; Clavis, 1129.

[20] P.L., VII, 870-1.

[21] DRUMBL, Quem quaeritis, cit., p. 313.

[22] Le rubriche specificano le direzioni dalle quali i Magi provengono, in merito si vedano anche le tradizioni di Bilsen e Györ.

[23] DRUMBL, Quem quaeritis, cit., pp. 43- 45.

[24] Questo rito è menzionato da Senofonte ed è già usato nella corte imperiale nel tardo impero romano: come noto la liturgia cristiana è ricalcata anche sul cerimoniale imperiale (MICAELA SORANZO, «Siamo venuti per adorarlo». Iconografia dell’adorazione dei Magi, in «Vita Pastorale» 12, Dicembre 2004, on-line http://www.stpauls.it/vita/0412vp/0412vp26.htm).

[25] COHEN, Histoire de la mise en scène (opera segnalata dal citato KONGSON, Lo spazio del teatro nel Medioevo, p. 28).

[26] KONGSON, Lo spazio del teatro nel Medioevo, cit., p. 30.

[27] Ecloga IV, 4-5.

[28] Eneide, VIII, 114-117.

[29] Protovangelo di Giacomo (I Vangeli apocrifi, cit., p. 23).

[30] DRUMBL, Quem quaeritis, cit., pp. 82-83.

[31] Madrid, Biblioteca Nacional, MS 289, cc. 3v-4r, Palermo, Cappella Palatina, XII secolo, edito da YOUNG, The Drama, cit., vol. II, pp. 59-62.

[32] DE COUSSEMAKER, Drame liturgique du moyen âge, texte et musique, Paris, 1860 (segnalato da FEDERICO DOGLIO, Erode furente e i Magi cristiani, dall’Officium stellae alle laudi drammatiche perugine, in Atti del IV colloquio della Société Internationale pour l’Étude du Théâtre Médiéval, Viterbo, 10-15 luglio 1983, a cura di Massimo Chiabò, Federico Doglio e Marcell Maymone, Roma, Ministero per i Beni culturali ed ambientali, 1984, pp. 17-42: 36).

[33] I Vangeli apocrifi, cit.: Protovangelo di Giacomo, XXI, 1-4; Vangelo dell’Infanzia armeno, XI, 1-22.

[34] Descrizione francese della processione dei Tre Re, Liber Coerimoniarum et Officiorum divinorum quae fiunt in ecclesia Sancti Stephani Bisuntini, stilata da Francis Guenard, sacerdote di Santo Stefano, nel 1629; edito da YOUNG, The Drama, cit., vol. II, pp. 434-435.

[35] GIULIO CATTIN – ANNA VILDERA, Liber Ordinarius ecclesiae paduane, 2 voll., Padova, Istituto per la storia ecclesiastica padovana, 2002 (Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana, 27), 81, d.

[36] Genève, Bibliothèque Publique et Universitaire, Cod. Lat. 38b, cc. 35-40v, segnalato da DOGLIO, Erode furente, cit., pp. 39-40.

[37] cc. 38v-39r.

[38] GIUSEPPE VALE, La cerimonia della spada ad Aquileia e a Cividale, in «Rassegna Gregoriana», 7, 1908, pp. 27-47.

[39] EMIDIO PAPINUTTI, Il processionale di Cividale, Gorizia, Ed. di «Int Furlane», 1972, pp. 87-88.

[40] Ludus regis herodis aquileiae. Si veda ZOPPI, Inventario della chiesa patriarcale di Aquileia, in «Archivio storico per Trieste, l’Istria e il Trentino», IV, 1844-86, p. 63 (segnalato da VINCENZO DE BARTHOLOMAEIS, Origini della poesia drammatica italiana, Torino, SEI, 1952, p. 56 e VALE, La cerimonia della spada, cit., p. 37).

[41] RAMÓN MENENDÉZ PIDAL, Textos medievales españoles, Madrid, Espasa-Calpe, 1976, pp. 169-177 (testo segnalato da LÓPEZ FRANCISCO ESTRADA, Nueva lectura de la rapresentacion del nacimiento de nuestro Señor, in Atti del IV colloquio della Société internationale pour l’étude du théâtre médiéval, cit., pp. 20-86: 23). L’Auto fu scoperto alla fine del Settecento e pubblicato nel 1843 da Amador de los Ríos.

[42] La letteratura Romanza medievale, a cura di Costanzo Di Girolamo, Bologna, il Mulino, 1994, p. 315.

[43] SILVIO D’AMICO, Storia del teatro drammatico, 4 voll., Milano, Garzanti, 19706, vol. I, p. 242.

[44] Krakow, Bibl. Jagellone, 3361, c. 11r, segnalato da ELEONORA UDALSKA, Les mystères polonaises dans le théâtre de Kazimierz Dejmek, in Atti del IV colloquio della Société internationale pour l’étude du théâtre médiéval, cit., pp. 589-600: 591.

[45] Krakow, Bibl. Jagellone, 4551, c. 4v, anonimo latino del XII secolo, segnalato da UDALSKA, Les mystères polonais, cit., p. 592.

[46] Zagreb, Archivio Capitolare, cod. MR 165 cc. 28v-30r, edito da DRUMBL, Quem quaeritis, cit., pp. 319-320.

[47] DRUMBL, Quem quaeritis, cit., pp. 294-295.

[48] DOGLIO, Erode furente, cit., p. 279.

[49] Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Fragmenta liturgica, Ms 366, (olim 179), pp. 53-55.

 

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