VINCENZINA C. OTTOMANO, Soggetto biografico e soluzioni estetiche in Orlenskaja Deva di Pëtr Il’ič Čajkovskij :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

 

Contributo di Vincenzina C. Ottomano

.

Soggetto biografico e soluzioni estetiche in Orlenskaja Deva di Pëtr Il’ič Čajkovskij

.

.

Stabilire in che misura il soggetto biografico possa influenzare la genesi e la realizzazione di un’opera è un’impresa piuttosto insidiosa che può far cadere in facili conclusioni o sopravvalutazioni di semplici indizi, sia per il fascino che considerazioni a tal proposito riescono a suscitare, sia per il ‘determinismo’ con cui ogni evento musicale può essere interpretato in relazione all’evento biografico.[1]

L’opera di Pëtr Il’ič Čajkovskij, in questa prospettiva, rappresenta quasi un unicum, dato che ogni considerazione sulla preminenza o meno dell’esperienza biografica è supportata da un’ampia documentazione fornitaci dallo stesso autore. Si tratta della vasta corrispondenza che egli intrattenne con la mecenate Nadežda von Meck ed il fratello Modest, dalla quale emergono con dovizia di particolari tutti i dettagli sulla composizione in progress di ogni singola partitura.[2]

Ed è proprio partendo dall’analisi dell’epistolario čajkovskijano che nascono queste considerazioni su Orlenskaja Deva, considerazioni che cercheranno di stabilire fino a che punto l’opera, dalla scelta del soggetto fino all’orchestrazione, possa essere stata condizionata, in qualche modo, dalla biografia dell’autore. Rispetto alla produzione precedente, La pulzella d’Orléans si pone in netta discontinuità a livello formale – la struttura, infatti, ricalca il modello del grand-opéra francese – ma ancor di più a livello della scelta del soggetto che, fino ad allora, si era orientata verso temi di chiaro ‘spirito nazionale’, come in Opričnik, o soggetti specificamente letterari, come in Evgenij Onegin. La scelta, quindi, di un argomento appartenente del tutto alla tradizione occidentale, la sua intonazione, fatta con stilemi anch’essi prevalentemente occidentali, è spiegabile solo in relazione al fascino che, da subito, esercitò su Čajkovskij il personaggio di Giovanna d’Arco, nonché all’attrazione per una particolare situazione drammatica – il processo con successiva condanna al rogo: motivi dunque che, sommati alle esperienze d’ascolto fatte nei teatri europei in quello stesso periodo (Robert le Diable a Vienna, Polyeucte di Gounod a Parigi), catalizzarono tutta l’attenzione del compositore, modificandone in maniera sostanziale l’atteggiamento.

Non bisogna sottovalutare, infatti, che, proprio per essere stata concepita alla maniera di grand-opéra, Orlenskaja Deva potrebbe essere valutata come un passo indietro rispetto all’estetica drammaturgico-compositiva sviluppata nelle «scene liriche» dell’Onegin, che Čajkovskij aveva terminato pochi mesi prima, e quindi rispetto alla ‘poetica dell’intimo’ che tale opera metteva palesemente in atto quasi alla stregua di manifesto programmatico.

Grande importanza, per la genesi de La pulzella d’Orléans, riveste sicuramente l’eredità meyerbeeriana, non solo per il binomio ormai accreditato che lega come sinonimi il nome di Meyerbeer a quello del genere grand-opéra, ma soprattutto per la peculiare concezione dell’opera storica, esclusiva nel compositore tedesco, che non può trovarsi in altri esponenti del genere.

Dalle lettere del 1878, nelle quali Čajkovskij dimostra una profonda avversione per il magnifico e per le costruzioni monumentali e straordinarie, fino al momento della composizione della Pulzella d’Orléans, il cambiamento appare piuttosto repentino, anzi così radicale, se si pensa proprio a Evgenij Onegin, da sembrare quasi una dissacrazione, un improvviso capovolgimento delle proprie idee estetiche.

In effetti la prospettiva muta completamente nel momento in cui Čajkovskij incomincia a riflettere su Giovanna D’Arco in quanto ‘soggetto storico’: non si trattava più di mettere in musica argomenti di genere più o meno fantastico o appartenenti alla tradizione popolare né soggetti ricavati da romanzi ma di una vera e propria ‘cronaca’ di un evento imprescindibile della storia francese.

Lo spessore del tutto nuovo del tema trattato scatenò in Čajkovskij una ricerca febbrile delle fonti storiche e dei resoconti d’epoca, così come di altre musiche sulla stessa materia – il compositore mise insieme una piccola biblioteca su Giovanna D’Arco – e indusse alla scelta di un genere d’opera del tutto nuovo per lui. La drammaturgia del grand-opéra, dunque, si dimostrava l’unico mezzo espressivo capace di cogliere appieno le potenzialità del soggetto storico di Giovanna D’Arco, l’unico mezzo in grado di dipingere la verità effettiva dell’evento narrato e quella psicologica dei personaggi sulla scena.

Se per larghi tratti Orlenskaja Deva può essere definita un grand-opéra piuttosto anomalo, come è stato affermato dalla maggior parte degli studiosi, è pur vero che l’opera utilizza numerosi stilemi riconducibili a tal genere – tableaux, timbro in funzione coloristica, tecnica motivica – nel tentativo di perseguire una precisa idea di continuità drammaturgica.

In primo luogo l’impianto strutturale dell’opera, che tende ad organizzare il materiale musicale in ‘numeri chiusi’, molto spesso crea delle sezioni assai più sviluppate, come accade nei numeri 7 e 8 o ancora nei numeri 14, 15 e 16, al fine di preservare sia l’intensità del momento drammatico sia l’effetto di ‘choc’ nella ricezione dello spettatore.[3] Così il principio formale del tableau, che dilata il tempo dell’azione all’interno dei singoli momenti scenici, viene utilizzato da Čajkovskij come catalizzatore dei processi drammaturgici fondamentali. È questo il caso dell’aria di Giovanna seguita dal finale dell’atto primo, dove l’entrata in scena per la prima volta dell’elemento sovrannaturale (coro di angeli) disegna i contorni estatici del personaggio della pulzella («Attraverso le tenebre scende su Giovanna un raggio luminoso. Sulle prime note del coro che segue, Giovanna cade in ginocchio e ascolta, abbassando la testa», I.5) e allo stesso tempo, dà una giustificazione drammaturgica a quanto accaduto nelle scene precedenti (rifiuto del matrimonio e incitamento alla battaglia del popolo di Domremy). L’atto successivo, invece, è totalmente organizzato come una grande scena-quadro: l’intervento del coro fuori scena che annuncia l’entrata della pulzella funge da liaison tra il duetto d’amore del re e di Agnès, appartenente alla situazione drammatica precedente, e la sortita dello stuolo di personaggi dello stesso coro che determina un vero e proprio rivolgimento drammatico (la vittoria nella battaglia e quindi l’accendersi della speranza).

Anche in questo caso l’uso formale del quadro scenico risponde all’esigenza di concentrare tutta la tensione drammatica attorno ad un evento cruciale, l’epifania di Giovanna davanti alla corte di Carlo VII, delineando allo stesso tempo i contorni della collettività (corte reale più drappello di soldati e popolo) che in seguito avrà un ruolo di primo piano nello svolgimento dell’azione, dapprima acclamando la pulzella come ‘vergine salvatrice’ e poi condannandola come blasfema.

A partire dall’atto terzo, invece, la scansione temporale degli eventi che si sviluppano con un passaggio repentino da una situazione all’altra, anche a livello di collocazione geografica, viene organizzata, già nelle indicazioni del libretto, in «Quadri», che palesano la chiara volontà dell’autore di creare una suggestione coloristica ben precisa all’interno del dramma. In particolare il quadro secondo dell’atto terzo rispetta la forma più tipica del tableau drammatico-musicale: la scena si apre nella piazza antistante la cattedrale di Reims con una processione per l’incoronazione di Carlo VII. Il corteo è composto da musici, ragazzi con corone di fiori, funzionari in abiti da cerimonia. I personaggi sono tutti sul palcoscenico, come vuole la tradizione delle grandi scene di massa, il re viene incoronato e acclamato dai sudditi. Poi la peripezia: Giovanna è accusata dal padre di satanismo, anche la voce del cielo sembra esserle contro (si odono in successione tre violenti tuoni), tutto il coro adesso la riconosce come un emissario delle forze infernali costringendola alla fuga.

Non può sfuggire, se si guarda alla sapiente concatenazione degli eventi e all’architettura musicale, l’affinità con Le Prophète di Meyerbeer, in particolare, la scena dell’incoronazione di Münster, impregnata dall’inquietante clima di fanatismo religioso che tiene soggiogato il protagonista Jean al pari della pulzella čajkovskijana.[4] Inoltre, l’eco del Profeta, ritornerà nel finale, con la scena-quadro del rogo di Giovanna nella piazza di Rouen, sotto gli occhi del popolo impassibile, assimilabile all’incendio del palazzo di Münster che questa volta, però, investe tutti i personaggi del dramma. Così, la dinamica colpa-espiazione, che era stata concepita da Meyerbeer come condizione universale, in Orlenskaja Deva riguarda la sola coscienza del singolo, data l’intenzione dell’autore di creare una vera e propria ‘tragedia della solitudine’ dove ogni personaggio fosse vittima ‘esclusiva’ del proprio destino.

Non solo la costruzione delle scene ma anche il timbro assume nell’intera opera un ruolo determinante per la definizione degli eventi drammatici. Il colore orchestrale non si limita ad una semplice descrizione ambientale delle scene, nel rispetto dell’estetica della couleur locale ma si spinge oltre, fino ad interpretare le tensioni più profonde del dramma.

Anche in Orlenskaja Deva come, ad esempio, nel Robert le Diable l’elemento sovrannaturale, rappresentato dal coro degli angeli e dalle voci evocate da Giovanna, mantiene nel corso di tutta l’opera uno specifico ‘timbro conduttore’ (flauti, oboi e corno inglese, arpa e campana) anche quando non partecipa attivamente all’azione, come nel caso della quinta scena dell’atto primo, ma serve, piuttosto, ad evocare una sorta di aura mistica intorno alla figura della protagonista, oppure a richiamare l’incombente ammonimento che la ossessiona.

Lo stesso vale per l’introduzione all’opera, vero ritratto in musica della pulzella, nella quale la lunga cadenza finale del flauto solo, pur interpretando la purezza ultraterrena della fanciulla, allo stesso tempo è macchiata dalle insistenti terzine di flauti e archi, che man mano si estendono a tutta la famiglia dei legni, le quali sembrano gettare un’ombra oscura sul futuro candore della giovane. In questo modo la natura così controversa della protagonista, sempre in bilico fra la scelta della vocazione divina e la realizzazione del suo stesso essere, sembra condizionare Čajkovskij non solo a livello della struttura delle scene ma, inevitabilmente, nella definizione del timbro orchestrale. Infatti, la purezza virginale sottolineata dalla cadenza dell’Introduzione che accosta Giovanna al registro del mondo sovrannaturale scompare completamente a partire dal preludio dell’atto terzo, quando il personaggio assume tratti appartenenti a tutt’altro universo. Come Giovanna sembra accostarsi sempre più ai contorni della sfera umana ritratta nel più profondo delle sue pulsioni, così sembra mutare radicalmente il colore orchestrale: lo spirito della battaglia, di timpani, ottoni e ottavini, che interpretano musicalmente l’impeto della missione del ‘guerriero celeste’, cede il passo, nell’introduzione all’atto quarto, alla morbidezza del sentimento della passione che si dispiega nelle fluenti melodie di archi e legni.

Così come il timbro assolve ad una precisa funzione drammaturgica, anche la tecnica motivica influisce non poco sull’assetto globale dell’opera di Čajkovskij. Anche in questo caso le affinità con il processo compositivo di Meyerbeer sono innumerevoli. Basti pensare ai ‘motivi di reminiscenza’ che investono la fitta trama del tessuto musicale di Orlenskaja Deva.

Confrontando, infatti, i principali motivi dell’opera, si può notare che non solo essi ricorrono prevalentemente nella tonalità di Mi bemolle maggiore ma sono riconducibili ad un’unica cellula melodica che appare per la prima volta nell’Introduzione:

Esempio 1

Inoltre, come nel Robert (nel quale i motivi delle forze infernali ricorrono nei momenti chiave dell’azione), anche nel dramma di Čajkovskij è l’elemento sovrannaturale a dominare. La reiterazione del ‘tema degli angeli’ nei punti cardine dell’opera, come nell’apparizione del coro nell’atto quarto, allorché Giovanna cede al prorompente sentimento amoroso, non è altro che un espediente drammaturgico per mantenere sempre vivo il ricordo del ‘voto di castità’ della fanciulla, caricando tutta l’idea drammatica della dimensione della colpa e del dubbio fatale dell’immoralità.

Infine, l’associazione dei motivi di reminiscenza alle diverse famiglie strumentali, definendo la netta separazione fra il mondo terreno e quello sovrannaturale, eleva il timbro orchestrale a simbolo sonoro capace di evocare in ogni istante del dramma il conflitto esistente fra la natura delle passioni e la volontà ultraterrena che trascende ogni logica umana.

Se la scelta di un soggetto storico rappresentato tramite la grandiosità di grandi quadri scenico-musicali così come il timbro e la tecnica motivica promuovono a pieno Orlenskaja Deva al rango di grand-opéra, è pur vero che all’interno della struttura morfologica dell’opera mancano alcuni tratti salienti riscontrabili in numerose opere appartenenti a quel genere. Nonostante l’importanza attribuita alla autenticità storica, infatti, dimostrata nella fase precedente della composizione, manca del tutto il richiamo all’ambientazione francese del dramma (ad eccezione delle didascalie sceniche che collocano la marcia del corteo nella piazza di Reims ed il rogo di Giovanna a Rouen), né possiamo riscontrare un ruolo veramente ‘attivo’ del coro che, specialmente nelle opere meyerbeeriane, viene elevato a vero e proprio personaggio agente nonché unico motore dell’azione. Il motivo di tali soluzioni drammaturgiche, che sostanzialmente si allontanano dalle convenzioni del genere grand-opéra, non è da attribuirsi ad uno scarso interesse per il contesto storico, inteso come conflitto politico tra Francia e Inghilterra o conflitto religioso fra Chiesa e singolo credente (abbiamo già accennato alla smaniosa ricerca di documentazione operata da Čajkovskij), ma piuttosto è da ascriversi ad una visione più angolata dell’evento storico, tale da determinare una logica compositiva del tutto singolare.

In effetti, l’accento posto sul dissidio interiore di Giovanna, acclamata e condannata, nonché il clima di superstizione e fanatismo religioso della comunità di Domremy non solo riflette l’atmosfera di profondo smarrimento instauratosi nella Francia del 1429, spaccata in due a causa di un re inetto e di poco polso quale fu Carlo VII, ma diviene il punto di partenza per un’indagine introspettiva che investe direttamente l’autore. La ricerca di un soggetto come La pulzella d’Orléans non significava per Čajkovskij solo un rinnovamento del proprio repertorio, ma un’indagine accurata dei meccanismi interni alla coscienza umana, soprattutto se si trattava, come nel caso di Giovanna d’Arco, di una coscienza spaccata, dilaniata dal tormento del ‘dover essere’ imposto dall’imperativo categorico di una forza superiore.

Per questo motivo, l’interesse per la parabola intima del personaggio, manifestato fin dai primi approcci al soggetto di Orlenskaja Deva, venne scatenato dalla lettura della traduzione russa della pièce omonima di Schiller Die Jungfrau von Orleans, la quale, inoltre, rappresenterà la fonte principale di Čajkovskij per la stesura del libretto:[5]

Alla fine sono giunto alla conclusione che la tragedia di Schiller, sebbene non rispetti il vero storico, sia migliore di tutti gli altri ritratti artistici di Giovanna per quanto riguarda la profonda verità psicologica.[6]

Ciò che colpisce Čajkovskij dell’organizzazione drammaturgica di Schiller, dunque, è la caratterizzazione del personaggio della Jungfrau, ossia, come esso venga messo a fuoco e scandagliato più per le sue evidenti dicotomie interiori che per le gesta eroiche che le valsero la santità. In effetti, l’aspetto dominante del dramma risulta essere la visione della protagonista come personaggio ‘androgino’, tanto nel suo aspetto puramente fisico, tanto nel suo relazionarsi agli eventi.

Già un resoconto del 1429 descriveva la storica Giovanna come

di costituzione robusta, con la pelle piuttosto scura, sembrava di un’insolita forza, ma modesta, con una voce assolutamente femminile.[7]

Anche le fonti d’epoca, quindi, sottolineavano una sorta di ambivalenza fisica della fanciulla che, sommata all’amaro destino di operare come donna gesta belliche da virile guerriero, dà vita ad una completa commistione di maschile e femminile, al rovesciamento del ruolo sociale di una fanciulla del tempo, ad un’inquietante entità senza un preciso genere.

Ma tanto la tragedia schilleriana quanto l’opera di Čajkovskij non si limitano a mettere in scena le ambivalenze immediatamente percepibili del personaggio di Giovanna; piuttosto si spingono oltre, fino a toccare l’essenza stessa della sua interiorità: non solo dualismo fisico, quindi, ma ambiguità a livello della funzione sociale, che si esplica nel capovolgimento dei sinonimi donna-sposa, e, soprattutto, nel ‘conflitto di personalità’ dato dalla coincidenza degli opposti uomo-donna e umano-soprannaturale.

In effetti, la personalità conflittuale di Giovanna emerge fin dal prologo della Jungfrau von Orleans così come nell’atto primo di Orlenskaja Deva dove, pur apparendo tra le dramatis personæ,la protagonista non proferisce parola fino alla scena terza, e si produce la sensazione di trovarsi di fronte ad un personaggio ‘assente’. Schiller redige didascalie eloquenti: «Giovanna che nelle due scene precedenti è rimasta da un lato muta e indifferente, si fa attenta e si avvicina», e più avanti, quando si appresta a parlare: «Giovanna (ispirata)».In effetti, è solo attraverso le parole del padre Thibaut e del pretendente Raimond che si delinea la sua figura, in una serie di contraddittorie associazioni con le forze della natura; Giovanna sarebbe un «fiore» per il genitore, un «frutto celeste» e al tempo stesso una «aberrazione della natura» (JO, P.2, p. 7)[8] mentre per il giovane sarebbe «tenera e delicata», ma anche «La fanciulla dal cuor di leone che lottò contro il lupo e gli strappò via l’agnello» (JO, P.3, p. 10). La descrizione della protagonista attraverso una sorta di opposizione dialettica non si esaurisce all’interno del prologo, ma continua ad essere un filo conduttore per tutto il dramma. Nell’atto primo si legge di lei come di una fanciulla «bella e ad un tempo terribile a vedersi» (JO, I.9, p. 32), nel successivo è una fanciulla la cui parola è «terribile», ma il cui sguardo risulta «mite» e non incute spavento (JO, II.7, p. 51).

In alcune parti della pièce di Schiller, inoltre, è la stessa pulzella a creare un parallelismo tra il proprio essere e le forze naturali-soprannaturali. Nella scena quarta del prologo, essa rivela una profonda simbiosi con il paesaggio che la circonda, tanto che non rivolge affatto il suo «Addio» alle persone amate, bensì ai luoghi delle sue «tacite gioie»: le montagne, le care praterie, le fide e tranquille valli, che incarnano ciò che ha di più caro, le sole entità naturali alle quali può rivolgersi per ottenere sicuro assenso. Ma dalla natura ‘benigna’ del prologo, dove domina la perfetta armonia con l’essere umano, nell’atto secondo si passa, sempre attraverso le parole di Giovanna, all’immagine tetra di una fanciulla terribile, dalla quale invano si spera liberazione e salvezza:

Se la ventura ti avesse gettato nelle fauci del coccodrillo o tra le branche della tigre pezzata, se tu avessi rubato la giovine prole alla leonessa, potresti trovare misericordia; ma imbattersi nella Fanciulla è fatale, poiché al regno degli spiriti, severo e inesorabile mi lega un patto (JO, II.7, p. 51).

Un altro rilevante aspetto di opposizione risalta nel contraddittorio rapporto di Giovanna col padre. È interessante notare che, anche quando si trovano contemporaneamente in scena, i due non parlano mai direttamente tra loro. L’incomunicabilità tra padre e figlia è ancora più accentuata nelle modifiche che Čajkovskij apporta nel libretto di Orlenskaja Deva rispetto al dramma schilleriano; alla serie di domande incalzanti di Thibaut: «Perché taci! Perché distogli lo sguardo?», e poi: «Non hai dunque compassione? Perché mi dai solo dolori e affanni? », la timida risposta di Giovanna sul proprio destino viene immediatamente stroncata da un secco: «Taci, non bestemmiare!» (ODL, I.2, pp. 89-90).

La situazione non cambia neanche nel punto cruciale del dramma, quella sorta di processo sommario scatenato dallo stesso Thibaut ai danni di sua figlia. Nella Jungfrau di Schiller, alle esplicite accuse di patto col maligno, Giovanna «resta immobile» fino a quando sono le forze della natura a rispondere per lei: «Violento colpo di tuono» e più avanti: «Un secondo colpo di tuono più forte» (jo, iv.11, pp. 94-96), sancendo definitivamente lo stretto legame col mondo soprannaturale, che lei stessa affermerà più avanti: «Il cielo parlò; perciò io tacqui». (jo, v.4, p. 100).

Čajkovskij mantiene i medesimi, estenuanti silenzi della pulzella nella scena della condanna, esasperando però la dimensione della colpa, effettivo motore dell’azione in Orlenskaja Deva, allorché è la stessa Giovanna, vinta dal rimorso della passione amorosa, a riconoscersi come vittima della soggezione al maligno e a denunciare il trionfo delle forze infernali (ODL, III.3, p. 107).

Dunque, la causa scatenante della totale ambiguità della giovane donna di fronte a se stessa e di fronte alla comunità risiede in massima parte nel suo relazionarsi con la sfera della sessualità: è chiaro che tanto in Schiller quanto in Čajkovskij l’accento cada prevalentemente sulla condizione essenziale posta a Giovanna durante la visione notturna, che pregiudicherebbe in maniera incontrovertibile l’esito della sua missione: l’abbandono di ogni passione umana, quindi la verginità. Partendo dal presupposto ineluttabile che ella potrà salvare la Francia solo rifuggendo ogni amore terreno, la conseguenza altrettanto inevitabile è che questa volontà si scontri ferocemente con il sensus communis, con le convenzioni della società di Orléans e le aspettative paterne.

In particolare, il tema dell’amore coniugale riveste un ruolo determinante nella costruzione drammatica. A partire dal prologo della pièce, infatti, esso ritorna in ogni punto saliente dello svolgimento dell’azione; il matrimonio è annunciato da Thibaut come il solo rifugio in grado di favorire la sopportazione di ogni peso, il solo capace di assicurare ad una donna l’adeguata protezione, in breve, un vero e proprio dovere imprescindibile: «la donna è nata per diventare l’amorosa compagna dell’uomo» (JO, III.4, p. 68). La dimensione della ‘necessità matrimoniale’ grava in maniera così forte sul dramma che, generando un aperto contrasto con il destino al quale è votata Giovanna, finisce per essere risolutiva nell’epilogo della tragedia: il padre evoca legami demoniaci perché in lei non sboccia il fiore di un tenero amore; il re, la sua compagna Agnès e persino il vescovo non riconoscono in lei la santità della purezza, ma «la disobbedienza alle leggi della natura» (JO, III.4, p. 68). Giovanna, insomma, nonostante i prodigi operati in battaglia, nonostante i segni di un’evidente santità, non può essere considerata ‘messaggero di Dio’ in quanto non adempie i doveri di donna, stabiliti dalle convenzioni sociali.

Su questa scia anche la scoperta dell’amore si tinge di colori contrastanti: come Tancredi e Clorinda nell’episodio del canto XII della Gerusalemme Liberata del Tasso (vv. 505-44), Giovanna incontra Lionel; si trovano l’uno contro l’altro, nemici, pronti ad uccidersi. Ma nell’opera di Čajkovskij è la giovane donna-guerriero ad avere la meglio e allo stesso tempo a non essere in grado di uccidere, colpita improvvisamente dallo strale di Amore. Nella prima parte del duetto, n. 17 dell’atto terzo, i due dividono uguali stilemi e sono considerati come guerrieri ‘alla pari’ (in sostanza, come due uomini). Essi cantano la variazione di un medesimo profilo melodico (odp, vol. II, pp. 21-25, n. 17, bb. 78-92), come accade anche al sopraggiungere del sentimento d’amore quando la melodia affidata a Giovanna, attraverso impercettibili trasformazioni intervallari finisce per ricalcare quella di Lionel. L’analogia melodica cresce in maniera proporzionale al turbamento amoroso, e se nelle parole la pulzella sembra ancora rinnegare Lionel («Vattene! Allontanati!»), è la musica a parlare per lei: l’affinità melodica implica un comune sentire, è congiungimento con l’amato (si confrontino in odp, vol. II, pp. 33-41, n. 17, le bb. 134-35 con bb. 140-41, 152-53 con 157-58, nonché 181-83 con 212-14,). Ma è proprio nello svolgersi di questo improvviso quanto atteso incontro che si fa strada un’altra, profonda, dicotomia: la vergine d’Orléans, prescelta della Vergine Maria, cede alla passione umana; pur lacerata dall’incombente dimensione della colpa, non può sottrarsi: la vincitrice è battuta a sua volta da Amore. Certo, già nelle parole del duetto è chiaro che attraverso l’innamoramento il ‘patto celeste’ viene infranto, ma un’ellissi drammaturgica riesce a simbolizzare con maggiore pregnanza l’evento cruciale dell’opera. Nella didascalia posta alla fine del quadro primo dell’atto terzo si legge: «Giovanna sfinita cade tra le braccia di Dunois»: non è grave, constata l’interlocutore – «Ma esce molto sangue…» seguita Lionel. Di fatto nell’episodio del combattimento non si fa nessun accenno al ferimento di Giovanna, anzi è proprio lei che avrebbe potuto colpire ma non lo ha fatto. Si può cogliere in questo scambio un rimando ad una metaforica perdita della verginità che allude all’innamoramento e di riflesso alle sue conseguenze, cioè la rottura del patto. Anche in questo caso, là dove le parole ancora non possono esprimere realmente ciò che deve rimanere implicito, è la musica a condizionare la ricezione: nel successivo duetto n. 22, che è un’aperta dichiarazione d’amore di Giovanna liberata dalla cogente verginità, mentre tenore e soprano cantano la loro passione all’unisono, l’orchestra intona una chiara citazione del preludio del Tristan und Isolde,soffiando sui personaggi l’aura della fine tragica di cui saranno vittime:

Esempio 2 Tristan und Isolde, Vorspiel e Orlenskaja Deva, n. 22, bb. 390 e seg.

Inoltre il binomio eros-thanatos, sul piano tonale, sembra tradursi nella contrapposizione tra le tonalità coi diesis, associate alla natura ‘spirituale’ di Giovanna, e quelle coi bemolli legate, al contrario, alla sua fisicità.

Come se non bastasse, a partire dal duetto della ‘battaglia’ in Mi bemolle maggiore e il successivo duetto ‘d’amore’, in La bemolle maggiore, non compariranno più tonalità coi diesis, determinando così, in tale evento, un punto di non ritorno all’interno di tutto il dramma. La peculiare struttura del piano tonale dell’opera assume, quindi, una pregnante valenza semantica che intride l’intero dramma di una sottile rete di rimandi e allusioni.

Dalla densa trama di opposizioni che percorrono l’intera opera come dalla sapiente costruzione dei tempi drammatici, distribuiti secondo il progressivo accendersi del conflitto su due distinti livelli, emerge un altro principio essenziale appartenente al grand-opéra: l’estetica del contrasto. In particolare, a livello della narrazione, da una parte la dimensione della colpa cresce in Giovanna da una situazione iniziale di assoluta aderenza alla vocazione religiosa fino ad annullarsi per l’insorgere della travolgente passione amorosa, dall’altra l’intera comunità, dapprima in perfetta concordia con la pulzella, viene man mano attanagliata dal fanatismo e dalla superstizione religiosa determinando la condanna della protagonista. Ma in Orlenskaja Deva questa peculiare tecnica drammaturgica investe non solo l’organizzazione degli eventi ma caratterizza tutta la parabola dell’azione del personaggio di Giovanna: essa vive l’insanabile contrasto di essere donna e uomo allo stesso tempo, è santa e peccatrice, angelo e creatura infernale, vergine e amante, senza alcuna possibilità di realizzare realmente l’essenza vera del proprio essere.

La pulzella, quindi, sembra riassumere in sé tutte le caratteristiche che Čajkovskij riconobbe già nei soggetti delle opere precedenti, come nell’Onegin di Puškin, e che lo accompagneranno fino alla composizione di Pikovaja Dama – esemplifica, insomma, tutta la tragedia insita nell’impossibilità di realizzare liberamente la propria idea di ‘felicità’ (si pensi alle opposizioni che legano le coppie Onegin/Tat’jana, Olga/Len’skij e Hermann/Liza), così come l’approccio folgorante con il soggetto di Orlenskaja Deva, già determinato dalla «Scena della Lettera» di Tat’jana dell’Onegin, sembra nascondere in realtà la riflessione profonda che Čajkovskij opera sulla propria esistenza.

Il problema ampiamente discusso dell’incidenza dell’omosessualità dell’autore nel processo compositivo, nonostante le forzature, spesso esercitate a danno dell’immagine complessiva, dei così detti gender studies, non può non essere preso in considerazione, in quanto essenziale al fine di comprendere realmente il modus operandi čajkovskijano.

Il soggetto biografico, infatti, in particolare la consapevole omosessualità di Čajkovskij, è fondamentale nella legittimazione dell’estetica del contrasto di Orlenskaja Deva, tanto da orientare l’intera architettura drammatica verso la simbolizzazione della problematicità con la quale il compositore ha vissuto il proprio statuto sessuale.[9]

Ma come può una struttura, nel nostro caso il grand-opéra, influenzare una dinamica di genere? Un esempio lampante ci è dato dalla concezione del finale dell’opera. Ripristinando la verità storica, eclissata dal dramma di Schiller che prevedeva la morte della Jungfrau in battaglia, l’ultimo quadro situa la scena nella piazza di Rouen, già con il rogo di Giovanna sullo sfondo. Non c’è dubbio che la scelta dell’epilogo, con la condanna per eresia, salvaguardi pienamente le premesse estetiche di Čajkovskij di ricerca della verità storica, ma un’analisi più attenta porrà in luce la sostanziale irrilevanza del concetto di ‘verità effettiva’ nell’economia del dramma.

L’atto terzo, composto da due quadri, sembra non seguire nessuna logica drammaturgica; l’ellissi temporale che conclude il quadro primo con la cattura di Giovanna e la morte dell’amante Lionel ed apre il quadro secondo con il rogo già in fiamme, non solo non sembra avere nessuna giustificazione drammatica, ma tanto meno rende giustizia alla verità della storia. La struttura a tableau dell’epilogo, infatti, omettendo completamente ogni riferimento al processo, all’abiura o alla condanna finale emessa dalla Chiesa, e concentrando, invece, tutta la scena sulle fiamme del rogo, paralizza completamente l’azione facendo aumentare in maniera esponenziale la progressiva sensazione di straniamento e l’effetto-choc dell’evento drammatico.

In questo modo Čajkovskij riesce a prendere le distanze tanto dalla storia che dalla pièce di Schiller: in sostanza, la condanna all’espiazione della colpa in Orlenskaja Deva non viene emanata da nessun tribunale ecclesiastico, perché è la stessa pulzella che condanna se stessa con la decisione di non rispondere alle accuse mossele dal padre. La tecnica dei grandi tableaux-vivants, dunque, coadiuvata da tutti gli effetti timbrici, compositivi, architettonici e coloristici che abbiamo precedentemente evidenziato, concorre pienamente alla realizzazione dell’idea drammatica centrale dell’opera, fondata sul sentimento di colpa e autodistruzione, e dimostra, ancora una volta, come la scelta del genere grand-opéra realizzi il senso ultimo dell’estetica compositiva di Orlenskaja Deva.

La corrispondenza messa in luce tra l’androginia di Giovanna e l’omosessualità di Čajkovskij, ossia fra due modelli di relazioni interpersonali problematiche, è da leggersi come un’ulteriore conferma del modus operandi del compositore, che esula dalla condizione particolare del soggetto d’opera trattato (in questo caso l’evento storico) per mettere in atto uno scavo interiore a più ampio spettro, tale da riflettere lo stato emotivo di ognuno dei suoi personaggi, tutti proiettati ineluttabilmente verso un futuro che non desiderano e che cancella ogni possibilità di redenzione.

Il soggetto biografico, quindi, essenziale al genio creativo non solo per l’opera in questione ma per l’intero corpus di Čajkovskij, attraverso un vero e proprio processo di osmosi si unisce in perfetta mimesis con il soggetto artistico, e pregiudica sia la folgorazione iniziale per una particolare scena drammatica, sia la sympateia per il destino di uno specifico personaggio.

L’arte e la vita sembrano addirittura congiungersi, influenzarsi a vicenda, in un meccanismo perverso in cui tutti, personaggi e autore, sono vittime e colpevoli allo stesso tempo, accomunati dal rimorso per peccati involontari, votati inevitabilmente all’infelicità.

Se c’è anche la più piccola possibilità devi cercare di essere normale. È questa la cosa più triste.[10]

 

Bibliografia di riferimento

Fonti

PËTR IL’IČ ČAJKOVSKIJ, Orlenskaia Deva / La pucelle d’Orléans, partitura, 2 voll., s.a. [= ODP], in ID., Opere Complete, Edizioni di Stato sovietiche, Mosca-Leningrado, 1940-1971.

PËTR IL’IČ ČAJKOVSKIJ, Orlenskaja Deva, libretto; trad. it.: La pulzella d’Orléans, a cura di Fausto Malcovati, in Pëtr Il’ič Čajkovskij, «La pulzella d’Orléans», Teatro Regio, Torino, 2002, pp. 85-113 (programma di sala) [=ODL].

FRIEDRICH SCHILLER, Die Jungfrau von Orleans. Eine Romantiscbe Tragödie, J.F. Unger, Berlino, 1802; trad. it. di Barbara Allason, La Pulzella d’Orléans, Einaudi, Torino, 1998 [=JO].


Biografie ed epistolari di Čajkovskij

NINA BERBEROVA, Il Ragazzo di Vetro, trad. it. di Riccardo Mainardi, Guanda, Parma, 1993.

NIKOLAJ DMITRIEVIC KAŠKIN, Vospominanija o P.I. Cajkovskom, nella serie «Musicisti Russi del Passato» a cura di Igor Glebov, Pietrogrado, 1924.

ALEXANDRA ORLOVA, Čaikovskij. Un Autoritratto, EDT, Torino, 1993.

PIOTR ILYICH TCHAIKOVSKY, Letters to his Family, translated by Galina von Meck, Dennis Dobson, London, 1973.


Letteratura su Čajkovskij

LUCINDE BRAUN, Studien zur russischen Oper im späten 19. Jahrhundert, Schott, Mainz, 1999 (Čajkovskij-Studien, 4).

DAVID BROWN, Tchaikovsky: a Biographical and Critical Study, 3 voll., V. Gollancz, London, 1978.

KADJA GRÖNKE, Frauenschicksale in Čajkovkijs Puškin-Opern, Schott, Mainz, 2002 (Čajkovskij-Studien, 5).

The Music of Tchaikovsky, a cura di Gerald Abraham, Kennikat Press, Port Washington, N.Y., 1969.

ALEXANDER POZNANSKIJ, Tchaikovsky: The Quest for the Inner Mann, Schirmer, New York, 1991.

RICHARD TARUSKIN, Defining Russia Musically, Princeton University Press, Princeton, 1997.

Tchaikovsky and His World, a cura di Leslie Kearney, Princeton University Press, Princeton, 1998.


Bibliografia generale

DAVID BROWN – GERALD ABRAHAM – DAVID LLOYD-JONES – EDWARD GARDEN, The New Grove Russian Masters I, W.W. Norton & Co., New York, 1986.

CARL DAHLHAUS, La musica dell’Ottocento, trad. it. di Laura Dallapiccola, La Nuova Italia, Firenze, 1990.

FABRIZIO DELLA SETA, Italia e Francia nell’Ottocento, Torino, EDT, 1993 (Storia della musica a cura della Società Italiana di Musicologia, 9).

RENATO DI BENEDETTO, Romanticismo e scuole nazionali nell’Ottocento, EDT, Torino, 1991 (Storia della musica a cura della Società Italiana di Musicologia, 8).

SIEGHART DÖHRING, Giacomo Meyerbeer: il grand-opéra come dramma di idee, in La drammaturgia musicale, a cura di Lorenzo Bianconi, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 365-81.

ANSELM GERHARD, Die französische «Grand Opéra» in der Forschung seit 1945, «Acta Musicologica», LIX, 1987, pp. 220-70.

ANSELM GERHARD, Die Verstädterung der Oper. Paris und das Musiktheater des 19. Jahrhunderts, Metzler, Stuttgart-Weimar, 1992.

HERVÉ LACOMBE, Les voies de l’opéra français au XIXe siècle, Fayard, [Paris], 1997.

CARLO MARINELLI, L’opera russa, in Storia dell’opera, vol. ii/2, UTET, Torino, 1977, pp. 159-322.

Torna all'inizio della pagina

________________________

[Bio] Vincenzina C. Ottomano è laureanda presso la Facoltà di Musicologia di Cremona sotto la guida di Michele Girardi, con una tesi sulla drammaturgia čajkovskijana.

[1] Si legga in proposito: CARL DAHLHAUS, Soggetto estetico e soggetto biografico, nel suo Beethoven e il suo tempo, edt, Torino, 1990 (ediz. orig.: Beethoven und Seine Zeit, Laaber Verlag, Laaber, 1987), pp. 43-54. Per il dibattito sulle questioni di genere, soprattutto in chiave omosessuale, a partire da WAYNE KOESTENBAUM, The Queen’s Throat: Opera, Homosexuality, and the Mistery of Desire, Poseidon, New York, 1993, rimandiamo alla rassegna-saggio di DAVIDE DAOLMI ed EMANUELE SENICI, «L’omosessualità è un modo di cantare». I contributi ‘queer’ all’indagine sull’opera in musica, «Il Saggiatore musicale» VII/1, 2000, pp. 137-78.

[2] PETR IL’IČ ČAJKOVSKIJ, Dnevniki, Mosca-Pietrogrado, 1923 e Id., Opere Letterarie e Corrispondenza, 1958-1981, parzialmente riportate in Alexandra ORLOVA, Čajkovskij. Un autoritratto, trad. it. a cura di Maria Rosaria Boccuni, EDT, Torino, 1993 (ediz. orig. Tchaikovsky. A self portrait, Oxford University Press, Oxford-New York, 1990). La scelta del libro della Orlova per accedere alla corrispondenza dell’autore è obbligata, data la sua natura di buon sussidio per la consultazione del lettore italiano. Dal punto di vista metodologico il volume risulta poco affidabile: le lettere infatti sono arbitrariamente tagliate e ricucite insieme; per questo, quando possibile, si è fatta una consultazione incrociata con: PIOTR ILYCH TCHAIKOVSKY, Letters to his Family, translated by Galina von Meck, Dennis Dobson, London, 1973.

[3]  Per il concetto di ‘choc’ nel grand-opéra, cfr. CARL DAHLHAUS, La musica dell’Ottocento, trad. it. di Laura Dallapiccola, La Nuova Italia, Firenze, 1990 (ediz. orig. Die Musik des 19. Jahrhunderts, Akademische Verlagsgesellschaft Athenaion, Wiesbaden, 1980), pp. 137-sgg.

[4]  Non è superfluo ricordare che al pari del personaggio di Giovanna D’Arco anche Jean, protagonista del Profeta, è ispirato da una visione notturna a compiere una missione divina (conquistare la città di Münster) ed è allo stesso tempo dilaniato dal dubbio sulla natura veritiera della sua vocazione.

[5]  Si tratta della versione poetica in russo della tragedia schilleriana dovuta a Andreevič Vasilij Žukovkij.

[6]  Lettera a Nadežda von Meck, 1878 in ORLOVA, Čajkovskij, cit., p. 156.

[7]  ANDRÉ MAUROIS, Der Huntertjärige Krieg, cit. in Leslie Kearney, Tchaikovsky Androgine: The Maide of Orleans, in Tchaikovsky and His World, a cura di Leslie Kearney, Princeton University Press, Princeton, 1998, p. 253.

[8]  Per lo scioglimento delle sigle utilizzate di qui in poi, si rimanda alla bibliografia.

[9]  Il periodo della composizione di Orlenskaja Deva coincide con il naufragio del matrimonio appena contratto e con le minacce della novella sposa di rivelare in pubblico quello che definiva il suo ‘vizio’. Cfr. ORLOVA, Čajkovskij, cit., pp. 134-35, 174-75, 302.

[10]  Lettera al fratello Modest, in ALEXANDER POZNASKIJ, Tchaikovsky: The Quest for the Inner Mann, Schirmer, New York, 1991, pp. 76-7.

Torna all'inizio della pagina

Firenze University Press

 Copyright © Università  degli  Studi  di  Pavia
 Dipartimento di Scienze musicologiche e paleografico-filologicheFacoltà di Musicologia


Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale di Pavia n. 552 del 14 luglio 2000 – ISSN elettronico 1826-9001 | Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Musicologia | Pavia University Press

Privacy e cookies