Donatella Melini, Iconografia musicale e museo. Percorsi didattici nei Musei di Vercelli sulle orme di Winternitz. :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

Contributo di Donatella Melini

Iconografia musicale e museo. Percorsi didattici nei Musei di Vercelli sulle orme di Winternitz*

 

Nascita dei percorsi

 

La mia esperienza vercellese legata all’iconografia musicale è nata qualche anno fa dal fortunato incontro con la dottoressa Cinzia Lacchia conservatrice del Museo Francesco Borgogna[1] di Vercelli. Entrambe ci eravamo trovate ad affrontare, pur su diversi versanti, la questione «iconografia musicale»: io ero sempre a caccia di nuove fonti iconografiche mentre la dottoressa Lacchia alla ricerca di chiavi di lettura per le opere a «carattere musicale» del Museo. Discutendo intorno alla fattura di una ribeca, su cosa sono e come si contano i cori di un liuto e della valenza culturale della lira da braccio, ci siamo rese conto di quanto fosse importante comunicare al pubblico questo tipo di approccio al mondo dell’arte. Frutto tangibile di queste conversazioni è stata l’organizzazione di una prima visita guidata a carattere iconografico-musicale rivolta agli adulti alla quale si è pensato di dare subito un seguito creando percorsi specifici rivolti ai ragazzi in età scolare. Si è altresì ritenuto importante stabilire ulteriori approfondimenti e collegamenti coinvolgendo nel progetto anche le altre istituzioni presenti sul territorio. È stato così che grazie alla collaborazione del Museo Francesco Borgogna con le direzioni del Museo Camillo Leone,[2] del Museo del Tesoro del Duomo, Archivio e Biblioteca Capitolare[3] e dell’Assessorato alla Cultura della città,[4] sono nati i Percorsi didattici di Iconografia Musicale dei Musei di Vercelli che illuminano momenti importanti della storia e della cultura musicale: l’antichità classica e l’origine mitologica di alcuni strumenti musicali; i codici e la semiografia musicale di epoca medievale; la morfologia, la costruzione e l’evoluzione di strumenti musicali tra Trecento e Quattrocento.

 

 

Metodologia impiegata

 

Per coinvolgere attivamente le classi nella scoperta dell’iconografia musicale si è fatto ricorso alla metodologia della «didattica museale»[5] che da qualche decennio in Italia (ma non solo) è diventata l’imperativo per tutti coloro che si occupano a vari livelli del bene e del patrimonio culturale, della sua comunicazione e conoscenza. Attraverso l’ideazione «didattica» di percorsi multidisciplinari e mirati – che di volta in volta hanno il compito di mettere in luce e analizzare un particolare aspetto (la storia delle collezioni, una scuola, un artista, lo spazio architettonico o una determinata sezione) unitamente ai relativi rimandi culturali – si modifica e si rinnova la concezione del «luogo museo», che in tal modo cessa di essere quello spazio austero, stantio e un po’ polveroso ancora purtroppo presente nell’immaginario collettivo.[6] Non si tratta più, quindi, di una lezione frontale – la guida parla e il gruppo ascolta – ma di un momento «interattivo» e sfaccettato in cui l’operatore didattico, illustrando un determinato percorso, si trasforma in moderatore del gruppo guidando, ampliando e suggerendo nuove chiavi di lettura.

 

 

Problemi di impostazione e scelte operate

 

L’iconografia musicale spiegata in museo ad un pubblico di non specialisti è, senza dubbio, una materia complessa in cui le competenze messe in gioco sono molteplici: storia dell’arte, storia della musica, organologia, liuteria e non per ultimi museologia e restauro. Nello spazio limitato di novanta minuti[7] non è possibile approfondire come si vorrebbe tutti gli aspetti della materia, per cui è fondamentale decidere preliminarmente cosa sia rilevante e, soprattutto, stabilire quale sia lo scopo finale da raggiungere insieme al gruppo. La mia scelta è stata (e lo è tuttora) quella di far scoprire un modo diverso di leggere l’opera d’arte e cogliere l’importanza e il fascino della disciplina,[8] sottolineando e privilegiando di volta in volta (a seconda dell’età del gruppo e della sua preparazione) un aspetto più organologico o storico-artistico piuttosto che liutario o iconografico. Per fare questo si deve necessariamente riservare un’attenzione particolare al linguaggio, che, pur adeguato all’utenza, deve conservare (questo è fondamentale) il rigore scientifico e l’appropriatezza dei termini. La buona riuscita del percorso (far nascere l’interesse e stimolare la curiosità di approfondire l’argomento anche dopo il momento della visita) è, infatti, affidata alla capacità e all’esperienza dell’operatore didattico che deve tenere alto, interessante e accattivante il tono della conversazione pur usando termini «difficili» e apparentemente «oscuri», tipo iconografia musicale, bombarda o neuma adiastematico. I bambini e i ragazzi, infatti, sono assolutamente capaci di seguire e capire argomenti complessi purché siano loro fornite le giuste chiavi di interpretazione e di lettura.

 

 

I percorsi di Iconografia musicale nei Musei di Vercelli

 

L’ideazione dei percorsi vercellesi ha comportato, ovviamente, un preliminare censimento dello specifico patrimonio iconografico-musicale in seguito al quale sono stati individuati diversi temi: iconografici (per esempio la Madonna con Bambino e Angeli Musicanti al Borgogna; gli strumenti del corteo dionisiaco o la ripresa dello strumentario classico nel Rinascimento al Leone), organologici (tra cui gli antenati del violino o gli strumenti a fiato al Borgogna; lyra e khitara al Leone), cronologici (la scrittura musicale nel XII secolo all’Archivio Capitolare; gli strumenti musicali della fine del Trecento al Museo Borgogna). Le opere illustrate nei singoli percorsi sono state poi selezionate tenendo conto sia della loro visibilità che della coerenza del percorso espositivo: sono sconsigliabili, infatti, quegli itinerari distribuiti disordinatamente da un capo all’altro del museo che provocano dispersione di tempo e conseguente calo di attenzione.[9] Sono stati elaborati, quindi, dei titoli capaci di fornire uno stretto legame con la tipologia del percorso e il patrimonio dello specifico museo: Musica dipinta al Museo Borgogna; Musica di carta al Museo del Tesoro del Duomo, Archivio e Biblioteca Capitolare; Musica di pietra al Museo Camillo Leone.

Il percorso didattico Musica dipinta «propone alle scuole un’innovativa attività guidata di carattere iconografico-musicale alla scoperta di una nuova e affascinante disciplina storico-artistica a metà tra l’arte e la musica».[10] Esso ha per tema la costruzione, la storia, l’evoluzione degli strumenti musicali ed è realizzato, con l’aiuto di schede e materiale liutario, attraverso una selezione delle opere figurative conservate nel Museo Borgogna. Considerata la particolare tipologia del luogo – una casa-museo in cui la personalità, le passioni e le scelte collezionistiche del fondatore Antonio Borgogna sono tuttora molto presenti –, all’inizio del percorso si fa rilevare l’importanza del luogo e il suo legame storico con la città, dopodiché ci si trasferisce nella sala detta «del Lanino», dove sono esposte le vele affrescate per l’appunto da Bernardino Lanino e provenienti dalla chiesa vercellese di Santa Caterina. Questa sala, molto spaziosa (anche se di passaggio), si presenta perfettamente rispondente alle esigenze iconografico-musicali del percorso (vedi Figura 1). Le grandi vele, ognuna delle quali ospita un angelo musicante, sono ben leggibili e gli strumenti raffigurati (lira da braccio, liuto, zampogna, tamburello, arpa, ghironda, lira, bombarda) sono soggetti ideali per delineare tutte le caratteristiche e le problematiche della disciplina. Il percorso Musica dipinta è incentrato in particolare sugli strumenti a corde sfregate e a pizzico e quindi l’attenzione è focalizzata soprattutto sui dipinti che ospitano questa tipologia, mentre degli altri si segnala solo en passant il nome dello strumento e la sua funzione.[11] Dopo aver spiegato, velocemente, la tecnica e le vicende storiche e conservative delle vele (dall’originaria collocazione alla attuale, lo strappo e il riporto su tela), si esaminano gli strumenti prima dal punto di vista organologico e poi storico-sociale.[12] Grazie a materiale proveniente da un laboratorio di liuteria[13] si passa poi ad un momento molto affascinate per i ragazzi durante il quale sono illustrate le fasi essenziali della costruzione di un liuto e di un violino. I ragazzi sono invitati (finalmente!) a toccare e prendere in mano i vari elementi e analizzare da vicino le essenze lignee impiegate e alcuni attrezzi. Grazie alla spiegazione delle tecniche liutarie essi acquisiscono la consapevolezza di come sono fatti gli strumenti, di cui imparano a discernere tutte le varie componenti, e allorché vengono loro consegnate delle schede raffiguranti strumenti fantasiosi o mancanti di taluni particolari, con loro grande soddisfazione riescono a individuare la problematica dell’immagine dipinta. Il gruppo si sposta, in seguito, nel grande salone dove sono conservate due opere significative per il percorso: la grande pala di Defendente Ferrari e Girolamo Giovenone raffigurante la Vergine in trono con ai lati San Francesco, il Beato Angelo Carletti, Santa Margherita e San Sebastiano (vedi Figura 2); e la sontuosa ancona Madonna con Bambino in trono e angeli di Defendente Ferrari (vedi Figura 3). Entrambe le opere attestano un liuto e una ribeca ma ritratti con prospettive diverse: nella prima gli angeli sono seduti alla base del trono (e, in particolare, l’angelo liutista, volgendo le spalle all’osservatore, mostra il fondo a doghe del suo strumento), mentre nella seconda gli angeli sono collocati alle spalle della Madonna e mostrano gli strumenti frontalmente (mettendo in evidenza, in questo caso, il disegno abbastanza dettagliato della rosetta). Il percorso procede in un’altra sala dove si possono ammirare due piccole opere «a chiaroscuro» attribuite a Lanino: un Angelo che suona l’arpa e un Angelo che suona una viola da gamba (vedi Figura 4). Frequentemente sono i ragazzi stessi che con entusiasmo, collegandosi alle vele precedenti, sottolineano per primi le «sviste» dell’autore: ad esempio, le corde dell’arpa che sono tese non tra cassa armonica e mensola ma tra mensola e colonna. L’itinerario si conclude in una piccola sala dove sono conservati tre frammenti di un affresco della seconda metà del Quattrocento (proveniente dalla chiesa del Carmine) raffigurante Il Giudizio Universale (vedi Figura 5), con ribeca e trombe con stendardi. In questo caso l’osservazione del particolare spessore dei fori armonici[14] della ribeca fornisce lo spunto per riepilogare il passaggio storico e tecnico-costruttivo del piano armonico dalla pelle del rabab alla tavola della ribeca precedentemente spiegato nel grande salone.

Il percorso Musica di carta prevede, invece, «un’attività mirata alla scoperta della scrittura musicale dei secoli XI-XIV. Attraverso i segreti dello scriptorium, tra neumi e miniature, i ragazzi sono iniziati alla conoscenza dei preziosi codici a carattere musicale conservati presso l’Archivio Capitolare e all’importanza della funzione di conservazione e di tutela di un archivio».[15] Il percorso si svolge in un ambiente del Museo del Tesoro del Duomo (adiacente all’Archivio Capitolare) all’interno del quale sono temporaneamente esposti in vetrine i frammenti e i codici scelti in funzione del percorso. La classe si trasforma idealmente in uno scriptorium medievale impegnato nel confezionamento di un prezioso codice destinato ad un alto prelato. In primo luogo sono illustrate le fasi della preparazione del materiale (pergamena, calami, colori) e del lavoro di scrittura, quindi la scolaresca (insegnanti compresi) è invitata a scrivere a mano libera e in carattere corsivo minuscolo una semplice (ma abbastanza lunga) frase del tipo «oggi ventisette marzo duemilaedue la classe quarta b si trova presso il museo del tesoro del duomo a preparare un codice musicale per un vescovo…». Successivamente si fa rilevare come, su un foglio completamente bianco, ognuno utilizzi una propria grafia (chi grande chi piccola; chi va abbastanza dritto e chi no) e diverse spaziature tra una linea e l’altra. Risulta quindi con evidenza che l’unione dei fascicoli redatti in tal modo è disordinata e poco elegante e che quindi bisogna trovare una regola tale da permettere una scrittura uniforme. Si passa, in tal modo, alla spiegazione e all’esecuzione della foratura e della rigatura del foglio – di cui i codici posti nelle vetrine forniscono un chiaro esempio – e successivamente si determina lo spazio appropriato per miniature e capilettera (che i ragazzi potranno riempire in un momento successivo). Si affronta, a questo punto, il problema della notazione musicale (in particolare della tipologia dei diversi neumi: pes, torculus, clivis, climacus), e della materia di cui si occupano la «paleografia» e la «codicologia», e si introducono altri termini «oscuri» quali: indicazione chironomica, adiastemazia. Ai ragazzi sono, quindi, consegnate delle apposite schede che illustrano i neumi adiastematici (utilizzo solo la scrittura sangallese) e le corrispondenti morfologie nella scrittura quadrata diastematica. Il percorso si conclude, generalmente con grande soddisfazione del gruppo, con una prova di trascrizione in notazione moderna di alcuni neumi tratti da un frammento[16] (vedi Figura 6) in notazione quadrata momentaneamente esposto nella bacheca del Museo del Duomo.

Il percorso Musica di pietra ha per tema «la conoscenza dei miti legati alla nascita della musica e degli strumenti musicali – Zeus, Apollo, Dioniso, Atena, Orfeo, Pan, Marsia, Achille: ecco solo alcuni dei personaggi "musicali" più famosi – così come si possono leggere attraverso i reperti archeologici raccolti nel Museo Camillo Leone».[17] Esso prende avvio in una grande sala al primo piano di Casa Alciati che ospita alle pareti affreschi della prima metà del XVI secolo narranti le Storie di Orfeo (Orfeo che suona la lira da braccio; tre ninfe che danzano accompagnate da uno strumento a fiato; un ciclope che suona una siringa). I ragazzi sono invitati a esprimere la propria opinione su come e perché sia nata la musica e a raccontare qualche storia o favola ad essa legata.[18] Il mito di Pan e di Siringa ad esempio, suggerito dalla figura del ciclope (vedi Figura 7), suscita solitamente un notevole interesse soprattutto allorché i ragazzi si rendono conto che questo strumento «mitico» e «favoloso» fa parte di uno strumentario ancora oggi normalmente usato: ciò costituisce un primo passo verso la consapevolezza del legame tra «l’antico conservato» e l’attualità, e la conseguente riconsiderazione da parte dei ragazzi del luogo-museo. Una volta conclusa la discussione sui miti legati alla musica si passa all’osservazione delle caratteristiche organologiche degli strumenti relativi[19] tramite la distribuzione di apposite illustrazioni. L’attenzione per il dettaglio organologico permette ai ragazzi di affinare la capacità di osservazione e di comprendere le caratteristiche base degli strumenti musicali consentendo loro di «correggere» o completare alcuni disegni predisposti appositamente. Queste schede, non a caso, riportano soprattutto disegni di strumenti appartenenti a reperti (vedi Figure 8 e 9) ospitati in altre sale del Museo (Sala Ottagonale e Sala Romana), che a questo punto, in una sorta di caccia al tesoro, sono facilmente individuabili e leggibili in prospettiva iconografico-musicale.

 

 

Materiale utilizzato dai ragazzi nei percorsi

 

Per ogni percorso è stato predisposto del materiale di supporto costituito da fotografie in formato A3 di dettagli delle opere analizzate (dipinti, reperti archeologici, frammenti di codici), schede con la riproduzione di alcuni strumenti e relativa terminologia organologica, tavole di neumi semplici in notazione san gallese e quadrata. Inoltre, per ogni percorso, è stato preparato del materiale «per fare», costituito da disegni o tavole da correggere o da completare nei dettagli mancanti.

 

 

Conclusioni

 

I percorsi di Iconografia Musicale costituiscono, sia per i musei che per le scuole, un’esperienza senza dubbio al di fuori dalle consuete offerte della didattica museale. Non è un caso, infatti, che questo progetto, come altri da me presentati in diverse istituzioni, abbia avuto bisogno, prima di tutto, di una spiegazione approfondita relativa sia agli scopi di questa disciplina che al modo in cui una proposta didattica di questo tipo può realmente interessare e coinvolgere le scuole. Il risultato di questa esperienza vercellese è stato a mio parere più che soddisfacente e dimostra che l’iconografia musicale, proprio per le sue caratteristiche multidisciplinari, può costituire un commento parallelo ai particolari momenti storico-culturali affrontati nei diversi curricola scolastici. Per le istituzioni museali, poi, il ritorno in termini di studio, di frequentazione, di divulgazione delle proprie collezioni può risultare ancor più gratificante: il messaggio passato ai ragazzi all’inizio della visita è, infatti, che l’esperienza che si andrà a fare da lì a qualche istante è solo una delle tante possibili in un luogo diverso dal solito – senz’altro magico e affascinante –, in cui senza dubbio sarà piacevole ritornare ancora con la scuola ma anche privatamente… magari facendo personalmente da guida (iconografica musicale, soprattutto!) a genitori e amici.

 

 

Bibliografia

 

Didattica museale

 

Per un aggiornamento riguardante la didattica museale (metodologia, proposte, problematiche pedagogiche ecc.) rimando al lavoro condotto presso la Terza Università di Roma nel Dipartimento di Scienze dell’Educazione, dove è attivato un corso di perfezionamento a distanza in Didattica generale e museale (www.uniroma3.it). Tra la ricca bibliografia riportata sul sito mi sembra utile segnalare questi due testi in particolare:

  • Imparare al museo. Percorsi di didattica museale, a cura di Emma Nardi, Tecnodid, Napoli, 1995.
  • EMMA NARDI, Quale didattica per i musei d’arte?, «Cadmo – Giornale italiano di Pedagogia sperimentale, Didattica, Docimologia, Tecnologia dell’istruzione», VII, 1999.

Riguardo alla funzione del Museo ricordo la definizione data all’articolo 2 paragrafo 1 dello statuto dell’ICOM (International Council of Museum – www.icom.museum):

A museum is a non-profit making, permanent institution in the service of society and of its development, and open to the public, which acquires, conserves, researches, communicates and exhibits, for purposes of study, education and enjoyment, material evidence of people and their environment.

Nell’ambito di questa importante istituzione affiliata all’Unesco è attivo anche uno specifico Comittee for Education and Cultural Action (CECA).

 

Musei di Vercelli

 

  • VITTORIO VIALE, Guida ai musei di Vercelli, Chias, Vercelli, 1935.
  • VITTORIO VIALE, I Dipinti. Civico Museo F. Borgogna, Pizzi, Cinisello Balsamo, 1969.
  • L. BERARDI, Il Civico Museo Borgogna. Vercelli, Garolla, Milano, 1985.
  • MARIAGRAZIA CARLONE, Iconografia musicale nell’arte biellese, vercellese e valsesiana: un catalogo ragionato, Torre d’Orfeo, Roma, 1995.
  • L’Arte in gioco, quaderno didattico a cura di Lavinia Maria Galli Michero,  Vercelli, 1998.
  • Museo Borgogna. Storia e Collezioni, a cura di Cinzia Lacchia e Alessia Schiavi, Cologno Monzese, 2001.
  • DONATELLA MELINI, Ma guarda un po’ chi suona! Alla scoperta della musica dipinta al Museo Borgogna, Vercelli, Gallo, 2004 (Quaderni di Iconografia Musicale, I).

 

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[Bio] Donatella Melini, storico dell'arte e maestro liutaio, è iscritta al dottorato di ricerca in musicologia presso l'Università di Innsbruck. Oltre che in ambito iconografico-musicale svolge ricerche in campo storico-artistico curando mostre, creando percorsi didattici e collaborando con istituzioni sia in Italia che all'estero.
e-mail: csae5741@uibk.ac.at

* Questa relazione è stata letta al convegno internazionale Music in Art: Iconography as a Source for Music History – the Ninth Conference of the Research Center for Music Iconography, commemorating the 20th anniversary of death of Emanuel Winternitz (1898-1983), Research Center for Music Iconography and Metropolitan Museum of Art, New York, 5-9 Novembre 2003.

[1] «Il museo Francesco Borgogna racchiude la seconda pinacoteca in Piemonte per quantità e qualità delle opere esposte (450 opere disposte su tre livelli in circa 3000 metri quadri). Unico per ricchezza e coerenza è l’insieme della pittura rinascimentale dell’attuale Piemonte orientale. La maggioranza dei pezzi proviene dalla straordinaria raccolta del collezionista Antonio Borgogna (1822-1906), fondatore del Museo [da lui intitolato al padre Francesco], comprendente opere d’arte dal Rinascimento all’Ottocento. L’arte del XIX secolo è rappresentata non solo dalla pittura europea, ma anche da opere di scultura e arti applicate. Il Museo possiede inoltre un fondo di grafica e un ricco archivio fotografico di lastre storiche» ( dalla presentazione presente sul sito www.museoborgogna.it).

[2] «Il Museo Leone conserva cospicue raccolte archeologiche e di arte applicata. Fu aperto al pubblico nel 1910 a cura dell’Istituto di Belle Arti, erede della ricca collezione di oggetti antichi e delle proprietà immobiliari del notaio Camillo Leone (1830-1907). Ha sede in due distinti edifici storici, il barocco Palazzo Langosco e la cinquecentesca Casa Alciati, collegati da una manica di raccordo costruita nel 1939 su progetto di Augusto Cavallari Murat, che ne curò anche l’allestimento, in collaborazione con Vittorio Viale» (dalla presentazione presente sul sito www.lett.unipmn.it/ospiti/leone/dipinti).

[3] «Il prestigioso Archivio Capitolare di S. Eusebio di Vercelli costituisce un forte richiamo per studiosi esteri ed italiani di diverse discipline: bibliche, giuridiche, teologiche, storiche e affini. È ricco di ben 227 codici manoscritti, non pochi anche miniati, dal IV al XV secolo; a questi occorre aggiungere le oltre 4.000 pergamene consistenti in diplomi imperiali e regi, bolle pontificie, atti vari interessanti per la storia ecclesiastica e civile di Vercelli e del Vercellese, e i 1.000 mazzi di documenti cartacei. Probabilmente cinque codici sono anteriori al secolo VIII, venti sono datati tra il IX e il X, quaranta tra l’XI e il XII, i rimanenti risalgono al XIV e al XVI secolo» (dalla presentazione presente sul sito www.vercelli.net/duomovc/archivio).

[4] I miei sentiti ringraziamenti vanno, oltre che alla già citata dott.ssa Cinzia Lacchia, alla dott.ssa Anna Rosso del Museo Leone, alla dott.ssa Anna Cerutti Garlanda dell’Archivio Capitolare e all’assessore alla Cultura di Vercelli prof. Gianni Mentigazzi che ha supportato il mio viaggio a New York.

[5] La «didattica museale» è una strategia di comunicazione che in Italia si diffuse intorno agli anni Settanta grazie alla figura di Bruno Munari (Milano, 1907-1998). L’artista, attraverso l’idea di laboratori arte-gioco intese avvicinare i ragazzi di età scolare al mondo dell’arte e delle sue tecniche attraverso l’esperienza diretta del «fare»: l’obiettivo fu pienamente raggiunto.

[6] Fondamentale è, quindi, la presenza attiva in Museo di un «apparato didattico» costituito da: operatori adeguatamente preparati; aule didattiche appropriate; materiale di consultazione e di approfondimento specifico; supporti bibliografici e audiovisivi (noto con piacere che su questa strada si sta favorevolmente incamminando il Museo Francesco Borgogna). Tutto questo rappresenta la condicio sine qua non per la valorizzazione e la crescita culturale e sociale di ogni struttura che voglia fare e diffondere «sapere».

[7] Si è scelto di far durare il percorso novanta minuti adeguandoci alla durata standard delle visite guidate nei musei e nelle mostre d’arte. Nonostante un’ora e mezza sia per gli operatori un tempo esiguo (rispetto a quanto si vorrebbe e si potrebbe dire) si è constatato che questo è comunque il tempo giusto per tenere viva l’attenzione e non annoiare.

[8] La mia maggiore soddisfazione è stata quella ricevuta alla fine di un percorso quando un bambino di dieci anni mi ha detto: «Càspita, quante cose si possono scoprire in questo modo!».

[9] Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che di solito i percorsi si svolgono in ambienti ancora impostati tradizionalmente (e questo problema non riguarda solo i musei vercellesi) e concepiti allo scopo primario di conservare opere importanti che, quindi, spesso sono esposte dietro a barriere, in bacheche portaoggetti troppo alte per persone di piccola statura o con un’illuminazione non adatta alla lettura di dettagli minimi. Questo induce spesso a tralasciare opere interessanti ma che, proprio per questi motivi, sono per le esigenze didattiche «invisibili». Più volte, però, ho potuto avvantaggiarmi della fattiva disponibilità dei conservatori che ha permesso di trovare una soluzione a questo problema con la momentanea esposizione ad hoc di quelle opere che in un primo tempo erano state accantonate.

[10] Con queste parole si apre il comunicato inviato agli insegnanti delle scuole elementari e medie.

[11] Questi strumenti sono infatti protagonisti di altri percorsi.

[12] Soprattutto ora che anche in Italia le scuole sono frequentate da alunni di diversa nazionalità e religione mi sembra importante porre in risalto la provenienza dal mondo islamico del liuto e della ribeca (strumento che si ritroverà e sarà spiegato più avanti nel percorso) e del significato e del legame con il mondo ebraico nel disegno base delle rosette.

[13] In particolare per il violino: uno spicchio di tronco di abete per la tavola, uno di acero per il fondo, fasce semilavorate in acero, una porzione in acero per il riccio, diversi stadi della lavorazione del riccio, dime interne ed esterne, forma interna con zocchetti, un piano armonico allo stadio intermedio (bombatura esterna e tracciatura dei filetti), filetti, anima e catena, sgorbie, traccia-filetti e filettatore, spessimetro, ferro per l’anima. Per il liuto: tavola armonica con parziale lavorazione della rosetta, fasce, manico, guscio.

[14] Cfr. MARIAGRAZIA CARLONE, Iconografia musicale nell’arte biellese, vercellese e valsesiana: un catalogo ragionato, Torre d’Orfeo, Roma, 1995, p. 81: «In uno dei frammenti si vedono tre angeli che cantano guardando un libro aperto, mentre un altro suona una ribeca dipinta con molta cura: in particolare, si nota che la tastiera è sopraelevata a scalino rispetto alla tavola armonica, che è forata da due "C" attraverso le quali si nota lo spessore del legno».

[15] Dal comunicato inviato alle scuole.

[16] Archivio e Biblioteca Capitolare di Vercelli, Frammento CCXLVII.b.

[17] Dal comunicato inviato alle scuole.

[18] Anche in questo caso è importante, a mio avviso, creare collegamenti con culture extraeuropee; ecco che, allora, il racconto di Francis Bebey (1919-2001; Grand Prix Littéraire de l’Afrique Noir nel 1968) del mito di Nyambé (il creatore dei Bantu) e di come sia nata la musica e la gente dell’Africa Orientale grazie alle note della sanza, mi sembra molto appropriato: «In principio non c’era nulla. Né luce, né oscurità. Nulla a parte la noia. E Nyambé si annoiava a morte. Un giorno domandò all’Immaginazione: “Che fare?”. L’immaginazione rispose: “Costruisci una sanza! Vedrai che appena comincerai a suonarla la noia se ne andrà”. Allora Nyambé fabbricò una sanza, pizzicò una lamella, e si udì il primo suono di musica, dal quale uscì il sole. Un altro suono di sanza diede origine all’uomo, ben presto raggiunto da sua moglie e da tanti figli che rapidamente popolarono la terra. È così che tutti gli uomini, bianchi e neri, gialli e rossi, sono nati dalla sanza. E anche adesso che vi parlo, Nyambé sta facendo un bambino… un altro bambino… tanti bambini, di tutti i colori… È per questo che i Bantu amano tutti gli uomini senza distinzione». Racconto tratto dal sito www.tamtando.com/eventi.

[19] Aulos, lyra, khitara, sistri e tintinnabula.

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