Philomusica on line :: Rivista del Dipartimento di Scienze musicologiche e paleografico-filologiche

Elena Ferrari Barassi – Antonio Delfino – Laura Mauri Vigevani

 

Ricordo di Oscar Mischiati

 

Nell’aprile 2004, mentre si trovava nella Bergamasca per una delle sue innumerevoli consulenze di carattere organario, è prematuramente scomparso Oscar Mischiati.

In sua memoria sono apparse pubblicazioni e sono stati promossi concerti. Con questo intento nell’ottobre 2004 Michele Bosio ha tenuto un concerto all’organo cremonese di San Luca.

È a Cremona l’ultimo strumento di cui Mischiati ha seguito il restauro dal progetto all’inaugurazione, l’organo barocco di Sant’Omobono.

I prossimi numeri delle riviste «L’organo» e «L’informazione organistica», a lui dedicati, conterranno biografia e bibliografia.

Nell’esprimere il cordoglio di Facoltà e Dipartimento per la sua perdita, in questa rivista abbiamo scelto di ricordarlo in modo personale.

 


 

Incontrai per la prima volta Oscar Mischiati a Viadana nell’autunno 1965 in occasione di un raduno dei soci della Società Italiana di Musicologia, nata poco più di un anno prima. Erano presenti, accanto ai soci più anziani (fra i quali l’allora presidente Guglielmo Barblan), parecchi musicologi di varie età e alcuni quasi ragazzi, come appunto allora eravamo fra gli altri Oscar Mischiati e la sottoscritta.

Fin da allora fui colpita dal suo atteggiamento brusco eppure gioviale, composto eppure incline allo scherzo e alla facezia, e destò ammirazione in me il suo forte, evidentissimo spessore culturale.

In seguito non mancarono altre occasioni di incontro, nel corso di convegni e di assemblee legate a quella e ad altre Società; e l’impressione da me ricevuta al primo incontro fu ogni volta confermata, anche grazie al piglio sempre spontaneo e giovanile che Oscar, finché ebbi occasione di frequentarlo, non smise mai di possedere.

Purtroppo negli ultimi decenni le occasioni di incontro si sono fatte più rare; tuttavia ho avuto ugualmente modo di tenermi in contatto, diretto o indiretto, con lui, complici le ricerche in campo organario di alcuni laureandi da me seguiti; spesso li ho inviati a lui perché ricevessero suggerimenti e lumi sicuri. Queste ed altre circostanze mi hanno anche indotto a tenermi al corrente della sua attività scientifica, notoriamente di altissima qualità. La conseguenza più evidente è che, nel praticare talvolta campi d’indagine affini a quelli da lui frequentati, ritenevo (e tuttora ritengo) che sia d’obbligo ricorrere ai suoi scritti, e indurre i miei discepoli a fare altrettanto. Ovviamente tale mia convinzione è condivisa da molti colleghi.

Così il nome di Oscar Mischiati, si tratti di studi storici, bibliografici, organologici e soprattutto di lavori incentrati sull’arte organaria e organistica, rimbalza fittamente in citazioni testuali, bibliografie e note a piè di pagina di innumerevoli lavori musicologici prodotti nelle cerchie più diverse.

Fra l’altro la "scheda Mischiati" per la catalogazione degli organi ormai è divenuta un modello classico, irrinunciabile per chi si accinga alla descrizione di quei complessi e problematici strumenti; e chi non possa o non voglia attenersi radicalmente a quello schema, tuttavia ambisce pur sempre a riprodurne di massima l’eccellente impianto logico e sistematico.

A parte queste competenze specifiche, la componente più vivida del costume scientifico di Oscar Mischiati è sempre stata una vasta e profonda cultura umanistica. Immediatamente percepibile nella conversazione a tu per tu, la si scorge anche fra le righe dei suoi scritti, sempre concepiti entro un panorama storico e artistico di respiro più vasto rispetto a quello occasionalmente preso di mira.

L’attività di Oscar Mischiati ha spesso trascinato con sé quella altrui. Pur non avendo egli ricoperto posti d’insegnamento in veste istituzionale, ha ugualmente contribuito, accanto ad altri maestri, a formare una vera e propria scuola di novelli musicologi esperti di organi e di musica organistica. Anche a costoro ormai è possibile rivolgersi con fiducia per ottenerne un affidabile appoggio scientifico.

A proposito del coinvolgimento, da parte di Oscar Mischiati, di altre persone nella propria sfera di attività, viene naturale parlare della nota rivista di portata internazionale «L’organo», sua creatura smagliante; non c’è bisogno di sottolineare con quanta efficacia essa abbia dato voce a molti valenti studiosi del settore e in quale modo determinante abbia fatto progredire le conoscenze entro quell’area di indagine.

Si può ben dire che la prematura scomparsa di Oscar ci priva sì della sua presenza autorevole (e, a modo suo, amabile); non ci lascia, però, orfani della sua scienza. Finché qualcuno coltiverà la musicologia nei campi da lui prediletti, continuerà a raccogliere ciò che egli ha seminato con tanta genialità e con un autentico spirito di servizio nei confronti del sapere. Matureranno quindi, nella stessa scia, nuovi frutti, che perpetueranno il colore e il profumo di quelli già nati nel fecondo giardino di quell’uomo d’eccezione.

Elena Ferrari Barassi

 

Lo conobbi personalmente a Bologna alla fine del 1979 quando, studente di Musicologia, cominciai ad avvicinarmi ai tesori del Civico Museo Bibliografico Musicale (allora Biblioteca Musicale «G. B. Martini») dei quali era attento custode e divulgatore appassionato.

Intento a scrivere a macchina nel suo piccolo studio stipato di libri e di carte Mischiati poteva forse suscitare in un visitatore che, come me, si affacciava per la prima volta alla sua porta il timore di troppo disturbo. Ma il calore e la disponibilità con cui mi accolse, appena mi presentai, dissiparono ogni indugio. Immediatamente trovai ampia risposta ad alcuni quesiti che gli posi su partiture manoscritte (ero interessato ai mss. Q 38 e Q 39), che conosceva a perfezione e che alcuni anni dopo, nel 1985, avrebbe magistralmente descritto nel libro La prassi musicale presso i Canonici Regolari del Ss. Salvatore.

Alla luce di quanto mi anticipava dei suoi studi ancora in corso e di fronte alla mole di dati che era riuscito in poco tempo a mettermi sotto gli occhi, mi resi subito conto del livello superficiale e dell’inconsistenza delle mie domande. L’attimo del mio comprensibile smarrimento provocato dagli smorzati entusiasmi lo fece sorridere bonariamente. Non colsi alcuna aria di superiorità in questa sua espressione che, anzi, si risolse in un sincero incoraggiamento allo studio dei polifonisti a torto – come aveva più volte sottolineato – ritenuti ‘minori’.

La grande generosità nel mettere a disposizione il proprio sapere fu quindi l’aspetto che più mi colpì della personalità di Mischiati. In tutte le occasioni d’incontro che ci furono in seguito quella impressione si rafforzò.

In lui la scienza si accompagnava a quell’onestà intellettuale che gli permetteva di ammettere apertamente di non sapere una determinata cosa, di riconoscere uno sbaglio oppure, più prudentemente, di appellarsi a malincuore al beneficio del dubbio.

Durante il convegno su Ruggero Giovannelli nel 1992 mi capitò di averlo come presidente di seduta (in sostituzione di Agostino Ziino). A un certo punto della mia relazione, parlando del mottetto Cum beatus Ignatius di Victoria stampato nel 1572, mi guadagnai una pronta interruzione da parte di Mischiati, a causa di un brevissimo cenno sul testo liturgico per la festa di sant’Ignazio. Sosteneva l’impossibilità di riferirlo a sant’Ignazio di Loyola, poiché la sua beatificazione era avvenuta soltanto nel 1622. Benché non lo avessi specificato, intendevo sant’Ignazio d’Antiochia vescovo e martire, ma non ebbi la prontezza di rispondere e dopo un cenno di confuso assenso continuai il mio discorso. Soltanto in seguito, non ricordo se alla sera o il giorno dopo, gli feci presente la mia opinione e questa fu tranquillamente accolta.

Proprio in occasione dei convegni credo che si manifestasse totalmente la vivacità della sua profonda cultura umanistica oltre che musicale. Quand’era autore di una relazione, sempre ineccepibilmente documentata, sapeva (come pochi) contestualizzare storicamente quei documenti che sembrava si disvelassero soltanto a lui. Ma anche quando non era tra i relatori, la sua presenza come semplice uditore non lo frenava dall’intervenire ‘a caldo’ con la puntualizzazione di qualche particolare, in nome di quella maniacale esattezza dei concetti e dei dati che era una costante del suo modo di lavorare e in nome di quell’immediatezza e di quella spontaneità del dialogo culturale che talvolta poteva sembrare anche irruenta.

Come non ricordare, tra l’altro, la partecipazione al convegno di Cremona, sempre nel 1992, su Marc’Antonio Ingegneri e la musica a Cremona nel Cinquecento, in occasione del quale commentò alcuni documenti sull’attività della cappella della cattedrale, facendo emergere in tutta la sua eccezionalità la figura e il ruolo del cornettista Ariodante Regaini. Presso l’Archivio Capitolare da anni Mischiati conduceva ricerche sulle complesse vicende organarie del Duomo di Cremona, che avrebbero dovuto confluire in un ampio volume monografico.

Le trasferte cremonesi coincidevano con regolari visite alla Facoltà di Musicologia, che erano occasioni per scambiare con i docenti di materie affini ai suoi interessi pubblicazioni, impressioni e novità sui rispettivi lavori in corso.

Con la scomparsa di Oscar Mischiati non solo rimarranno incompiuti per chissà quanto tempo importanti capitoli della cultura musicale del Cinque e Seicento, ma si sentirà sempre più la mancanza del suo trascinante entusiasmo e della sua tenace ricerca per la conoscenza della nostra identità culturale.

Antonio Delfino

 

Rimpiango l’eccezionale esperto d’organi e di fonti storiche e musicali, l’appassionato studioso, l’amico generoso nel rendermi partecipe delle sue ricerche in corso.

Per chi non ha avuto occasione d’incontrarlo accennerò ad alcuni episodi, che possono abbozzare tratti della sua variegata personalità.

Durante un convegno sulla musica sacra postridentina, svoltosi a Cremona nel 1997, esponevo la mia relazione sui mottetti di Orfeo Vecchi. Oscar Mischiati era nel pubblico. Visibilmente interessato, balzò alla prima fila per seguire meglio e mi interruppe ripetutamente chiedendo e fornendo precisazioni su quanto andavo dicendo. Questo comportamento singolare mi divertì. Era una persona che viveva la cultura senza risparmio d’energie, con un traboccante entusiasmo che lo rendeva talvolta noncurante delle formalità.

Nell’ultimo anno più volte passò da me in Facoltà prima di andare in Archivio Capitolare, dove stava ultimando le ricerche per il volume, da molto tempo in cantiere, dedicato all’organo della cattedrale di Cremona. Donò sue pubblicazioni, tra cui l’Elenco delle pubblicazioni e delle consulenze di restauro organario, da lui stesso redatto nel 1996 a proposito della sua enorme mole di lavori. Allegramente presentava questo opuscolo di quasi cinquanta pagine, indicante monografie, articoli, recensioni... e consulenze di carattere organario, come l’inaugurazione di un nuovo genere letterario: l’autobibliografia delle opere. Mi consegnò anche un dattiloscritto di sei pagine, che ne costituiva l’aggiornamento al luglio 2003. Mi stupì questa preoccupazione di non lasciar disperdere nulla; pareva assolutamente prematura. Nessuno avrebbe potuto immaginare quanto, soltanto pochi mesi dopo, sarebbe risultata previdente e provvidenziale.

In quell’estate accennai al fatto che stavo per licenziare l’edizione delle canzonette di Cesare Borgo e Giuseppe Caimo, comunicandogli di essere sicura che avrebbe trovato materia per puntuali frecciate in una delle sue proverbiali recensioni, sempre ricche e mai risparmiatrici di critiche solidamente fondate. Con accattivante bonomia mi rispose che c’era un metodo per evitarle: si offrì di correggermi le bozze di stampa. Così, visto che il caldo torrido gli aveva imposto di rallentare i viaggi a Cremona, andai a casa sua a Bologna a ritirare le bozze corrette. In realtà si trattò di molto più che una correzione, già per sé utilissima nel palesare errori letterari e musicali che la consuetudine al proprio testo rende invisibili all’autore. Pochi correttori di bozze sono in grado di leggere i documenti antichi e di collocarli nel contesto appropriato. Darò un unico esempio, sufficientemente significativo. Nell’introduzione trascrivevo una lettera di supplica rivolta dal Caimo al cardinale Carlo Borromeo. Il musicista chiedeva che per ottenere un suo impegno a Monaco il cardinale scrivesse al «Reverendo Cardinale gran volta». In una seconda lettera ripeteva la domanda di raccomandazione al «Cardinale Gran vela». Avevo chiesto ad alcuni storici chi fosse questo cardinale, ma non avevo ricevuto risposta. Oscar Mischiati con molta semplicità mi chiarì che si trattava del potentissimo Antoine Perrenot de Granvelle, un personaggio che valeva la pena non trascurare. L’identificazione, a posteriori così facile (bastava aprire l’Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti alla voce «Granvelle»), mi aprì nuove piste. Mi accorsi che anche Orlando di Lasso era passato attraverso il Granvelle per arrivare a Monaco...

Nell’ambito del corso di Conservazione e restauro degli strumenti musicali nel giugno del 2003 insieme all’organaro Carlo Dell’Orto e ad alcuni studenti esaminavo l’organo positivo napoletano della nostra Aula magna. Sul primo ventilabro era stata individuata la scritta «G A 1833». Eravamo incerti su come considerare le due lettere, corrispondenti alle iniziali di nome e cognome, com’è di norma, o viceversa? Due organari napoletani di quel periodo indicati dai repertori corrispondevano alle due diverse possibilità. Mischiati con uno sguardo allo strumento liquidò la certezza dell’attribuzione: Gaetano Aveta, non v’erano dubbi.

Chi può vantare una simile esperienza?

Quante volte sono stati evitati o bloccati scempi al nostro patrimonio strumentale e documentario grazie al suo tempestivo intervento?

Durante la mattina che passai nella casa affacciata sui tetti della vecchia Bologna, in un’affascinante atmosfera di cultura materializzata in altissime pigne di libri sparse ovunque dove miracolosamente trovava in pochi secondi quello che serviva, mi mostrò in una scaffalatura ordinatissima i quadernetti in cui serbava relazioni e appunti sull’incredibile numero di organi che aveva visto.

Speriamo che questo tesoro d’informazioni, documenti, studi non vada disperso, ma sia adeguatamente collocato e reso fruibile in modo adeguato e sicuro, anzitutto per tutti quelli (musicologi, musicisti, organari, organologi) che erano soliti rivolgersi a lui.

Un impegno volto allo studio, alla tutela e alla valorizzazione del nostro patrimonio è il modo migliore per ricordarlo.

Laura Mauri Vigevani

 

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