Mario Corti - La musica italiana nel Settecento a San Pietroburgo :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

 

Contributo di Mario Corti

 

La musica italiana nel Settecento a San Pietroburgo

 

 

Quando suonava il violino, Pietro Mira, più noto come Petrillo, faceva tali versacci e piroette, da far sbellicare dalle risate i cortigiani dell’imperatrice. Fu così promosso giullare di corte da Sua Maestà Imperiale Anna Ioannovna. Anna Giovannona, la chiamavano gli italiani, come dimostra la dedica sulla locandina de La gara dell’amore e del zelo, cantata «a due voci e choro», composta in suo onore nel 1736 da Francesco Araja, maestro di cappella di Sua Maestà Imperiale e primo maestro di cappella presso la corte di Russia.[1] Pietro Mira fu tra i primi esponenti di quella numerosa schiera di musicisti e uomini di spettacolo italiani – strumentisti, compositori, vocalisti, librettisti, impresari, ballerini, attori, coreografi, decoratori e macchinisti di scena – che tentarono la sorte in Russia durante tutto il Settecento. Furono centinaia, forse migliaia, e ci vorrebbe ben altro spazio per raccontare le loro vicende.[2]

Petrillo era arrivato in Russia nel 1731, probabilmente al seguito della compagnia di Tommaso Ristori. Ristori era maestro di cappella del principe elettore di Sassonia Federico Augusto I, che, come re di Polonia, portava il nome di Augusto II. Lo accompagnava il figlio Giovanni Alberto, lo stesso che nel 1730 aveva composto ed eseguito a Varsavia una cantata in onore dell’imperatrice russa Anna Ioannovna in occasione della sua incoronazione. Rappresentati alcuni drammi musicali, commedie, intermezzi e travestimenti, la compagnia di Ristori rientrò ben presto a Dresda. Secondo altre versioni, Petrillo invece sarebbe arrivato al seguito di una delle varie compagnie itineranti che ogni tanto facevano capolino in Russia. Comunque sia, rimane accertato da una delibera imperiale del 10 luglio 1732 che Pietro Mira e un tale Jagan Paracizi (Giovanni Paradisi?) si fermarono a Mosca ed entrarono al servizio della corte con regolare salario mensile a partire dal 1° ottobre 1731.

Questo straordinario personaggio, violinista e giullare, cui l’imperatrice, come vedremo, avrebbe affidato incarichi di particolare fiducia, diventerà noto in Russia come Adamka Pedrillo, e il suo ritratto, riprodotto sulle stampe dell’epoca, presterà i lineamenti a Petrucha Farnos, il personaggio della letteratura popolare che si sarebbe poi trasformato in Petruška, la maschera più in voga del teatro russo delle marionette. Le arguzie e i lazzi a lui attribuiti saranno raccolti in un libro dal titolo Gli aneddoti comici, divertenti, arguti ed ingegnosi di Adamka Pedrillo.[3] Una sua partitura originale, intitolata Scherzi e divertimenti per il violino composti dal noto buffone Pedrillo e contenente passaggi di eccezionale virtuosismo, sarebbe stata ritrovata all’inizio del secolo scorso nell’archivio di un certo I.I. Petrov.

Nel 1743 Casanova lo incontrerà al forte di Sant’Andrea, dove Petrillo venne presentato come «celebre favorito della zarina di Russia proveniente da Pietroburgo» e il veneziano, che ne aveva sentito parlare probabilmente da sua madre, ha parole dure nei suoi confronti. «Invece di celebre si sarebbe dovuto chiamarlo infame e invece di favorito si sarebbe dovuto chiamarlo buffone… Disse che era dispiaciuto di non avermi trovato a Venezia, perché avrei potuto accompagnarlo in qualche bordello. “Ci avremmo trovato vostra moglie” rimbeccai io». La moglie di Petrillo era infatti celebre per le sue avventure amorose.[4]

Rientrato definitivamente in Italia con un capitale di 20.000 rubli e istallatosi a Venezia, Petrillo riuscì ad acquistare il vecchio albergo del Leon Bianco sul Canal Grande. I suoi eredi l’avrebbero poi rivenduto a Giuseppe del Niel, colui che nel 1922 aprì il famoso Danieli.

Di passaggio a Brescia nel luglio del 1770, Charles Burney incontra nell’albergo del Gambero il castrato Domenico Luini, detto Bonetto, e così pure Teresa Colonna. «…Tutta una compagnia di cantanti d’opera che sembrava molto allegra; erano appena arrivati dalla Russia dove erano rimasti per quattordici o quindici anni […] il cantante principale era Luini Bonetto, ancora ricchissimo, sebbene in una sola notte avesse perso al gioco diecimila sterline del denaro guadagnato…».[5] Ed ecco spiegato il motivo dell’attrazione irresistibile che la Russia del Settecento esercitava sui musicisti italiani.

Nel 1734 l’imperatrice aveva affidato a Pietro Mira l’incarico di ingaggiare in Italia una compagnia di musicisti e attori. Si trattava di una questione di grande prestigio per la corte di Russia. Perfino il re di Polonia poteva permettersi il lusso di avere una compagnia italiana. E cosa aveva il re di Polonia che non potesse permettersi l’imperatrice di tutte le Russie?

Petrillo tornò dunque a Pietroburgo nel 1735 portando con sé il compositore napoletano Francesco Araja assieme a una nutrita compagnia di cui facevano parte, oltre a cantanti e orchestrali, anche scenografi, ballerini e commedianti. Tra questi c’era Zanetta Farussi, la madre di Casanova, detta la Buranella. Nelle commedie recitava la parte di giovane amorosa e cantava negli intermezzi. Carlo Goldoni ne avrebbe parlato nelle sue memorie come di una brava attrice e, benché non conoscesse una nota di musica, una cantante dall’orecchio delicato e l’esecuzione perfetta.[6] Fu così che iniziarono un’avventura e un capitolo della storia musicale italiana ed europea che sarebbero durati fino allo scadere del secolo.

A parte qualche fugace apparizione di Francesco Araja a Napoli, Roma, Milano e Venezia, sono scarse le notizie riguardanti gli esordi del compositore. Si sa, ad esempio, che nel 1733 a Napoli la sua opera Cleomena aveva avuto una clamorosa accoglienza e che nel 1734 a Milano era stata rappresentata La forza dell’amore e dell’odio, opera questa ripetuta a Pietroburgo in occasione del compleanno dell’imperatrice il 29 gennaio 1736. Ma già nel 1729 era stata messa in scena nella città natale del compositore Lo matremmonejo pe’ vennetta, sua unica opera comica.

In verità Pietro Mira, prima che ad Araja, si era rivolto a Niccolò Porpora, costui però aveva declinato l’offerta. Araja invece acconsentì prontamente e poté fregiarsi del titolo di maestro di cappella di sua maestà l’imperatrice di tutte le Russie già in occasione della rappresentazione del suo Lucio Vero a Venezia, come attestava la copertina del relativo libretto.

Araja soggiornò a lungo in Russia, nel complesso venticinque anni con due brevissimi intervalli in Italia. Si può dire che la sua produttività scandisse con estrema regolarità le diverse ricorrenze di corte, a partire dai compleanni dell’imperatrice. Dopo La forza dell’amore e dell’odio seguirono nel 1737 e nel 1738 rispettivamente Il finto Nino, overo La Semiramide riconosciuta e Artaserse. Le opere scritte per i compleanni venivano a volte ripetute in occasione degli anniversari dell’incoronazione.

Nell’autunno del 1740, alla morte di Anna Ioannovna, Araja rientrò in Italia con l’incarico di ingaggiare nuovi elementi, ma nel 1742 già dirigeva a Mosca La clemenza di Tito di Johann Adolf Hasse in occasione dell’incoronazione della nuova zarina Elizaveta Petrovna (le incoronazioni avvenivano comunque nella vecchia capitale anche dopo il trasferimento definitivo della corte a Pietroburgo). In quello stesso anno Araja fu raggiunto da Giuseppe Bonecchi, che si trovava in Polonia, e che divenne il primo poeta di corte italiano in Russia. Dalla collaborazione con Bonecchi nacquero Seleuco (1744), Scipione (1745), Mitridate (1747), Bellerofonte (1750), e l’Eudossa incoronata, osia Teodosio II (1751).

L’opera Alessandro nell’Indie fu messa in scena nel dicembre 1755, e la ricordiamo qui perché le parti vocali furono eseguite tutte da giovani vocalisti russi tra cui Maksim Berezovskij, che interpretò la parte di Poro. Egli proveniva da quello straordinario serbatoio di voci che fu la città di Gluchov in Ucraina. Qualche anno più tardi Berezovskij sarebbe stato inviato a studiare da Padre Martini, e a Bologna avrebbe superato, un anno prima di Mozart, l’esame di ammissione all’Accademia dei Filarmonici assieme al ceco Josef Mysliveček, detto in Italia «il Cacciatorino». A Livorno, nel teatro di San Sebastiano e col patrocinio del conte Aleksej Orlov, comandante della squadriglia navale russa nel Mediterraneo alla fonda nel porto toscano, Berezovskij avrebbe presentato nel 1773 la sua prima opera italiana, il Demofoonte, su testo di Metastasio, di cui si conservano purtroppo appena quattro numeri presso la biblioteca del Conservatorio di Firenze.[7]

Ciò che rende Araja particolarmente degno di menzione fu la stesura di Cefal i Prokris (Cefalo e Procride), la prima vera opera russa, su libretto di Aleksandr Sumarokov. Cefal i Prokris divenne la capostipite di una tradizione operistica, cosiddetta «oratoriale», le cui tracce, secondo alcuni storici della musica russi, si ritroveranno fin nelle opere. Žizn’ za carja (Una vita per lo zar) di Michail Glinka e Pskovitjanka (La fanciulla di Pskov) di Rimskij-Korsakov. Va detto che il coro impiegato nelle opere serie era lo stesso che aveva il compito di cantare alle funzioni religiose che si svolgevano a corte. Era composto da oltre cinquanta elementi, assai più numeroso di quello impiegato nelle esecuzioni dell’opera francese. A questa passione dei russi per i cori si dovettero adeguare tutti i compositori di corte italiani, da Traetta a Galuppi a Giuseppe Sarti.

L’arrivo della compagnia di Giovanni Battista Locatelli alla fine del 1757 fece spostare il pendolo a favore dell’opera comica, mentre nel campo dell’opera seria Araja trovò un agguerrito concorrente nel compositore tedesco Hermann Friedrich Raupach, che nel 1758 si fece notare con la sua Alceste, anch’essa tratta da un libretto di Sumarokov. Sta di fatto che Araja nel luglio del 1759 chiese di essere esonerato dal servizio e rientrò in Italia. Lo richiamò tre anni più tardi l’imperatore Pietro III subito dopo la propria ascesa al trono. Benché nel frattempo il posto di maestro di cappella fosse stato affidato ad altri, ad Araja furono comunque offerti ben 3000 rubli l’anno come compositore di corte, una somma enorme per quei tempi. L’imperatore era un buon violinista e amava suonare assieme ai musicisti italiani, in particolare con il compositore napoletano. Dopo l’assassinio di Pietro nel luglio dello stesso anno, il 1762, gli succedette la vedova, essa stessa probabile istigatrice del delitto. E Caterina la Grande rimandò definitivamente in Italia il primo maestro di cappella della storia russa.

È ancora Giacomo Casanova a raccontare nelle sue memorie che un giorno, uscendo dal teatro di corte dove era stata eseguita «l’Olimpiade di Metastasio», sentì l’imperatrice pronunciare le seguenti parole: «La musica di quest’opera ha fatto a tutti un grande piacere, e di conseguenza ne sono felicissima, ma io mi sono annoiata. La musica è una bella cosa, ma non capisco come la si possa amare appassionatamente, a meno che non si abbia in mente nulla di importante da fare e da pensare. Ora faccio venire Buranello: sono curiosa di vedere se saprà farmi apparire la musica qualche cosa di interessante».

Casanova non fa il nome del compositore, ma è certo che si trattasse dell’Olimpiade di Vincenzo Manfredini. Infatti, scritta e rappresentata per la prima volta nel 1762, l’opera fu ripetuta nel febbraio del 1765. Figlio del più noto Francesco Manfredini, il giovane Vincenzo era giunto a Pietroburgo al seguito della compagnia di Locatelli. Passato al servizio dell’erede al trono, subito dopo la morte dell’imperatrice Elizaveta Petrovna, avvenuta nel dicembre del 1761, subentrò al tedesco Raupach, succeduto ad Araja come maestro di cappella dopo la partenza di quest’ultimo nel 1759. Per il granduca Pietro il pistoiese aveva composto e rappresentato nel 1760, nella residenza estiva di Oranienbaum, La Semiramide riconosciuta. Ancora fresco di nomina, dovette comporre un Requiem per l’imperatrice defunta. Scaduto l’incarico, Manfredini si dedicò all’insegnamento ed ebbe tra i suoi allievi il fiore della nobiltà russa tra cui l’erede al trono, il granduca Pavel Petrovič, figlio di Pietro III e di Caterina. Rimase in Russia ancora a lungo ed è interessante notare che, almeno per un certo periodo, alloggiò nella casa del banchiere Papanelopulo in via Millionnaja, dove si era fermato anche Giacomo Casanova durante il suo soggiorno pietroburghese.

Seguiamo sempre il racconto di Casanova fino alla sua partenza dalla Russia.

Putini abitava… in casa del conte Sivers e, tra l’altro, fu proprio quel Putini che fece andare a Pietroburgo il maestro di cappella veneziano Galuppi, detto il Buranello. Che giunse in Russia l’anno successivo, quando io stavo partendo».

Non fu certo il castrato Bartolomeo Puttini a suggerire il nome del Buranello a Caterina. Galuppi era famosissimo in tutta Europa e Caterina, che voleva il meglio per sé e la sua corte, ne aveva certamente sentito parlare da ben altre fonti. Tanto più che la compagnia di Locatelli aveva già rappresentato con successo Il mondo della luna, Il filosofo di campagna, I bagni d’Abano, Il mondo alla roversa e altre opere buffe del compositore veneziano. Nell’affidare l’incarico a Galuppi, maestro di «vaghezza, chiarezza e buona modulatione»,[8] Caterina si prefiggeva tra l’altro uno scopo ben preciso: rimettere in sesto l’orchestra di corte che, a parere dei contemporanei, era stata alquanto trascurata da Manfredini.

Casanova incontrerà Galuppi a Kopor’e, alla stazione di posta di frontiera, durante il suo viaggio di ritorno.

… facemmo tappa a Coporio per pranzare, poiché avevo nella carrozza un’ampia provvista di cibo e di buoni vini. Due giorni dopo, invece, incontrammo il famoso maestro di cappella Galuppi, detto il Buranello, che andava a Pietroburgo con due amici e una virtuosa. Galuppi non mi conosceva e rimase sorpreso nel trovare all’albergo in cui si era fermato un buon pranzo alla veneziana e un uomo come me che lo riceveva rivolgendogli i convenevoli d’uso nella nostra lingua materna. Quando poi gli dissi il mio nome, mi abbracciò più volte.

Si era nel settembre del 1763.

Dopo la prima della Didone abbandonata Galuppi ricevette in regalo dall’imperatrice un caffettano di velluto ricamato in oro, un copricapo e un manicotto di ermellino. A seguito della seconda rappresentazione ebbe in dono una tabacchiera d’oro incastonata di brillanti contenente mille rubli. E il veneziano guadagnava per contratto tremila rubli l’anno, più mille per il mantenimento dell’abitazione e della carrozza. Non meno successo ebbero Il re pastore e Ifigenia in Tauride, l’unica opera nuova che Galuppi compose in Russia su libretto di Marco Coltellini.

Il veneziano fu incuriosito dalla musica popolare russa e in particolare da quella ucraina che i fratelli Aleksej e Kirill Razumovskij, assai influenti a corte (il primo aveva sposato morganaticamente la zarina Elizaveta Petrovna) non mancarono di fargli conoscere. Galuppi operò altresì nell’ambito della musica sacra giungendo a influenzarla sensibilmente attraverso i cosiddetti concerti spirituali che egli faceva eseguire al coro di corte: «Un sì magnifico coro mai non ho sentito in Italia»[9] amava ripetere. E nell’introdurre nella musica sacra ortodossa la forma di mottetto a quattro voci con l’immancabile fuga finale, egli cedette a sua volta all’influenza del linguaggio musicale russo.

Per inciso, dalla musica russa si lasciarono influenzare due compositori meno noti, Domenico Dall’Oglio e Luigi Madonis. Entrambi vivevano in Russia quali violinisti di corte fin dai tempi dell’imperatrice Anna Ioannovna e ci rimasero fino alla morte, avvenuta rispettivamente nel 1764 e nel 1777. Secondo Jakob Štelin, musicista dilettante e primo cronista degli avvenimenti musicali nella Russia del Settecento, a Dall’Oglio «venne in mente di scrivere due sinfonie alla russa [in italiano nel testo], le quali ebbero un tale successo, che spesso venivano eseguite a corte durante i concerti. [I temi delle sinfonie erano presi] da alcune melodie popolari o canzoni contadine […] In seguito Madonis compose due sonate basate su melodie ucraine».[10]

Ritornando a Galuppi, tra i suoi allievi il più famoso fu Michail Stepanovič Bortnjanskij, che lo seguì in Italia e che in Russia avrebbe continuato la tradizione dei concerti spirituali. Questo nuovo stile non piacerà a qualche musicista russo dell’Ottocento, in quanto segna un profondo distacco dalla tradizione tipicamente russa, e verrà definito sprezzantemente «ital’janščina».

Galuppi avrebbe avuto rapporti difficili con i membri dell’orchestra di corte: «durante le prime prove l’orchestra non lo soddisfaceva, e perciò egli organizzò prove più frequenti e ad ogni errore insignificante nell’esecuzione urlava e imprecava in dialetto veneziano».[11] Dopo appena tre anni di attività, per il carattere burbero e poco incline ai compromessi, Galuppi fu costretto a dare le dimissioni.

Tommaso Michele Francesco Saverio Traetta, a parte le sue composizioni, ha lasciato scarsissime tracce di sé in Russia. Non si conoscono aneddoti o altri particolari della sua vita nei tre anni che trascorse a Pietroburgo. Anche delle sue composizioni non tutte si sono conservate, e nemmeno tutte le opere di cui fu autore, per non parlare delle cantate profane che ogni musicista di corte doveva comporre per le occasioni solenni, e della musica sacra. Per quanto riguarda quest’ultima va tuttavia segnalata una curiosità: su due copie manoscritte di un concerto spirituale attribuito a Maksim Berezovskij, il salmo 92 Gospod’ vocarisja (Dominus regnavit), compare il nome di Traetta. Pur tuttavia gli specialisti russi sono convinti che esso appartenga al compositore russo.[12]

Come altri prima di lui, Traetta ripropose alla corte di Pietroburgo alcune delle opere composte antecedentemente: L’isola disabitata e L’Olimpiade, quest’ultima rimaneggiata dall’autore con l’aggiunta anche di scene corali come richiesto dalla corte; l’Antigono, composta a Padova nel 1764. Invece l’Antigone, la prima grande opera seria composta da Traetta per la corte di Caterina e forse la sua opera più significativa, fu rappresentata soltanto nel novembre del 1772, a più di un anno dal suo arrivo. Vi debuttò la famosissima Caterina Gabrielli, da poco giunta a Pietroburgo, per la quale il maestro di Bitonto scrisse appositamente l’aria Ombra cara amorosa.[13] Seguirono nel 1773 Amore e Psiche, e nel novembre del 1774 il Lucio Vero, per il quale Traetta riesumò il già noto libretto di Apostolo Zeno. Il 30 giugno 1775 «Moskovskie vedomosti» (Il messaggero di Mosca) annuncerà la partenza del compositore dalla Russia.

Parlando di Traetta, non si può non registrare la contemporanea presenza a Pietroburgo di Marco Coltellini quale poeta di corte. Il livornese, autore tra l’altro del libretto dell’Antigone e di Amore e Psiche, fu per Traetta, che già nel 1763 aveva musicato la sua Ifigenia in Tauride, ciò che egli stesso e i fratelli Calzabigi sarebbero stati per Christoph Willibald Gluck. E quando si parla dell’opera riformata, mentre ad essa viene immancabilmente abbinato il nome del compositore tedesco, troppo spesso si dimentica il sostanziale contributo del musicista italiano. Marco Coltellini morirà a Pietroburgo in circostanze misteriose e si ipotizzerà un avvelenamento. Nella sua tipografia di Livorno il poeta aveva dato alle stampe Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, libro che molto era piaciuto a Caterina nella versione francese e da lei era stato fatto tradurre immediatamente in russo.

A Tommaso Traetta subentrò Giovanni Paisiello, il quale nel 1782 compose a Pietroburgo il suo famoso Barbiere di Siviglia, presumibilmente l’opera più popolare del Settecento (ebbe il maggior numero di rappresentazioni in Europa tra il 1782 e la fine del secolo e sarebbe stata rappresentata persino a Città del Messico nel 1801). Il tarantino era arrivato a Pietroburgo nel 1776, e parecchie delle sue opere antecedenti il periodo russo erano state già rappresentate sia a Pietroburgo che a Mosca.[14] Invece tra la data del suo arrivo in Russia e il Barbiere egli aveva composto: Il matrimonio inaspettato, opera nota anche come Il Marchese Tulipano, rappresentata in occasione della solenne apertura del nuovo teatro costruito su una delle isole della città, Kamennyj ostrov, il 21 ottobre 1779; La finta amante, rappresentata a Mogilev nel maggio del 1780 in occasione dell’incontro tra Caterina e il conte Falkenstein, che altri non era se non l’imperatore d’Austria Giuseppe II in incognito; infine nel 1781 verrà rappresentata La serva padrona, a parere di alcuni assai migliore dei più noti intermezzi di Pergolesi.[15]

Nel 1780 era stato altresì rappresentato, con la partecipazione di cantanti russi e in lingua russa, un intermezzo buffo intitolato Smešnoj poedinok, una versione de Il duello comico composto a Napoli nel 1774. E sarebbe interessante poter confrontare le varie copie esistenti de Il duello comico (per esempio, presso la Biblioteca Civica «Pietro Acclavio» di Taranto e la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze) con la copia manoscritta, ritrovata nella Biblioteca Nazionale di Budapest dopo la Seconda guerra mondiale, della bellissima Cantata comica, ovvero Der Schulmeister mit seinen 2 Scholaren, il cui testo è in dialetto viennese, attribuita al compositore tarantino. Si tratta di un rifacimento de Il duello comico oppure di tutt’altra composizione?

A Pietroburgo Paisiello scriverà La passione di Nostro Signore Gesù Cristo su testo di Metastasio, che verrà eseguita nel marzo del 1783 nella chiesa cattolica di Santa Caterina durante la Settimana Santa. Di passaggio a Varsavia al suo rientro in Italia nel 1784, Paisiello eseguirà La Passione nella capitale polacca. La dedicherà al re Augusto Poniatowski, e i polacchi crederanno che egli l’abbia scritta appositamente per il loro re.[16]

A sostituire Giovanni Paisiello fu chiamato il faentino Giuseppe Sarti. Gli fu assegnato uno stipendio di tremila rubli l’anno con l’aggiunta delle solite indennità e regalie varie, mentre Paisiello ne prendeva quattromila.[17] Passato dall’ambiente severo del Duomo di Milano alla sfarzosità di San Pietroburgo, egli non ebbe molta fortuna a corte. Ed è opportuno a questo proposito segnalare l’interessante osservazione di un viaggiatore attento come Francisco de Miranda. Incontrato Sarti a Kiev il 12 marzo 1787, il rivoluzionario sudamericano annota nel suo diario: «…Sarti mi ha pure raccontato nei particolari di vari intrighi politici, materia di cui evidentemente si intende; dicono sia stato coinvolto in qualcuno di essi, legato alla defunta regina di Danimarca».[18] Evidentemente la sua precedente esperienza a Copenhagen non gli era servita.[19] A Pietroburgo Sarti dovette inoltre fare i conti con i capricci e le gelosie di Luisa Todi, favorita dell’imperatrice. Gli intrighi di teatro e le continue lamentele della cantante nei confronti del castrato milanese Luigi Marchesi, che Sarti aveva fatto appositamente venire nella capitale russa, gli costarono il posto a corte. Il suo contratto triennale non venne rinnovato, e Sarti dovette accontentarsi di rimanere in Russia al servizio del principe Potemkin. Eppure egli fu il compositore italiano che ebbe maggior successo in Russia. La sua prima opera per la corte, Armida e Rinaldo, due atti su libretto di Marco Coltellini, composta appositamente per l’inaugurazione, avvenuta il 16 febbraio 1786, del teatro dell’Ermitage costruito dall’italiano Giacomo Quarenghi, ebbe una risonanza strabiliante. Inoltre, egli più di chiunque altro ebbe influenza sulla musica russa e se ne lasciò influenzare. Pur servendosi dei mezzi tecnici allora disponibili in ambito europeo occidentale, egli sembra essere riuscito comunque a trasmettere lo spirito e a riprodurre nelle sue composizioni sacre l’atmosfera della musica sacra e popolare russa. È del 1784 il cosiddetto oratorio russo per solisti, due cori, orchestra e corni russi, nella cui orchestrazione inserisce sonorità che parrebbero precorrere i tempi. E Sarti non si limiterà a introdurre i corni russi nella sua musica oratoriale, li impiegherà anche nella sua opera seria Castore e Polluce.[20] Nel 1788 scriverà il famoso Tebe Boga Chvalim (Te Deum) per celebrare la vittoria russa sui turchi ad Očakovo. Saranno numerose le sue composizioni su testi slavo-ecclesiastici anche a cappella, e quindi eseguibili nelle chiese ortodosse russe, dove gli strumenti sono assolutamente vietati. Oltre a Sarti e Galuppi, altri compositori italiani si dedicarono alla composizione di musica sacra su testi in slavo ecclesiastico, ad esempio i napo¬letani Gennaro Astaritta e Antonio Sapienza.[21]

Poco nota e piuttosto confusa è la vicenda che vede Sarti lavorare alla creazione del primo conservatorio russo, l’Accademia musicale di Ekaterinoslav o Kremenčug, nel Sud della Russia. Ma è accertato, benché alla fine l’impresa sia da considerarsi abortita, che per un certo tempo vi si tennero corsi con la partecipazione di maestri fatti appositamente venire dall’Italia. Da sottolineare lo straordinario risultato raggiunto da Sarti con il «corista», uno strumento di sua invenzione che gli valse la nomina a membro onorario dell’Accademia delle Scienze. Il valore da lui ottenuto, pari a una frequenza di 436 Hz, assai vicino a quello accettato ai nostri giorni, fu adottato dall’orchestra di San Pietroburgo fino agli inizi del secolo ventesimo. Un’ultima annotazione: un’aria della sua opera francese La famillle indienne en Angleterre, composta nel 1799, divenne una canzone popolare russa intitolata Budu s milen’kim rezvit’sja (Mi sollazzerò col mio diletto).

Sarti ebbe numerosi allievi in Russia, tra cui quel Danila Kašin, autore tra l’altro di una canzone patriottica che fu ripresa di sana pianta da Rossini nel suo Viaggio a Reims,[22] a testimonianza dei mille intrecci che caratterizzarono i rapporti tra i musicisti italiani e la Russia.

Passato Sarti al servizio di Potemkin, a sostituirlo a corte fu invitato Domenico Cimarosa, la cui prima composizione in terra russa fu il bellissimo Requiem, scritto ed eseguito appena dieci giorni dopo il suo arrivo a Pietroburgo. Gli era stato commissionato dall’ambasciatore del Regno di Napoli Nicola Maresca duca di Serracapriola per i funerali solenni della moglie appena defunta. Maresca sposò ben presto in seconde nozze Anna Vjazemskaja, figlia del procuratore generale Aleksandr Vjazemskij. E a me piace immaginare che Cimarosa abbia composto proprio per le nuove nozze dell’ambasciatore di Napoli Il maestro di cappella, opera postuma databile tra i1 1783 e il 1789. Cioè un anno prima e uno dopo il soggiorno di Cimarosa a Pietroburgo.

Non si può escludere questa ipotesi; il testo dell’aria finale dell’intermezzo buffo in questione potrebbe alludere a una simile destinazione:

Ci sposeremo
fra suoni e canti,
sposi brillanti
pieni d’amor.

 

L’ultimo della serie dei celebri compositori di corte a Pietroburgo nel Settecento, benché spagnolo assimilabile per scuola agli italiani, fu Vicente Martín y Soler, detto Martini. Nel 1788, poco dopo il suo arrivo, fu rappresentata la sua famosa Cosa rara in lingua originale, e un anno più tardi anche in lingua russa, nella traduzione di I.A. Dmitrevskij. Martini fece largo uso di motivi popolari russi, in particolare nell’opera del 1789 Gorebogatyr’ Kosometovič (Kosometovič, eroe infausto) su testo di Caterina II, una satira contro re Gustavo di Svezia. Fu Martini a comporre nel 1790, su libretto di A.V. Chrapovickij, segretario dell’imperatrice, l’opera comica Pesneliubie (Amore per il canto, o Melomania che dir si voglia: vedasi l’opera omonima di Stanislas Champein del 1781), parodia feroce di quel Pavel Martynovič Skavronskij, melomane impenitente, che a Napoli, dove fu ambasciatore, ma anche a San Pietroburgo per tanti anni, fece ridere mezzo mondo con la sua mania di imitare parlando il recitativo operistico. E costringeva anche la servitù a parlare cantando. Morto Skavronskij, la vedova di lui Ekaterina Samojlova, nipote del principe Potemkin, sarebbe diventata una delle donne più ricche dell’impero e avrebbe sposato in seconde nozze il cavaliere di Malta conte Giulio Litta milanese, dopo che questi, per intercessione dello zar Paolo I presso il Romano Pontefice, fu esonerato dal voto di castità. Ma questa – pur inscindibile dalla straordinaria avventura che vide la Russia attingere generosamente a quell’enorme serbatoio di uomini e risorse che fu l’Europa Occidentale, e in particolare l’Italia del Settecento, e accelerare così, per la seconda volta dopo Pietro il Grande, il suo avvicinamento a noi e alla nostra cultura – è un’altra vicenda.

Concludo qui il mio rapido excursus. Altri compositori di corte italiani sarebbero seguiti nell’Ottocento, tra cui il veneziano Caterino Cavos, secondo alcuni il vero anello di congiunzione tra la tradizione musicale europea introdotta e sviluppata dai suoi predecessori e la nascita della musica nazionale russa.[23]

 

* * *

 

Le partiture originali dei compositori italiani in Russia sono conservate in vari archivi. In particolare presso la Biblioteca centrale del teatro Mariinskij di Pietroburgo diretta da Maria Ščerbakova e nell’archivio dell’Istituto di Storia dell’arte della stessa città. I libretti delle opere, invece, sono per la maggior parte reperibili separatamente presso la Biblioteca Nazionale russa di San Pietroburgo e la Biblioteca dell’Accademia delle Scienze.

Per quanto riguarda gli sforzi storiografici, l’opera di R.A. Mooser, alla quale il musicologo svizzero lavorò mentre era impiegato a Pietroburgo presso l’amministrazione dei teatri imperiali tra il 1899 e il 1904, rimane tuttora di fondamentale importanza.[24] Alla monumentale opera di Mooser è venuto ora ad affiancarsi il preziosissimo dizionario enciclopedico della musica a San Pietroburgo nel Settecento, e va dato merito a Anna Leonidovna Porfir’eva, direttrice della Sezione musicale dell’Istituto di Storia dell’arte di Pietroburgo, di essere riuscita a radunare un nutrito gruppo di ricercatori e a coordinarne gli sforzi come redattrice responsabile dell’opera. Particolarmente preziosi sono i primi tre volumi biografici.[25]

Ma la musica, se non viene eseguita e diffusa, è musica morta. Io stesso mi sono prodigato a raccogliere negli anni 1995-1996 quante più incisioni esistenti in commercio delle opere composte a San Pietroburgo da musicisti italiani nel secolo XVIII. Ne risultò poi una serie di nove programmi radiofonici di un’ora ciascuno, dal titolo Neapol’ v Peterburge (Napoli a Pietroburgo), che furono trasmessi in Russia. E va detto che all’epoca tali incisioni erano davvero poco numerose sul mercato discografico. Niente Araja, niente Manfredini. Di Galuppi, nessuna delle opere composte a San Pietroburgo. Del compositore veneziano si eseguono oggi in Russia solo frammenti dei concerti spirituali. Una registrazione del suo Plotiju usnuv («Ti sei addormentato nella carne», l’esapostilario che si canta nella liturgia ortodossa il Martedì Santo) fu eseguita per il millenario del battesimo della Russia dal coro della cattedrale di Washington nel 1988 e inciso su CD della Centaur nel 1990.

Purtroppo non mi sono potuto avvalere dell’unica incisione esistente dell’opera pietroburghese di Traetta, l’Antigone, che fu eseguita nel 1997 a Metz nella sala grande dell’Arsenale da Les Talents Liriques diretti da Christophe Rousset, il quale ha utilizzato la copia della partitura conservata nella Biblioteca del Congresso a Washington. Il CD della DECCA è uscito soltanto nel 2000.

Mentre mi preparavo a produrre la serie radiofonica intitolata Napoli a Pietroburgo per Radio Liberty, ho avuto modo di ascoltare varie esecuzioni de Il Barbiere di Siviglia di Giovanni Paisiello. Di tutte, quella eseguita dall’Orchestra di Stato ungherese e dai solisti Dénes Gulyás, Krisztina Laki, István Gáti, József Gregor e Sándor Sólyom-Nagy, prodotta da Hungaroton nel 1985, mi è sembrata di gran lunga la più energica. Va detto inoltre che l’esecuzione del direttore Adám Fischer ha un che di intenzionalmente mozartiano, forse a sottolineare l’evidente parentela tra l’opera di Paisiello e Le Nozze di Mozart. Per La serva padrona mi sono avvalso dell’esecuzione dell’Orchestra da camera di Milano diretta da Paolo Valigieri e dei cantanti Anna-Victoria Banks nel ruolo di Serpina e Gian Luigi Ricci nel ruolo di Uberto, disponibile su un CD dalla Nuova Era del 1994. All’epoca già esistevano in commercio un’esecuzione polacca della Passione di Nostro Signor Gesù Cristo (Euromusica, 1991) e almeno una (ho usato quella di Mariaclara Monetti accompagnata dall’English Chamber Orchestra, ASV, 1993) dei deliziosi concerti per pianoforte e orchestra, di cui due composti dal tarantino a San Pietroburgo e dedicati rispettivamente alla dama di corte dell’imperatrice contessa Sinjavina e alla stessa imperatrice Marija Fedorovna, nonché la già menzionata Cantata comica, sempre prodotta da Hungaroton nel 1989, nell’esecuzione dell’Orchestra di Stato ungherese con il coro madrigalistico di Budapest e i solisti József Dene, Margit Lázló Klára Takács, Katalin Szökefalvi-Nagy, Attila Fülöp e János Sebesyén. Il sottotitolo della cantata comica sul CD è Il maestro ed’i sui due scolari (sic!).

Per quanto riguarda Cimarosa, per il Requiem ho scelto l’incisione dell’orchestra da camera e del coro del Festival di Losanna con la partecipazione dei solisti Elly Ameling, Birgit Finnilä, Richard van Vrooman e Kurt Widmer diretti da Vittorio Negri (Philips, 1994); per il Maestro di Cappella ho preferito l’esecuzione dei Solisti di Milano diretti da Angelo Ephrikian con Gastone Sarti (Rivo Alto, 1990).

E vengo a Giuseppe Sarti. Dell’Armida e Rinaldo è abbastanza nota al pubblico l’aria Lungi da te ben mio o Lungi dal caro bene, che Sarti aveva composto inizialmente per il Giulio Sabino, nelle esecuzioni del controtenore Aris Christofellis (EMI, 1994) e in quella, bellissima ma accompagnata al pianoforte, di Ezio Pinza (BMG, 1993). Del compositore faentino vengono ancora eseguiti in Russia due pezzi sacri a cappella (Iže cheruvimy), di cui esiste un’incisione su CD (Le chant du monde, 1988). Interessante la registrazione fatta da A. Charlin (CD del 1992) del cosiddetto Oratorio russo, eseguito anni fa a Perugia dall’Orchestra sinfonica di Bratislava e dal Coro filarmonico di Praga, dove i corni russi sono sostituiti dall’organo. Segnalo inoltre che, nell’ambito delle celebrazioni sartiane 2002, a Rimini l’Accademia Bizantina in collaborazione con l’Orchestra del Festival delle Notti malatestiane, sotto la direzione di Ottavio Dantone, ha eseguito all’aperto musiche di Giuseppe Sarti, tra cui il famoso Tebe Boga chvalim (Te Deum) del 1789, per doppio coro, doppia orchestra, tamburi e colpi di cannone, e lo Slava v vysnich Bogu (Gloria) del 1792 per doppio coro, doppia orchestra, tamburi, cannoni e batterie pirotecniche (direttore del coro Roberto Parmeggianini).

In Russia il recupero della tradizione musicale settecentesca di marca pietroburghese è affidato all’iniziativa dei singoli e, talvolta, di istituzioni quali il teatro Mariinskij e, soprattutto, il teatro dell’Ermitage.

Da segnalare l’opera meritoria del complesso cameristico Musica Petropolitana che esegue regolarmente musiche composte in Russia nel Settecento. Il gruppo ha inciso brani da camera di Vincenzo Manfredini, Giuseppe Sarti, Giovanni Paisiello e di diversi altri autori, sia stranieri che russi, attivi a Pietroburgo all’epoca. Le incisioni del gruppo sono distribuite da Opus 111. Altri complessi hanno eseguito musiche di Domenico dall’Oglio (il complesso di musica antica di Mosca Da camera e da chiesa, diretto da Victor Felitsiant – CD Meždunarodnaja kniga, 1993), di Antonio Lolli, violinista assunto nel 1773 alla corte di Caterina come maestro concertatore (Tatiana Grindenko e l’Orchestra Mama dell’Accademia di musica antica di Mosca, CD Opus 111, 1996), e di Luigi Madonis (il Complesso barocco russo, CD Arte Nova, 1997).

È merito del teatro Mariinskij la prima esecuzione contemporanea di Cefal i Prokris, avvenuta il 14 giugno 2001 sotto la direzione del maestro Gianandrea Noseda e con la partecipazione dei solisti e del coro del più importante teatro pietroburghese. Purtroppo l’incisione dell’opera non è, o non è ancora, disponibile sul mercato discografico. Inoltre, nella stessa serata, il maestro Gergiev ha diretto la Cleopatra di Cimarosa, opera anch’essa composta a San Pietroburgo.

Nel 1999 al teatro dell’Ermitage fu eseguita in forma concertistica l’opera Enea nel Lazio composta da Sarti nel 1799 in occasione dello sposalizio delle granduchesse Elena e Aleksandra, figlie dello zar Paolo I. La ripresa di quest’opera è merito della mezzosoprano Marina Philippova che ha recuperato l’originale dello spartito conservato presso l’Istituto di Storia dell’arte di San Pietroburgo. Peccato non sia stato possibile alla cantante e musicologa russa confrontare il testo a sua disposizione con la copia autografa esistente presso la biblioteca di Faenza. L’opera è distribuita dalla casa discografica Bongiovanni di Bologna (CD del 2003). L’orchestra dell’Ermitage è diretta da Arkadij Stejnlucht, i solisti sono Marat Galiakhmetov, Iana Ivanilova, Marina Philippova e Konstantin Nikitin. Segnalo anche l’esecuzione di Marina Philippova di un’aria inserita da Vicente Martín y Soler nella sua opera Fedul s det’mi (CD IM Lab, 2000). Aggiungo che l’aria in questione (Vo sele, sele Pokrovskom) è attribuita all’imperatrice Elizaveta Petrovna.

A Pietroburgo, inoltre, di tanto in tanto vengono eseguite le parti orchestrali e corali di Načal’noe upravlenie Olega,[26] opera composta da Giuseppe Sarti, Carlo Canobbio e Vasilij Paškevič.

Una tappa importante e forse cruciale nel recupero di una tradizione musicale troppo a lungo ingiustamente dimenticata è stata segnata dalla ripresa dell’Armida e Rinaldo di Giuseppe Sarti durante la stagione musicale pietroburghese del 2004 – grazie agli sforzi del direttore artistico del festival internazionale annuale Muzyka bol’šogo Ermitaža (La musica del grande Ermitage), Sergei Evtushenko, e con il contributo del Comune di Faenza e della Scuola musicale «Giuseppe Sarti» della stessa città. Il 14 luglio, giorno di apertura del festival, l’opera è stata eseguita dai giovani cantanti del teatro Mariinskij accompagnati dall’orchestra del teatro dell’Ermitage sotto la direzione di Mikhail Sinkevich. Da sottolineare il virtuosismo dei cantanti, in particolare del mezzosoprano Maria Gortsevskaya, sorprendente per l’altissima qualità della coloratura, la profondità nei toni bassi, la voce piena e salda lungo tutta la gamma, commovente nel vibrato. La velocità insolita con cui Mikhail Sinkevich e Maria Gortsevskaya hanno affrontato l’aria Lungi da te ben mio, che Sarti aveva ripreso dal Giulio Sabino (Lungi dal caro bene), pur senza sacrificare troppo la melodia, ha valorizzato l’intreccio tra le componenti strumentali e la parte vocale. Un’esecuzione, insomma, degna di ben più alti riconoscimenti. Altre interpretazioni assai più lente (mi riferisco in particolare a quelle menzionate sopra), riducono l’aria, pur valorizzandone la bellezza, al semplice rango di melodia accompagnata. Nel complesso l’esecuzione pietroburghese mi è sembrata assai migliore di quella realizzata a Faenza qualche mese prima in occasione delle celebrazioni per l’anniversario della morte del compositore, messa in commercio dalla casa discografica Bongiovanni.

In concomitanza con la rappresentazione dell’Armida e Rinaldo si è svolta una conferenza internazionale su Giuseppe Sarti e i musicisti italiani nella Pietroburgo del Settecento, i cui atti, sia pure non completi, sono stati pubblicati in lingua russa dalla casa editrice del Museo dell’Ermitage.[27]

Il programma di quest’anno, infine, nell’ambito del festival Opera v Ermitaže (16-24 novembre 2005), prevede la rappresentazione di due opere di Giuseppe Sarti, nuovamente l’Armida e Rinaldo e l’Andromeda.[28] Verrà inoltre rappresentata L’arbore di Diana di Vicente Martín y Soler e Lorenzo da Ponte, opera che, sebbene non composta a Pietroburgo, fu tuttavia estremamente popolare in quella città verso la fine del Settecento.

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[Bio] Mario Corti è autore tra l'altro di cicli radiofonici sulle relazioni culturali tra la Russia e l'Europa occidentale, trasmessi da Radio Free Europe-Radio Liberty, del cui Servizio russo è stato direttore tra il 1998 e il 2003.

[1] La locandina è riprodotta nella bellissima pubblicazione bilingue (in russo e inglese) dedicata al trecentenario dalla fondazione di San Pietroburgo 1703-2003. Peterburg. Muzyka. XVIII, Kompozitor, Sankt-Peterburg, 2003.

[2] La storia delle relazioni musicali tra Russia e Italia inizia alla fine del Seicento con l’arrivo a Mosca del castrato Filippo Balatri, inviato dal Granduca di Toscana Cosimo II a Pietro il Grande per un periodo di tre anni. Il Balatri è autore di due libri di memorie rispettivamente in prosa e in versi: Vita e viaggi di F.B., nativo di Pisa (il cui manoscritto è conservato a Mosca presso la Biblioteca di Stato russa) e Frutti del Mondo, esperimentati da F.B., nativo dell’Alfea in Toscana (manoscritto conservato a Monaco presso la Biblioteca di Stato della Baviera). Di quest’ultimo esiste un’edizione parziale: FILIPPO BALATRI, Frutti del mondo: autobiografia di Filippo Balatri da Pisa (1676-1756), Sandron, Palermo, 1924. Vedasi anche il bel libro di CHRISTINE WUNNIKE, Die Nachtigall des Zaren. Das Leben des Kastraten Filippo Balatri, Claasen, München, 2001.

[3] Umnye, ostrye, zabavnye i smešnye anekdoty Adamki Pedrillo…, Moskva, 1836; vedi anche M.I. SEMEVSKIJ, Anekdoty Balakireva, Lakosty, Pedrillo i Kul’kovskogo, Sankt-Peterburg, 1871.

[4] Tutte le citazioni da Casanova in traduzione italiana sono tratte dall’edizione in tre volumi a cura di Piero Chiara e Federico Roncoroni, GIACOMO CASANOVA, Storia della mia vita, Mondadori, Milano, 1983

[5] Cito dalla traduzione italiana di The Present State of Music in France and Italy di Enrico Fubini (CHARLES BURNEY, Viaggio musicale in Italia, EDT, Torino, 1979, p. 114). Cfr. anche R.-A. MOOSER, Annales de la musique et des musiciens en Russie au XVIIIe siècle, 3 voll., Mont-Blanc, Genéve, 1948-1951, vol. 1, p. 309.

[6] Mi sono avvalso della traduzione italiana di Piero Bianconi (CARLO GOLDONI, Memorie, Rizzoli, Milano, 1980, p. 175).

[7] M. RYCAREVA, Kompozitor M.S. Berezovskij. Žizn’ i tvorčestvo, Muzyka, Leningrad, 1983. Sulla rappresentazione del Demofoonte a Livorno si veda anche MOOSER, Annales de la musique et des musiciens en Russie, cit., vol. 2, pp. 115-17. Nel riportare l’elenco dei numeri conservati a Firenze, il Mooser cita il Catalogo delle opere musicali. Città di Firenze. Bibl. del R. Conservatorio di Musica, pubblicato a Parma nel 1929, a p. 216: l’aria di Demofoonte per tenore Per lei fra l’armi (atto I, sc. 3), due arie di Timanto per soprano Prudente mi chiedi? (atto II, sc. 2) e Misero pargoletto (atto III, sc. 5), e, infine, un’aria per tenore (Mentre il cor con meste voci) che non è contenuta nel libretto originale di Metastasio e di cui Mooser non è riuscito a individuare l’autore.

[8] BURNEY, Viaggio musicale in Italia, cit., p. 164.

[9] JAKOB ŠTELIN (STÄHLIN), Muzyka i balet v Rossii XVIII veka, Sankt-Peterburg, Izdatel’stvo «Sojuz chudožnikov», 2002, p. 59.

[10] Ibid., p. 130.

[11] Ibid., p. 224

[12] RYCAREVA, Kompozitor M.S. Berezovskij, cit., pp. 127-28; A.V. LEBEDEVA-EMELINA, Russkaja duchovnaja muzyka epochi klassicizma (1765-1825), Progress-Tradicija, Moskva, 2004, p. 516.

[13] Sulla confusione in cui sono incorsi alcuni storici della musica tra l’Antigono e l’Antigone del compositore di Bitonto si veda MOOSER, Annales de la musique et des musiciens en Russie, cit., vol. 1, pp. 98, 106.

 [14] Vedi le tavole cronologiche delle rappresentazioni operistiche nel secolo XVIII in Russia e nel resto d’Europa nel vol. 4 di Muzykal’nyj Peterburg. Enciklopedičeskij slovar’. XVIII vek, 7 voll., Kompozitor, Sankt-Peterburg, 1996-2004.

[15] Cfr. ad. es. PAOLO ISOTTA, Ritorno al Barbiere oscurato da Rossini, «Corriere della Sera», 29 giugno 2004: «Paisiello, così lontano dall’Italia, si trovò spesso in difetto di testi da musicare, sicché si attentò anche a rimettere in note quello ch’era considerato addirittura un pezzo sacro, La serva padrona già composta da Pergolesi: sorprenderà apprendere che la superiorità della sua versione rispetto alla tanto più nota originale è letteralmente schiacciante».

[16] MOOSER, Annales de la musique et des musiciens en Russie, cit., vol. 2, p. 347. Per la data dell’esecuzione, Mooser cita il primo biografo di Paisiello, il napoletano Giovanni de Dominicis, professore aggiunto presso l’Università di Mosca, la cui biografia del compositore fu pubblicata a Mosca in italiano e russo: GIOVANNI DE DOMINICIS, Saggio su la vita del cavaliere G. Paisiello, Mosca, 1818; IVAN DE DOMINIČIS, Žizn’ kavalera Don Žuana Paiziello, znamenitogo sočinitelja muzyky, posvjaščennaja ee imperatorskomu velicestvu, gosudaryne imperatrice Marii Fedorovne professorom muzyki neapolitanskoj korolevskoj konservatorii, nachodjaščemsja pri imperatorskom Moskovskom universitete Ivanom de Dominičis, Moskva, 1818.

[17] Sarebbe interessante uno studio comparato sugli stipendi dei compositori di corte nelle varie capitali europee. Per quanto riguarda la Russia, va detto che durante il regno di Caterina un funzionario di corte col grado di generale, equivalente anche a consigliere di Stato, guadagnava dai 1000 ai 1500 rubli l’anno (L.N. SEMENOVA, Byt i naselenie Sankt-Peterburga (XVIII vek), Moskva-Sankt-Peterburg, Ves’ Mir-Russko-Baltijskij informacionnyj centr BLIC, 1998, p. 141). Un altro Sarti, di professione artificiere, sotto il regno di Elizaveta Petrovna riceveva un emolumento di 1000 rubli al mese (ibid., p. 64).

[18] Cito dalla traduzione russa dei Viajes por el Imperio de Rusia: FRANCISCO DE MIRANDA, Putešestvie po Rossijskoj imperii, MAIK «Nauka-Interperiodika», Moskva, 2001, p. 109.

[19] Sul periodo danese e le ragioni della partenza da Copenhagen del compositore faentino vedasi, ad esempio, NILS SCHIØRRING, Il periodo danese in Giuseppe Sarti musicista faentino. Atti del convegno internazionale, Faenza 25-27 novembre 1983, a cura di Mario Baroni e Maria Gioia Tavoni, Mucchi Editore, Modena, 1986, pp. 143-46.

[20] Sull’impiego dei corni russi da parte del compositore faentino si veda l’interessante articolo di CAROL BAILEY HUGHES, Germi del nazionalismo musicale russo, in Giuseppe Sarti musicista faentino, cit., pp. 149-57. Si veda anche l’articolo di UMBERTO SCARPETTA, Un’opera pietroburghese: il «Castore e Polluce» (ibid., pp. 93-112; il riferimento ai corni russi è a p. 99).

[21] LEBEDEVA-EMELINA, Russkaja duchovnaja muzyka epochi klassicizma, cit.

[22] Mi sono sempre domandato se Rossini avesse composto egli stesso il cosiddetto «inno russo», introdotto dal personaggio (conte Libenskoff) con le parole «una [aria] ne so a memoria / che udii cantar un giorno, / mentre il monarca a noi facea ritorno», oppure se avesse riprodotto una canzone russa dell’epoca, come infatti è risultato. Ho fatto questa scoperta per caso (senza del resto escludere che altri mi abbia preceduto), ascoltando un CD di canzoni patriottiche russe, e ne ho ricavato un programma radiofonico dal titolo della canzone, Likuj Moskva, v Pariže ross (Mosca rallegrati, il russo è a Parigi), trasmesso in Russia il 21 agosto 2004. La canzone di Kašin è del 1814 e un’altra aria patriottica russa molto simile, questa sì dedicata al ritorno da Parigi in Russia dell’imperatore Alessandro I, fu composta nello stesso anno da Ferdinando Antonolini, compositore di corte a San Pietroburgo a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo e autore di opere e balletti russi. L’aria di Antonolini Ty vozvratilsja, blagodatnyj (Sei tornato a noi, dispensatore di grazia) è contenuta nello stesso CD ed è pubblicata nel bel libro di N.A. OGARKOVA, Ceremonii, prazdnestva, muzyka russkogo dvora, DB, Sankt-Peterburg, 2004, p. 288.

[23] Cfr., ad esempio, l’analisi dell’opera di Caterino Cavos Ivan Susanin in A. GOZENPUD, Muzykal’nyj teatr v Rossii. Ot istokov do Glinki, Gosudarstvennoe muzykal’noe izdatel’stvo, Leningrad, 1959, pp. 367-71. Per una breve ma esauriente storia dell’opera italiana in Russia dagli albori quasi fino ai giorni nostri vedi L.M. ZOLOTNICKAJA, Ital’janskij opernyj teatr v Rossii v XVIII-XX vekach. Lekcija, LOLGK, Leningrad, 1988.

[24] MOOSER, Annales de la musique et des musiciens en Russie, cit.

[25] Muzykal’nyj Peterburg, cit.

[26]Sull’Oleg si veda UMBERTO SCARPETTA, Erudizione e insolita drammaturgia nella storia di Oleg, in Giuseppe Sarti musicista faentino, cit., pp. 113-34.

[27] Gosudarstvennyj Ermitaž. Ermitažnaja Akademija Muzyki. IV Meždunarodnyj festival’ «Muzyka Bol’šogo Ermitaža». SARTI. Vozvraščenie v Peterburg. Materialy Meždunarodnoj konferencii, 13 ijulja 2004 goda, Ermitažnyj teatr, Izdatel’stvo Ermitaža, Sankt Peterburg, 2004.

[28] Le partiture sono state curate da Alessandro Borin della Scuola di musica «Giuseppe Sarti» di Faenza.

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