Recensione a cura di Daniele V. Filippi - ANNIE CŒURDEVEY, Roland de Lassus, Fayard, Paris, 2003. :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

 

Contributo di Recensione a cura di Daniele V. Filippi

 

ANNIE CŒURDEVEY, Roland de Lassus, Fayard, Paris, 2003, 599 pp., 103 esempi musicali.

 

 

Lasciando agli specialisti di Lasso il compito di una verifica puntuale di questa corposa monografia, vorrei dare qui il resoconto di una lettura mossa soprattutto da curiosità metodologica. Il quesito soggiacente è in fondo legato a riflessioni analoghe a quelle già esposte in questa stessa rivista da Vincenzo Borghetti (si veda «Philomusica», III, 2003-2004): come si può scrivere oggi un «life & works» dedicato a un grande autore del Rinascimento?

 

Proviamo dapprima a definire, con piglio pragmatico, il quadro della situazione, postulando che le considerazioni intorno al caso di Lasso siano estensibili, mutatis mutandis, a diversi altri grandi compositori rinascimentali.

Il primo e più ovvio problema è quello del pubblico di riferimento: a chi si rivolge lo studio a tutto tondo del compositore in questione? Alla comunità musicologica (ad una o più delle sue branche), agli studiosi di altre discipline umanistiche, ai musicofili, a un pubblico ancora più vasto? E se la comunque risicata sostenibilità economico-editoriale impone di soddisfare contemporaneamente diversi destinatari, quali soluzioni salvaguardano la qualità culturale e scientifica dell’opera? (Laddove, per altro, non necessariamente il contenuto netto in novità assolute è il migliore e più utile indicatore qualitativo: una nuova e documentata sintesi, un’interpretazione innovativa di fatti già noti può, se condotta con intelligenza, far avanzare significativamente la conoscenza… ed è a ben vedere proprio ciò di cui si sente la mancanza per tanti protagonisti della musica rinascimentale!).

Un’altra questione caratteristica, scoraggiante quando non paralizzante nell’ottica di un’esegesi stilistica complessiva, è spesso la presenza di un catalogo vasto (addirittura sterminato, nel caso di Lasso), ma costituito prevalentemente da brani brevi o brevissimi – ciascuno inserito in una delicata trama di riferimenti, convenzioni, richieste della committenza…–, e trasmesso oltretutto da una complessa tradizione manoscritta e a stampa, che rende arduo il riconoscimento di un’affidabile cronologia compositiva.

Senza voler allungare a dismisura la lista delle problematiche più gravi, non si può omettere quella concernente il rapporto che l’autore della monografia instaura, più o meno coscientemente, con la vulgata storica e musicologica. Nel nostro caso, il dilemma tipico per chi scriva intorno a soggetti come Lasso, Palestrina, Victoria o De Monte è vedersi provvisto, magari, di un ventaglio di fonti storiche, testimoni, edizioni, incisioni, saggi analitici arricchitosi e diversificatosi negli ultimi decenni, ma senza un corrispondente aumento nella capacità e nell’interesse per la visione sintetica. Il che rende quasi inevitabile il ricorso al precario salvagente dei giudizi vetusti – più o meno illuminati in sé, più o meno travisati dagl’immediati posteri: ricorso che troppo spesso si dispiega in pagine ingenuamente acritiche o inutilmente ipercritiche.

Venendo ora allo specifico: come governa la sua navicella, in questo mare pieno di insidie, l’autrice del Roland de Lassus?

 

La Cœurdevey dichiara nell’introduzione i propri obiettivi principali: «apporter du désordre et de la déviance dans une appréciation trop molle de la réalité musicale de l’époque» e «réunir sur l’homme Lassus une masse d’informations dispersées, dont certaines relativement récentes et difficilement accessibles en dehors des grandes bibliothèques» (p. 10). E già da qui si può intuire che il suo pubblico di riferimento è tendenzialmente ‘ampio’: cosa di per sé, apprezzabile eppure non sempre questa prospettiva ecumenica produce risultati felici, come vedremo in seguito.

L’organizzazione complessiva del volume è semplice: una parte di taglio storico («Un homme, une oeuvre»), di quasi 400 pagine, una parte analitica («Le langage musicale»), di circa 120, gli apparati finali. Ovvero, classicamente: 1) vita, e opere in senso storico-documentario; 2) opere in senso analitico-sistematico. Il forte scompenso quantitativo tra le due sezioni è determinato anche dalla scelta dell’autrice di dar conto nella prima parte in modo assai minuzioso della cronologia compositiva e delle vicende editoriali: seguirla mentre districa in un’avanzata inesorabile questo groviglio di attestazioni, edizioni, ristampe, riedizioni, privilegi, parodie, rielaborazioni di ogni sorta risulta a dir poco faticoso per il lettore. Ma naturalmente, piaccia o no, è importantissimo, sia per capire le specifiche vicende del corpus lassiano, sia per immergersi una volta di più nella storia materiale dei testi e nella storia dell’editoria musicale del Rinascimento, che tanto hanno ancora da svelare. Il pubblico ‘ampio’, che non gode, insomma, di sconti da questo punto di vista, beneficia però nella prima parte di un uso sempre vivido delle fonti storiche. La Cœurdevey si destreggia molto abilmente[1] con una messe di documenti che per l’epoca è davvero eccezionale – si pensi, ad esempio, alla notizia biografica redatta nel 1565 dal bibliotecario di Alberto V di Baviera, Samuel Quickelberg, sulla base di colloqui con lo stesso Lasso, da cui riceviamo tra l’altro un’inusuale abbondanza di dettagli sull’infanzia e la giovinezza del compositore. Da Quickelberg, dunque, ai resoconti delle feste monacensi di Massimo Troiano, dagli excerpta di dedicatorie, diplomi e contratti all’impressionante epistolario, il montaggio della musicologa francese diletta, nutre e convince. Le si potrebbe tutt’al più rimproverare – ma è un altro dei problemi spinosissimi – qualche eccesso di zelo nella caratterizzazione del contesto storico: difficile, pur in un discorso che ‘tiene’ ed è condotto con intelligenza, resistere alla tentazione di troppe pennellate d’ambiente, della ricerca ansiosa del nome ad effetto, del collegamento ‘illuminante’ – un po’ sfocati, exempli gratia, i richiami teologico-spirituali a san Filippo Neri o a Pietro Canisio –, laddove sembrerebbe preferibile evitare continue digressioni, e lasciare alla cultura del lettore il compito di imbastire i nessi tra primo piano e sfondo. Meglio riusciti i paralleli con epoche successive o con l’attualità[2] di alcuni agganci d’epoca non pienamente governati. Del resto, è quando va dritta all’esperienza aurale, all’ascolto e alla sua estetica che la Cœurdevey riesce veramente brillante; ne vengono bellissimi squarci, come l’intuizione (p. 113) circa l’influsso stravinskiano («le Stravinsky de la Messe ou du Canticum sacrum») sulla nostra moderna recezione di un certo scabro sound contrappuntistico.

La seconda parte del volume, quella dedicata al «linguaggio musicale», è organizzata per problemi: «La gestion du matériau polyphonique» (in cui vengono affrontate la scrittura contrappuntistica, l’orchestrazione vocale, la modalità), «La gestion du temps» (dove oltre al rapporto ritmo-metro-tempo viene discussa la forma), «Le rapport au texte». Ci si può chiedere: è un’impostazione conveniente? Nel complesso i temi sembrano ben scelti ed è assai apprezzabile che l’autrice non neghi il giusto spazio ad istanze troppo spesso (e volentieri) trascurate dai rinascimentisti, quali le questioni armoniche e formali. Inevitabilmente, però, emerge qui la grave problematica, cui accennavamo sopra, dell’analisi stilistica a fronte di un’opera immensa e frastagliata come quella di Lasso: per quanto alcuni validi contributi analitici in letteratura offrano preziosi punti d’appoggio (più che per altri autori coevi, fortunatamente ma si tratta pur sempre di isolotti in un mare incognitum), si può sperare di dare un’idea dello stile e dei nodi centrali di una simile personalità artistica in poco più di un quinto dell’intero studio? E non è troppo pesante la rinuncia dell’autrice ad una pur corsiva trattazione per generi?

È soprattutto qui che il libro non risolve in modo soddisfacente il dilemma del pubblico di riferimento: volendo mettere a proprio agio i lettori musicalmente meno acculturati, la Cœurdevey si costringe a continue spiegazioni generali intorno ai grandi problemi analitici della polifonia rinascimentale. Tali delucidazioni introduttive, pur mediamente concepite con abilità e autentico talento didattico, non paiono consentanee all’impianto monografico del volume: giungono, infatti, quasi al punto di ridurre le opere di Lasso a repertorio di esemplificazioni dei procedimenti dell’epoca, e simile atteggiamento manualistico non aiuta il lettore ad ‘afferrare’ le caratteristiche specifiche dello stile e a comprendere il serrato dialogo dell’individualità compositiva con le convenzioni, le tendenze, gli influssi.

 

Che risposta dà, insomma, questa monografia al quesito primario da cui siamo partiti (come si può scrivere oggi un «life & works»)?

L’operazione di allestire – in lingua non tedesca – una nuova biografia di Lasso ampia, documentata e particolareggiata, nonché corredata di opportuni apparati risulta nel complesso convincente. È un lavoro utilissimo, da cui tuttavia proviene una scomoda conferma: finché non si disporrà di più estese, serie e sistematiche indagini analitiche, sarà impresa ardua tracciare in modo davvero innovativo i profili stilistici dei grandi autori rinascimentali, e di conseguenza mettere in discussione le letture-etichettature vulgate. Proprio per questo la sostanziale ‘giustapposizione’ di life e works appare qui, ancor più che altrove, discutibile: la prima sezione, resa ipertrofica dall’abbondanza di fatti persone cose riferimenti, e dall’irresistibile fascino del contesto, finisce per ingenerare aspettative destinate a rimanere inevase nella seconda (ciò è pressoché inevitabile, va ribadito: ben difficilmente il tempo di diligente e coraggioso lavoro in preparazione di una monografia come questa di Annie Cœurdevey può bastare per colmare gigantesche lacune di conoscenza analitico-interpretativa; e d’altronde una monografia ‘di sintesi’ pone già abbastanza problemi per non doversi necessariamente porre al contempo come monografia ‘di ricerca’).

È del resto tutt’altro che facile additare soluzione alternative. Forse però se l’autrice avesse mostrato con più nitidezza come nel caso di Lasso si incrocino in modo singolare alcuni tra i temi nevralgici della recente ricerca musicologica – dalle vicende storicoeditoriali e sociologiche dei privilegi di stampa all’intertestualità, dai contrafacta alla bibliografia testuale, dalla filologia d’autore alla storia della recezione –, avrebbe così trovato una chiave per scardinare con tagli trasversali l’impacciata geometria del dittico life + works. E una riflessione aperta su questa ricchezza di percorsi e intersezioni avrebbe lasciato intuire più chiaramente le direttrici su cui potrà orientarsi lo studio di Lasso nei prossimi anni, o decenni.

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[Bio] Daniele V. Filippi si è dottorato in Filologia musicale presso l'Università di Pavia nel 2004. La sua edizione critica della Selva armonica di G.F. Anerio è in corso di stampa presso A-R Editions.

[1] Pur con diverse lamentevoli cadute nel tradurre il latino e l'italiano: vi si fa ancora caso?

[2] Ma, ci si può chiedere, bisogna per forza rassegnarsi a scomodare sempre Bach, Mozart e Beethoven per essere capiti da tutti? Si tratta di un portato inevitabile della marginalizzazione del sapere, non solo musicologico, su Medioevo e Rinascimento?

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