Francesco Filippo Minetti - Philomusica on line :: Rivista del Dipartimento di Scienze musicologiche e paleografico-filologiche

Francesco Filippo Minetti

 

La peculiare evoluzione rimica della terzina dantesca nella Legenda per rima vulgare in terça del “Frate Philippo de l'Ordine predicante” del Braidense AC IX 34, 8r-13r

 

Si tratta dell'abrupto passaggio dal canonico ABA, BCB, CDC..., cui ci si attiene fino al v. 33, all'ABC, BCD, CDE..., introdotto al v. 34, e non più dismesso fino alla fine (v. 358); per ottenere il quale, "padre", ad es., esige il dileguo iperleniente della dentale, sia in 88, sia in 116, sia in 296: qui, per rimare, ad un tempo, con "alçare" 298, ed apofonizzare con l' "-ere" 294; una sorta di omofonia incoativa (od anacolutica) sembrando legare "messo" 252 e "-mente" 254; il che, comunque, vieta (con quanto si dirà a proposito delle due riprese rimiche conclusive) la posposizione di 250 a detto 252; tanto più che l'entrebescamen è, qui, endemico; se il, proletticamente remoto, "primo", 296-97, va con "padre...et pastore"; così come l', inversamente omeòtopo, "novello", 302-4, con "proconsulo".

Niente di simile, in ogni modo, né nell'hapax – rispetto agl', invece, pedissequi apografi ricordati da Gorni, Sull'origine della terzina..., in "Metrica": Pucci, il Boccaccio della Caccia, di Amor che con sua forza, Contento quasi, La dolce Ave Maria e, non contando gl'inserti dell'Ameto, dei canti XL-XLIV dell'Amorosa visione; nonché i capitoli del Libro sacchettiano – ABA, CBC dell'Acerba, raddoppiante, 'in cornice', anziché il nucleo, l'incremento; né nei neo-utilizzatori quattrocenteschi del ternario, ibidem studiati da Domenico De Robertis, L'ecloga volgare come segno di contraddizione, e da Roberta Conti, Strutture metriche del Canzoniere boiardesco, I.6: Il ritornello e la terza rima: Leon Battista Alberti, Giusto de' Conti e, appunto, lo Scandianese. Eppure un modello inchoante potrebbe scorgersi nell', indeclinato, (C)DC, DC(D) del Fiore; in quello del LXXVII a Forese e del CXI a Cino; 'aperto', magari, sull'epitesi ...EE del Dietro al pastor d'Ameto di quel Boccaccio; mentre G. Parenti, nell'Antonio Carazolo desamato di SFI XXXVII, 1979, p. 233, dà – con dantesche canoniche in 145 e 149; CDC,DCD,dEE in 194-95 – l'invece palindromo, o 'repercusso', ABA, BAB, AB di Volesse (la) mia fortuna ch'io tornasse: XIIbis [Galeota].

L'autore – sebbene detto Braid. sia adespoto, complessivamente anepigrafo ed a-colofonico – è certamente il fra Filippo della Strada di Segarizzi[1] e Novati.[2] Il primo ne verificò, peraltro, la presenza, come compositore, solo attraverso sue precarie invasioni di allotrii codici marciani; e ne evinse che "non osasse credere duraturi i suoi componimenti"; "e, quindi, neppur stimasse opportuno riunirli in appositi volumi"; il secondo, invece, ne scoprì, ora scisso nel 1213 della Riccardiana e nel Campori 171 (quindi, Estense gamma V 5, 19), un suo, esclusivo, "zibaldone". Che avrebbe detto, se avesse conosciuto il nostro elegantissimo, e, qua e là, sapientemente alluminato, nonché, altrimenti da codesti spezzoni, perfettamente conservato, ms.; che la Braidense avrebbe acquistato, in un'asta privata, molti anni dopo? Ms. che, per quanto rileveremo sùbito infra, va, direi, ritenuto altresì autografo; al che non credo possano ostare – nella, non inaudita, duplicità dei piani grafici; e, nella fattispecie [vedremo infra], altresì linguistici – le eccedenze: qui, corsive in tonde. Suddetta identificazione, la garantisce, soprattutto, direi, la conferma della sottotitolatura novatiana, ivi fornita dal Damnantur omnino stampatores [non diacriticamente![3]] inhonesti di 2r, dal Vicia, per stampatores, increverunt ubique di 2v,[4] nonché dal Contra libros impressos, admonitio di 124v;[5] e che questo non dicesse anche per invidia (cosi una postilla alla seconda anta di n. 4) costituisce mera excusatio non petita (non altrimenti che rutiniera humilitas si dà, qui, ai vv. 19-20; mentre l'iperbato di 22, che la smentirebbe, è escluso dall', Ad...Principem Pêsauri, prohemium in vitam sanctorum Germani et Decentij miram, di cui infra; anzi, proprio, "Decent(io et), German(o), con animi eleganti,/ perfettament(e) lassoro(n) ogni creato", ivi, La passione, 28-29; ancorché, in 13v, occorra una Sequentia ["Omnis doctus pangat laudes;/ in hac die, promat voces:/ causa datur gaudij"] sanctorum predictorum pulcra; ed, a 39v, addirittura, Opus incipit elegantissimum, apposto al De comparatione vitiorum inter se: quod eorum sit gravius) come emerge dalla definizione segarizziana; che, a pp. 7-8 ne documenta, del pari, l'abilità di miniatore.

La palestra di, tanto rigoroso (a fronte dell'anarchia degli excerpta di n. 4), scarto eterodosso, 'umiliato', nei vv. 15-21, ai figli di quell'"Alexandro [Sforza]" con il cui In funere [Ferrara, 3 IV 1473] il ms. si apre, consiste nel martirologio, in flashback (si comincia, infatti, col tripudio pel ritorno delle loro reliquie in Pesaro), di Decentio e Germano, già vescovi di quella città; che una passio due-trecentesca (Bibliotheca hagiographica latina antiquae et mediae aetatis, I, p. 319, n°2115), scarsamente attendibile, pone nel IVin.; L. Lanzoni, Le diocesi d'Italia, dalle origini al 604, "Studi e testi" 35, invece, almeno quanto al secondo, dichiarandosi non documentato sul primo, da, comunque, dissociarsene, nel 499; mentre, se l'alternarsi, epifanicamente apostolico, di [S.] Giovanni [Silenziario] – 71-79, 83-136 – e S. Ciriaco – 239-52 – ("li inviati [/ ''l...messo', quel 252]) / ad Dio" [idiosincraticamente prediletto – ad es., in 188-89 e 235 –, rispetto al "da" di 3 e 73; laddove la prima articolata di 9 starà, in tautologica ipercorrezione, pel segnacaso genitivale; omonimia dandosi in 21, 54-55, 85, 90, 130, 182-83, 262, 292, 306, 344-45], 255-56) porrebbe, qualora originale, come terminus post quem, la redazione, da parte di Cirillo di Scitopoli (514-557), delle loro biografie; la presenza sia del Massimiano (vv. 35-52 e 269-70) post-dioclezianeo, sia (in 9 ed 80) del santo Papa Cornelio, vescovo di Roma dall'aprile 251 al giugno 253, porta, quandanche incoerentemente, ben più indietro.

Prendi alegreça, o Pesaro sì bello!

.

Hor(a), vui, felici, alti Segnor(i), diretti

da Dio ^ ad regèrl(o)! Tenet(i ) caro, el çoiello!

Questo, 'çoiello', io dico: li corretti

vos(tri) citadin(i), chi aveti in saldo scutto 

5

contra i nimici, (per)ché ve sonno astretti.

Dapoi teneti ciò che excede il tutto:

corpi de (santi ) martiri, provati ad mano

dal santo papa, et dal luor proprio frutto.

Dico Decentio co(n e)l fratel Germano; 

10

le osse dî qual(i ) so'(nno ) in màrmoro intagliatto;

le anime, in (li ) ciel(i), fruissen(o ) Dio Soprano.

Questo me par(e) motivo avantagiatto

di rillegrarsi, Pesar(o), col Segniore.

Tutt(i ) possidenti tal tesaur(o ap)preciato,

15

vui,^ illustrissimi, digni de ogni honore,

nati, chi se'(tti), del Principo potent'e

nobil(e a)Lexandro; habiati per amore

questi verset(i ) del picolo servente

frate Philip(po ) de l'Ordin(e ) predicante;

20

benché,^ ad vos(tro ) gusto, non sia, lui,^ eloquente.

Son(no), per rima, de la ystoria elegante

dî vos(tri ) santi, che honorati con fede,

Decent(io et), Germano, in vostre chiese sante.

Co, ssi faceti,^ (n)on perirà mercede,

25

del vostro culto fatto ad li diletti,

del richo Ducha Yhu (Xpo), chi, qua, vede;

perché lo sangue, fu, tra' vos(tri) destretti,

de questi martir(i), sparso santamente.

Segnior(i) di Pesar(o), d(ov)êti star ben letti! 

30

Non me dets mino stender vanamente

.

in adulare le grande excellentie

che sonno in vuj, perché lucen(o) patente.

Jn div(in)o adiutto, dirò le (sante) prudentie.

Morto che fu, lo crudel<e> serpente:

35

<l'>imperator<e>, ditto Diocliciano,

vienni il (peggiore!) süo succedente:

questo ebbi <'l> nomme <di> "Maximïano":

sopra di Roma, tene(v)a lo bastone

comme segnior(e); ma era pur tyranno.

40

Feci precetto, con indignatione,

che, nel suo regno, trovat', i xpi'ani,

comme rebelli, avessin(o) punitione.

Chi non volesse, de li suoi pagani,

persequetare li amici de Christo, 

45

tra le pregion(e), stasessino in affanni.

Non ne cavava, (i)'l governator tristo,

fuora di pena, alcuno, per amore,

che, lui, portass(e); per odio, d'(e) ira, mixto.

Fatto ch'(el) ebbi tal criddo de tremore,

50

sparsi lo sangue de la ma'(dre) carnale;

et de la sor(ella), perché ^ era(no) in fé(de) megliore.

(de)Li bon frate(ll)i, de Anglia, originale,

Decent(io e), Germano, ad la cità romana,

se approximar(o), di tutto cuor liale.

55

Il desider(io) de la doctrina sana

tràssili in via; ed, ecco, già alloggiati,

stàveno intenti, per la gente urbana:

consideraven(o) s'el ie fi(ce)ven fatti

dechiaramenti per alcuno, orante 

60

qual culti, in Dio, fosseron<o> più gratti;

de yhu xpo, s'(el) iera alto regnante;

ne l<a> (ventre) virgin(ale), descieso per virtude

del Spir(i)to, (in la madre,) per la gratia inobumbrante;

se veramente ello ebbi pene crude

65

da li giudeï, et ch'el fusse quello

che li propheti dice(sse)n dar salude.

Stando, li santi, per vedere el fello

Maximïano, su la piaça, attenti,

dil tempio d'(e ) Iove, parvegli un çoiello. 

70

O quanto riesi li animi contenti,

lö indicibil(e) dono destinato

da Dïo grande ad li homini serventi!

Il venerabel Giovàn(ne), consecrato

prè(tte) di xpo, chi sepeliva assai

75

corpi beati, se fe'(ci ) palentato.

Non se scopriva prima, per li guay

dati ad li iusti da li renegati

executor(i) del rio che fusse may.

Santo Cornellio papa, in li atterrati 

80

luogi, stase(v)a, per far confortamenti

ad xpiani, per tutto dissipatti.

Incominçò, (es)sendo tutti presenti,

Giovàn(ne), con fermo tenor(e), de parlare:

pander misterij de xpo ad le genti.

85

Decent(io), tochà'(to) per lo digno arengare,

disse al dottore Giovanne: "O messere,

di'-mme che cossa è xpo con el Pa(d)re!"

Presto risposi: "O nuovo cavaliere,

molto animoso te fai ad la entrata!" 

90

"-i tu, Segniore, il quale habia ad temere?

.

Non te turbare, o Padre, de la fatta!

.

Ad te dimanda", disse, "el supplicante;

perché, tal causa,^ (n)on è da ment(e) <'n>durata.

Avemo entes(o), da gente predicante,

95

che non è vera l'(a) adoratïone

fatta ad le ymagin(e) d'(e) Iove fulminante.

nui le adoràvem(o) con altre legione

de sculpti deï; ma, hora, entendiamo

che, sença senso, sonno, tal fictione.

100

Xpo yhesù, nuï desideriamo

bene sapere, s'El veramente

Dio perpetuo; e, per questo, caminiamo.

Non son venuto, col frate(llo) presente

mïo diletto, Germano, per fame 

105

de aquestar robba, (n)e segnioria potente!

Solo salute di l'Etern(o) Reamme,

ne sïa data, con la ritta fede;

et renegar(e) le mal-trovatte tramme!".

A-, 'l du(tto)<c> Giovàn(ne), -la, digna di mercede, 

110

affectïon(e), tòi tanto peregrino

con allegreça: () ie mostrò la fede

ove el mançavä; ove il padre, inchino,

.

li dui frate(gl)i condussi ad habitare

sieco, in amor(e), (per) dui anni, co(n e)l latino.

115

Oltra dui anni, tri mesi, co(n e)l pa(d)re,

se dimorò<ron>, quella compagnia;

sempre emparando, la fede,^ (d)a adorare.

Nel primo annö, ogni pagania,

fuora di mente, paròron(o), (i) devotti. 

120

Servi de Dio, batteçati in fe'(de) pia;

molto, in çeçunio, erano derrotti;

sì che smortitti pare(v)eno in colore.

Per la citade, ensegnaven(o) li indotti;

per suo mezo, lassato fu lo errore 

125

d'(e la) ydolatria, per molti convertitti

ad yhu xpo, con, pien(o), cuor, de amore.

Poi che fornitti furon li anni ditti,

al pa'(dre) Giovan(ne) dimandòron licentia

de ritornare ad la patria (ben) peritti. 

130

Non ie la volsi, il vèggio, di prudentia,

con pertinacia, negar(e); ma, piangendo,

per grande amor(e), lassò la luor presentia.

Disse, lo padre: "Andati dispergendo

il bono odorë, o figliuoli cari,

135

del vero Dio!". Basògli ben(e)dicendo.

Principiato il camino (<i> dui, <a> pari),

disse, Decentio: "O, volesse il Dïo

vero che nui non se troviamo avari

del dono avù'(to) per summo precio pïo! 

140

La nostra gente possiam(o) convertire

ad adorar yhù com(me) tu fai ^ et ÿo!"

Disse Germano: "Non te sbaguttire!

Tutto, il Segnior(e) farà perfettamente,

se il Suo don(o) non av(e)remo ad impedire".

145

Entròn(o), li sant(i), (i)'n una terra scredente,

che "Saturniana" era nominata,

(per)ché ydolatrava ad Saturno insipiente.

Quand(o) vederon(o) tal cativa bugatta,

li dedicati al culto benedetto 

150

del vero Dio, cridor(o)no ad la brigatta:

"O mentecatti, o senza alcun(o i)'ntelletto!

O sciaguratti, o gente bestïale!

perché adorati (vui), êl demon(io) maledetto,

quello che spetta al Re Celestïale, 

155

de l'universo, solo Crëatore?

Paçi da ceppo, (da) setti! ^ (ad) ^ Homo infernale!

(presto) Risposino, li stolti, con furore;

de que'(gli) témpij, ministri indemoniati:

"Quale è, quel Dio, del tutto, Causatore?" 

160

Li santi, ad quegli, con volti irradiati,

testificor(o)no: ^ "El iè Uno Potente

Principio! (chi) Regna so'(pra) i Celi (et) beati;

ha generato de Sé, eternalmente,

Verbo et Figliuolo, poi fatto Humanato 

165

per lo Suo Spir(i)to: de Vergen(-madre), nascente".

Poi che fornito fu lo intemerato,

de' santi ^ huomin(i), parlar di brevitate,

furon(o) priesi ^ et, un(o) con' l'altro, ligato,

posti in pregion(e), più scura cha, tocate 

170

da la caligin(e), katen(e) ruçenente.

Con festinantia, màndeno ambassate

ad Maximianö: "O Segnior valente,

sappïj: dui avemo in la pregione

(per)che desprèçeno el culto de le gente.

175

Fa'-nne avisati de la tua ragione,

determinante ciò che habiamo ad fare:

Nui serviremö ad tua iussïone".

Manda, il Superbo, questo tal parlare:

"Voglio che posto ie sia ^ una lectura, 

180

che düe parte ie ^ habia ad assignare:

o, comme amici, fàcino cultura

ad nostri Deï, forti e prosperosi;

o sien morti con pena molto dura".

Li ambassatori, fatti gaudïosi, 

185

vengon(o) dicenti, ad li ministri brutti,

tutto il mandato contra i glorïosi.

Venni lo çorno, expettatö ad tutti

cani crudeli, di fare il cruciato

contra i 'nnocent(i), chi in mezo furon dutti, 

190

'nançi la statua dil Sol(e) fabricato.

Ditto ie fu: facessin(o) riverentia;

un(o), con' l'altro, fu presto inçenochiato;

de süa bocha, piena de prudentia,

questa oratione ussì patentremente 

195

– notàtila, vui, car(i), con (tuta) diligentia! –:

"O Dïo ^ eterno, chi,^ ad ogni servente

iusto, monstrasti immensa largitate,

fa' ch'el Tuo Nom(me) se temma, de presente!

Sïa speçata, con velocitate,

200

questa perversa fabricatïone,

dal(o) Demonio trovata in falsitate!

Sïen cavati da l'(a) illusïone

li scelerosi homini adoranti

la crëatura che non ha ragione! 

205

Tu solo habïj laude con canti

da la fattura ch'(e) hai compaginato!

Rimangano sconfitti (tutti) li arroganti

(i)ncontinenti!". Fornito il bel dittato,

per mille peçe, quell'(o) ydol(o) solare, 

210

nançi dil popul(o), fu spulveriçatto.

O, rabïata (troppo) pacìa populare!

Furon di novo, (l)i santi, religati:

tratti in le carcer(e), per (suo) bene operare!

Poi furon messi in terra: strassinati; 

215

con dur(e) maçe di ferro et molti sassi,

de parte in part(e), più che pepe, pestati.

Oratïon(e), faceveno, luor, lassi:

"O Dïo dolce, sie nostro adiutore;

poi faça, l'uomo, de nui, molti strassi". 

220

Quando percossi furono in furore,

non li potendo, (l)i paçi, far morire,

li rimetter(o)no in (lo) carcere et fetore.

Molti dil popul(o) diceven(o) con ire:

"Grande, è, lo Dio, di questi boni amanti; 

225

che non ie lassa, in tant(e) pene, smarrire!"

Ad la pregion(e) vegnieveno, observanti

quel(lo) che, afflitti, dicessen in secreto.

De sua bochä, ussiva laude et canti;

non già pare(v)a che avessino ad dispetto, 

230

dat', i martir(ij); ma, dolce medicine,

ie parechiassen(o), con gaudio et (con) deletto.

Molti, doppòï – non conpiacentine,

ma fortemente –, xpo, bon Segniore,

présino âmare, indutti ad tal dotrine. 

235

Quand(o) passato fu 'l(o) meço de l'horrore

nocturno, (l)i santi présino riposso

de lo dormir(e), per gratia del Signore.

Sença che l'usso fusse tacto o mosso,

ecco Cyrco appàrvegli (i)'n visione. 

240

Dìsse(gl)i: "Suso! Levàtivi dal dosso

queste catene! I'(o) ho (i)'mpositione,

dal visto Dïo, farve liberati

da li ligammi, et da questa pregione.

De lo martir(io) sereti coronati. 

245

Per via ritta, prendeti ad caminare!

La (vostra) patria, per miglior causa, lassati!

Ad una terra, posta sopra il mare,

vui, andaretti: Pésaro se dice".

San Cyrco, chi dcon(o) fui da altare, 

250

furon(o) prompti, li fanti, ad la felice

directïone fatta dal bon messo.

Levoron suso;^ e(t) ^ ogni ligamme et lice

non ie ^ empeçava che (non), liberamente,

da la pregione (a parte li invi(t)ati 

255

ad Dio bono) ^ andasseno (i)'ncontinente.

.

La devotissima ^ oratione, grati,

de compagnia, diceveno in camino:

"O Crëatore, per Te siamo tratti!

Tu chi formassi il giorno et lo suppino  

260

aer(e), da le tenebre, fuscà'(to), Tuo raço

manda ad li servi (i)'n süo ^ adiutto fino!".

Fatto lo çorno con optimo viazo,

vienni ^ uno incontra ad li santi con fede,

che se profersi con (tuto) bon<o> coraço. 

265

Era fugitto da Roma; et rechiedde

che non riffùtan(o) la sua povertade,

po' che, bona, ie sarà, Sua mercede.

Maximïano, per sua crudeltade,

fatto fugire lo ave(v)a con paura. 

270

L'(o) acceptòrono con alacritade;

lui li condussi, sença alcun(a) sciagura,

ad la cità(de) di Pesaro; lo quale,

vedù'(to) da' santi,^  ie fe'(ci) mente secura.

.

Se fécin(o) la croce, et dìsseno:  ^ "O,^ Equale 

275

in Tre Persone, Summa Deitade,

da'-nne ad soffrir(e), con l'an(i)ma rationale,

tutto che porgia lä impïetade

de l'Inimico del Ben(e), confinato,

con suoi sequaci, in fiamme interminade!". 

280

L'(o) allogiamento ^ ébbino (i)'n luocö apto

ad ogni santo parlar(e), ne la casa

d'(e) una védo(v)a de cuore amaëstrato.

Lei, syriaticä, era persüasa

da' xpïani non abandonare 

285

lo iusto xp(o), con carità non rasa.

Era (i)'l destrettö, ove (i)'l dimorare

la donnä ebbi, ditto "Potentino":

già se cominça il forte raggionare.

In quel(lo) tempo giudëo,^ ogni meschino 

290

ydolatrante stase(v)a di brigata:

non se guardaven(o): tuti ^ era(no) ^ ad bottino.

Li dui frate(ll)i, de la mente infiammata,

diss(e)<a>minaven(o) la via da tenere.

Molti – <'l> credéveno! ^ –,^ entrand(o 'n) bona strata, 

295

lo, primo, ditto Decentio, (i)'n suo pa(d)re,

ad una voce, elèssino, et pastore:

vesco honorato, digno dä alçare.

Priesi lo pondo per divin(o) timore,

non per superbia; et, lo suo fratello, 

300

feci diacono: il popul(o) fu megliore.

Tarso scelesto, proconsul(o), rebello

di Yhesu Xpö, era, (i)'n quellä hora,

per sua sorte, so(p)r(a di) Pesoro, novello.

El fu citato da (la) voce canora 

305

andare ad Roma, per render ragione

ad lo imperante di süa dimora.

Gionsi, il pervers(o): fatto examinatione

del suo regger(e), rimasi troppo bene;

onde, per gloria, feci accusatione: 

310

"Sappij, Segnior(e), ch'el populo che tiene

lo tüo servo, ad tuo ^ honor, diretto<re>,

fatto së ha uno vesco chi viene

da longa via, et è adoratore

de quel(lo) Xpo chi fu morto et sepulto. 

315

Non l'ho potu(t)o ritrar da tanto errore!".

Maximïan(o), como animale stulto,

presto, commanda, che, dillanïato,

sia chi, ^ ad Iove, non renderà suo culto.

Tars(o), sollicito, poi che fu arrivato 

320

dentro (di) Pesaro, feci presentare

(il) Vesco ^ et dïaco(no),^ et dissegli adirato:

"Od esperti(ssimi) del vostro conversare,

uno dei dui faceti di presente:

adorà'(ti) Iove! O(ver) farò-vi stentare".

 325

Li boni servi del Supern(o) Regente,

sença pavura del superbo cane,

disseron: "Ad tua posta, fa' (ciò) ch'(e) hai (i)'n mente!

Nui non volem(o), per queste ymagin(e) vane,

fatte di pietra, o(ver) de cossa creata, 

330

lassar il Dio de le creature sane".

Feci precet(to), quell'(a) anima ^ obstinata,

ch'e' dui frate(ll)i,^ ascostamente, di notte,

fuora di Pessor(o), fornissen(o) l'andata;

con deputa(t)i tormenti, et dur(e) ballote, 

335

je fusse prèsso ^ ogni nervo et giontura;

et, con le pietre, tute l'(e) osse rotte.

Li corpi luoro, sença sepultura,

non ie lassassin(o) sopra de la terra;

ma li abissassin(o) nel mar(e) senza cura. 

340

Non altrament(e), la gente che sempre ^ erra,

feci cha detto haveva quel marasso.

Furono morti;^ e, pöi,^ il mar ie ^ afferra

senza dimora: li giettò ad un sasso,

in pe' dil monte, et ad costa d'(e) un rivo, 

345

"Gellica", chiamà'(to); et ecco il suo passo:

Lo sequent(e) giorno, per divin(o) motivo,

(tuto) il processo fu noto ad pesaurése.

Tarso, dal popul(o), fu, del viver(e), privo;

trenta dî suoi cavalier da defese 

350

furon squartati; et, per terra, giettati

alti palacij,^ e(t) ^ annetato il paëse.

Li xpiani, li santi ritrovati,

con grandi honor(i), meterono in çentili

sepolcri, de bel marmor(o, ad dui) preparati. 

355

Fuor(a) di la terra, sonno, questi çi(g)li;

in santo luoco di Camaldulese:

mon(a)ci da bene; di Romualdo, fi(g)li.

1. Poi, 30; in rastremazione aristocratica. 31. S'ipotizza una base litotica DECET (la -s sta, miniaturizzata, in interlineo); mentre, la pan-settentrionalità di basò, 136, si rastrema nella settentrionalità occidentale (più esattamente, lombarda) di vèggio, 131 (< VET(U)LU > VECLU). 91. Al posto dell'inerte attualizzatore, si potrebbe ipotizzare un milanese (cfr. Rohlfs, § 549) -t: prolettica ènclisi soggettuale morfemizzata. Ma, forse, il verso ("Séi..."), anticipa, semplicemente, in NUM..., il seguente invito. 92. Il crudo departicipiale di fari allude a 87-88. Lo dimostra la, motivata, riverbalizzazione dàtane a 101-3. 110. Per probabile contaminazione d'un meteplastico *duc(o) (rispetto al "Ducha" di 27) col "dottore" di 87; se non a prolessi sinonimica (lo farebbero pensare il "dutti" di 190, l' "indutti" di 235) del "messo" di 252; a tmetizzare, comunque, l'articolata causale ('in risposta a [tanta]...'); fra la quale, ed il suo referente sostantivale, s'interpone, a sua volta, la connotazione consecutiva (ritorna il rimante di 25, poi a 268) di questo. 113. 'condiscendente' ("cernuus", in effetti), 'amorevole'; attuante l'invito ad Amore del II dell'Arcadia: "...che ti dichini a farmi compagnia". 256. "...in Continente" (ma vedi 324), se "de Anglia" (53): "la patria" ("viene", infatti, "da longa via", 313-14) alla quale "dimandòron", bensì, "al padre Giovanne", in 128-132 (ed ottennero), "de ritornare" ("O, volesse...Dio,/ [...] la nostra gente, possiam convertire...!", 138-42); ma, senza, pare, raggiungerla, si fermarono "in una terra... / che 'Saturniana' era nominata" (146-48); donde, incarcerati, li trasse, appunto, Ciriaco; il cui "la vostra patria...lassati!", 247, potrebbe valere 'rinunziate a raggiungere'. 274.'...li rassicurò'.

Costante coerenza dantesca, per contro, nell'esplicita Passione [vi s'accennava supra] de Decentio et Germano di 38v-39r; dove, nonostante l'allineamento su due colonne, che frange irrazionalmente i versi, le terzine sono scandite dagli stessi segni paragrafali in minio del nostro testo; sfraghisticamente condivisa, essendo, comunque, da tutti i capitoli del frate (marciani come riccardiani o braidensi) altresì l'irrelazione dell'ultima B (o assenza del "verso relevado" del Baratella), relata, invece, proprio (e solo) – s'è visto alla n. 4 dell'Introduz.; dove si dà altresì lo stretto omologo dell'anomalia del bi-terzetto precedentela – nella nostra Leggenda!

L'ulteriore fattore congiuntivo fra il "Frà Filippo" marciano (dimessamente intrusivo), il riccardiano-estense (cosciente, per contro, d'una sua autonoma dignità), e quello braidense, consiste, peraltro, nell'iterazione bilingue. Come, infatti, l'avversione alla stampa occorre, ad es., sia nel Marc. lat. III 170 sia nell'it. I 72 (entrambi, 1r); quella ai Francesi, sia nel 'verso' di quel lat., sia nell'it. I 70, 3r-4r; mentre, dei due componimenti (Il ricetto iocondo e l'Ad peritissimum...graecae orationis atque latinae) esaltanti il ritorno di Andrea Morosini dal capitanato di Cipro, che il Novati rinviene nel 1213, "il secondo è quasi una semplice versione del primo" (pp. 121-22 n. 3), e la "sfuriata" ...contra i goliardi del 71v del Campori "egli tradusse anche in latino" (p. 127 n. 4); così la nostra Legenda è preceduta (4r-7v) da una prefata (s'è visto) Sanctorum passio; e le tien dietro, dopo la Sequentia di supra, un Innus, nell'ordine, ad essa affine ("Innum, fratres, dulci tono,/ pangant ora, mentes ovent:/ festus ds, martirio,/ consecratur: gentes adstent"), ed un Epigramma in Germanum et Decentium, "quorum corpora sunt, Pensauri, condita honore magnifico"; ed, al Libellus contra avaros, 35r, segue una Expositione vulgare de li predetti versi., 35v-36r; mentre, al Sopre il sepolcro del richo avaro, 37r-v, una Expositione per vulgare de detti versi ("Non furono avari, ma veri poveri, Decentio et Germano; de' quali séquita breviato martirio", fungendo da tràmite, fra Optima regula de conoscere avari e detta Passione). Inoltre, se quell'it. I 70 è in distici baciati, altrettanto lo sono, nel braidense, le Expositioni del psalmo Chi habita, de la Ave, Maria, e de la Salve, Regina, in cui ritorna lo sbaguti(t)re ("...tut'i spiriti nieri - farà-lli s.", 201-2) 'laurenziano' del 143 della nostra Legenda;[6] nonché la relativa Antifona devota, "Dio te salvi, de(l)i Cieli, alta Regina", 126r-127v.

S'accennava alle numerosissime ipermetrie – emblematica, l'epentesi, di potuo, 316, in "potuto", e di deputai, 335, in "deputati"; mentre, in 356/358, si normalizzano, in "çigli', rispettivamente, e "figli", i corimanti di "çentili" 354; cui, d'altronde, s'aggiunge, in fase, miniantemente, revisoria, il ritocco, in "-e", del "como" di 317; in "-j", del "Camaldulese" di 357; che, eccezionalmente, ripete, oltre al secondo e terzo rimema della terzina precedente, anche il primo, fatto ultimo; forse per evitare una 'baciata' con l'isolato conclusivo, simile a quella che sarebbe derivata dalla 'posposizione' di cui all'inizio; la quale avrebbe aggravato l'iterazione rimica 'a cornice' del pattern canonico, contro cui sembra, appunto, reagire la presente escogitazione. Che si tratti di approssimativi maquillages toscaneggianti dell'Umgangssprache lombarda dell'autore, lo proverebbero le occorrenze in cui, questi, erano inesperibili, o restarono, di fatto, inesperiti. Particolarmente òrrido, comunque, per un vagheggiatore delle non lontane Prose, il sistema verbale. In cui, accanto allo staseva 81 e 291,[7] che Rohlfs 551 trova nell'a. veneto e nel romagnolo, s'affianca lo stasessino 46 del quale non mi constano riscontri; laddove fosseron(o), 61 rientra – rispetto, sia a dicessen 228 [da 'desigmatizzare', in 67], fornisseno 334, parechiassen(o) 232, andasseno 256, sia ad avessino 230, lassassino 339 ed abissassino 340 – fra le forme bi-desinenziate del Tristano Riccardiano; cui fa riferimento Rohlfs nel § 560; che, nel 565, all'analogo fenomeno del perfetto – qui, paròrono 120, dimandòron 129, cridòr(o)no 151, testificòr(o)no 162, levòron 253, acceptòrono 271; accanto a vedéron(o) 149, disseron 328, metérono 354 e rimettér(o)no 223; piège pseudo-singolare dandosi a 117 –, fa seguire la sostituzione, anziché l'aggiunta, desinenziale; altresì presente nella Legenda, mediante entròno 146.[8]

Luor(o) (9, 133, 218, 338; con quella finale, allineata nell'ultima occorrenza, esponenziata, in micron, nella prima), peraltro, accanto a nui (98, 101, 139, 220, 329) e vui (2, 16, 33, 196, 249) – dui, 114-16, 137, 174, 293, 324, 333 e 355, con femm. due in 181, è, invece, altrimenti, d'altronde, da tri 116, anche toscano –, potrebbe far pensare – alla luce di Rohlfs, §§ 74/79 – ad una – come dire? –, non improbabile, transconventualità del frate, ulteriore a quella accertata. A ciò potrebbe indurre, non tanto il facéti 25 e 324,[9] quanto quel che precede al primo. Se la mia 'distinctio' è, ivi, legittima, v'avremmo, infatti, un rarissimo (Rohlfs, § 486, lo trova solo "nel dialetto dell'isolatissimo paese montano Gallo di Caserta") relitto di co < quod pronome relativo. Mentre, se la cediglia di "ie mostrò la fede / ov'el mançava", 112-13 ("li dui fratei condussi ad habitare / sieco", 114-15), rappresenta, in effetti, la parte bassa d'una g, v'avremmo il tipico fenomeno lenitivo, il cui confine settentrionale Rohlfs, § 257, fissa nell'isoglossa Monti-Albani-Ancona. Sospetto, apparendo altresì – accanto all'iperbato "vui..., nati chi setti..." , 16-17; nonché alla prolessi "...furono prompti...ad la... / directïone fatta dal bon messo / san Cyrco chi dcon fui...", 250-52; più "...Yhu, chi, qua, vede", 27; anzi, "...chi fu morto", 315; "Sapij...ch'el populo...fatto se ha uno vesco chi viene...", 311-14; con altro a n. 9 –, sulla scorta di quello stesso Rohlfs, § 486, il chi = quos ("...aveti in saldo scutto") di 5.

Di, giunte al GDLI (che, da Boccaccio, Boiardo..., ha bensì il ruggenente di 171; non, peraltro, l'annettare, 'ripulire', di 352), il nostro frate ne propone anche di tipo, diversamente dal bugatta di n. 9, retrodatante: quale, non contando lo smortire di 123, il sup(p)ino, 'destinato al riposo', inarcantesi da 260 a 261 ("Tu chi formassi il giorno, et lo suppino / aere, da le tenebre, fuscato"; nemmeno qualitativamente indegno della "bianca mezzanotte supina,/ il suo sospiro melodioso, esala" di Borgese – "Povere notti supine!", invece Gatto –). Mentre "...se feci palentato", 76 (scl.: *palantare [< PALAM] X palesare?), s'auto-chiosa nel seg. "non se scopriva prima..."; così come "non compiacentine", 233 – avverbializzazione di -ino diminutivo –, in "...ma fortemente", 234; se compiacente 2, presso quel GDLI, vale 'débole'; "...provati ad mano / dal...papa" (8-9), invece, s'avvale dei "magistrati di maggiore importanza...si davano a mano, a piacimento del papa", di B. Segni, Storie fior.: Vita di Niccolò Capponi, ediz. Milano, 1834, p. 73, ivi – dove, "avantagiata [qui, 13] e buona", è anche una salsa – s.v. mano.

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[1] Un calligrafo milanese: estratto da "L'Ateneo veneto" XXXII (1909) 1 (Genn.-Febbr.).

[2] Ancora di Frà Filippo della Strada: un domenicano nemico degli stampatori, "Il Libro e la Stampa" V (1911) iv-vi (Luglio-Dic.), pp. 117-28. 

[3]  "Demonis instinctu, stampas venisse probabo".

[4] "...ut, fera pestis / stamparum, toto, iaceretur, in orbe: pudenda!/ Nam mores violant nimpharum; virgineumque / florem mundicie defellunt; carne tenella / etatis prime iuvenum, quia turpia discunt,/ pressa per has stampas, que nil linquunt verecundum./ [...] Naso magis legitur, stampatus! [...] Flores Francisci Petrarce luxuriosi,/ quis non, aut minimo precio, sibi querat habere?/ [...] (Vhe, liber immundus!) Centum millena, qui<s>, stupra,/ contra naturam, spurcissima, sculpta, Tibulli?/ Sic perit omnis homo, qui, furibus omnis honesti,/ parcit, vel credit stampantibus; insidiose,/ ut totum carpant aurum, luxuque sepulti / et vino, maneant, qui sculpunt queque scelesta" ("Rident, stampantes; et, sine fine, lucrant nummos, meretricibus attribuendos"); in cui immane l'insinuazione che "li dacii del Commune" s'impinguerebbero "per malvasia vendutta ad impressuori", giacché, "li stampatuori", "li vedon(o) esser(e) valent(i) bevituori", contenuta in un asimmetrico dittico polimetrico del Marc. it. I 72, 1r, che il Segarizzi di n. 1 dà, in calce, alle pp. 8-12; così strutturato: prima anta: ABAB, CDCD, EFEF; GF. // ABA, BCD, CDB [cfr. infra], DBD, CDC, ECE; seconda: ABAB. // ABA, CDC, EFE; alle quali seguono sei 'dantesche' (quattro, quelle con le quali, nell'it. I 71, "giustifica la versione d'un Quaresimale", ivi 16; due, le premesse al Fior di virtù dell'it. II 133, ivi 17; otto, le presentanti, a c. 66 di detto riccard., ad Andrea Morosini, la versione del De senectute: tutte non 'chiuse'; secondo una prassi pressoché costante, nel frate; che rileveremo disattesa proprio, ed esclusivamente, nella nostra Legenda; che, all'eccezionale 'isolato' finale, fa, per di più, precedere quanto sopra corsivizzato): FGF, GHG["...te ne farò derrata da carbone"; "...compra libri in corba da carbone", D], HIH, ILI, LML, MNM; quindi, OPO, QRQ, RSR, TUT, UVU; una quartina monorima; ed, in fine, sedici distici baciati: unica forma impiegata, per contro, nel Conseglio da appigliare ad Françesi dell'it. I 70, 4r-52r, ivi 14-15; su cui ancora, infra, a testo.

[5] "Ista lues surgit noviter, turpissima, totis / urbibus".

[6] "Non te s.!"; posto, invece, il "di paura sbaguttisco" di quel 'Ritmo', 18b; che l' 'Anonimo romano', presso Contini, LI d O, p. 510, icastizza in "Lo tribuno, sbaottito, staieva colli uocchi aizati a cielo".

[7]  Ma altresì staveno 58, come ensegnaveno 124, faceveno 218 (da fieri, invece, "...s'el ie [anche di 112, 131, 180-81, 192, 226, 232, 254, 268, 274, 336, 339, 343] fi(ce)ven fatti / dechiaramenti...", 59-60), "Non se guardaveno" 292, dissaminaveno 294 — nonché adoràvemo 98 —; analogamente a pareveno 123, credeveno 295, vegnieveno 227, diceveno 224 e 258; con, del pari, màndeno 172 e desprèçeno 175, che Rohlfs, §§ 139 e 532, trova nella Toscana meridionale e nel Belli; ancorché cànten sia, alla n. 6 di quel 532, milanese; mentre, in fruisseno 12, -sko- >  -sce-, consente, non meno, allo stesso esito fonotipico settentrionale (cfr. Rohlfs, § 265) di ussiva 229, ussì 195, usso 239, lassa 226; presente, d'altronde, come in strassinati 215 (REW 8837), così pure in strassi 220 (ivi, 2693); laddove, a nord, punta anche il "...che nui non se troviamo avari..." 138-40.

[8] Anzi, "...présino...": sia "... âmare", 235: servile incoativo, in tele-polyptoton con ...prendeti ad caminare 246; sia, 237, "...riposso"; "se fécino la croce, et dìsseno", 275; ébbino 281, risposino 158, elèssino 296-97.

[9] Nella variante metafonetica, Rohlfs lo dà, nel § 531, all' "antico emiliano", nel 546, al "calabrese"! A favore del primo corno del dilemma, potrebbe militare la serie 'boiardesca' teneti 3 e 7, honorati 23, adorati 154 e 325, aveti 5 ed habiati 18, d(ov)êti 30, set(t)i 17 e 157, sereti 245, andaretti 249, lassati 247, andati... 134, notati... 196, levati... 241 ("Diceti, stelle...", il 'mandrialis' 104, v. 31); mentre, ad [egli] feci 41, 76, 274, 301, 310, 321, 332 e 342, ebbi 38, 50, 65 e 288, fui 250, sparsi 51, risposi 89 [quindi, risposino 158], condussi ... 114, volsi 131, venni 188 (ma vienni, 37 e 264 ["...viense" — con, addirittura, specifiche occorrenze dittongali anche in arizotonia — è colto da Rohlfs, § 86, nel montalese], come ...sieco 115), gionsi 308, rimasi 309, "... se profersi...", 265, ma, ad un tempo, "rechiedde / che non riffùtan(o)...", 266-67, s'oppone il tipo "Tu chi formassi...." di 260, vastamente (Lazio, Umbia, Marche; ma altresì — rispetto all'ipotesi di sonorizzazione post-nasale, avanzata, infra, a testo — a. lombardo ed a. veronese, Rohlfs §§ 568-69) esteso; nonché tòi, 'accoglie', "con allegreça" di 110-12. Ivi punta, d'altronde, altresì la bugatta di 149; se il derivatone bugattara ricorre nel Bertoldo e Bertoldino di G.C. Croce, ed. Emery, Firenze 1953, p. 151; ancorché il lemma, che il REW, 6852, riporta al pûpa in accezione entomologica, ricorra anche nel genovese (bügata) e nel piemontese (büata). Qui, "cativa b.", icastizza efficacemente l'idolatria saturnina. Dittongati, risultano, comunque, col pronome di n. 7, sia "...s'El [< '...s'el iera', 62] veramente / Dio perpetuo", 102-3 ("El ...", 162-66); sia "O quanto riesi li animi contenti / lo indicibile dono...!", 71-73; sia "furono priesi...", 169, sia "[Io] priesi ...", 299.

 

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