Eleonora Rocconi, Recensione :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

 

Contributo di Recensione a cura di Eleonora Rocconi

 

 

JOHN G. LANDELS, Music in Ancient Greece and Rome, London and New York, Routledge, 1999

 

 

Nel campo degli studi classici, ben poca attenzione hanno suscitato in passato le problematiche relative alla musica, che pur fu una componente essenziale di quel mondo. L’esiguità e frammentarietà dei monumenti musicali, non anteriori all’età ellenistica in alcuni casi, a quella imperiale nella stragrande maggioranza,[1] hanno contribuito a radicare l’opinione che inutile fosse il tentativo di ricostruire le modalità di esecuzione sonora della poesia antica, limitando il campo d’indagine scientifica alle strutture metrico-ritmiche delle liriche e del dramma antichi e, in taluni casi, alla trattatistica teorica.

Gli ultimi anni, per fortuna, hanno visto un incremento degli studi in questo campo. Il convegno urbinate del 1985 intitolato La Musica in Grecia ha riunito per la prima volta specialisti del settore in campo internazionale e filologi classici, come Bruno Gentili, che proprio grazie ad interessi metrici si erano in più di una occasione avvicinati a determinate problematiche.[2] Da allora si sono fatti numerosi passi in avanti: per citare solo le tappe più importanti, Andrew Barker ha pubblicato due splendidi volumi che raccolgono in traduzione inglese il panorama pressochè completo delle testimonianze e dei trattati teorico-musicali in lingua greca,[3] Martin L. West ha scritto un pregevole manuale che può oggi considerarsi un punto di riferimento imprescindibile per chi voglia avvicinarsi allo studio della musica greca antica,[4] per non parlare del notevole impulso dato agli studi sugli strumenti musicali dai lavori di Annie Bélis[5] e di Martha Maas e Jane McIntosh Snyder.[6]

La fine del secondo millennio ha visto realizzarsi ulteriori iniziative degne di nota. Innanzitutto un secondo convegno internazionale su questioni musicali intitolato Music and the Muses: Public Performance and Images of Mousiké in the Classical Athenian Polis, svoltosi a Warwick, poi l’uscita di due importanti volumi dedicati alla storia della musica nel mondo classico: Apollo’s Lyre. Greek Music and Music Theory in Antiquity and the Middle Ages, ad opera del musicologo americano Thomas J. Mathiesen, e Music in Ancient Greece and Rome, per mano del classicista inglese John G. Landels.

L’autore inglese chiarisce fin dalle prime pagine quelli che, a mio avviso, sembrano essere i pregi e i limiti più evidenti del suo lavoro: in prima istanza, un’attenzione particolare è rivolta agli aspetti più ‘pratici’ della musica nelle civiltà antiche, soprattutto agli strumenti musicali e alle loro caratteristiche strutturali e performative. In secondo luogo la trattazione non è limitata al mondo greco, ma un ampio capitolo è dedicato alla musica nella cultura romana e alle influenze che su questa esercitarono le civiltà greca ed etrusca. La terza puntualizzazione riguarda l’impostazione del lavoro riguardo alle fonti, che l’autore sceglie di ridurre dal punto di vista dei riferimenti bibliografici (e ciò che manca più vistosamente al volume è proprio una bibliografia), presentando riassunta nel testo tale documentazione limitata, secondo le parole dello stesso Landels, «to the absolute minimum».

La parte forse migliore del volume è proprio quella dedicata agli strumenti musicali, in particolare l’aulós, cui Landels aveva già in precedenza rivolto la sua attenzione.[7] Accurata è la descrizione della loro struttura, alquanto numerosi in questo caso i riferimenti sia a fonti antiche (particolarmente interessante è il rinvio ad un passo della Historia Plantarum di Teofrasto che tratta la preparazione delle ance dalle piante di canna, dal cui commento scaturiscono considerazioni sullo sviluppo di tecniche diversificate d’esecuzione strumentale) che ad interpretazioni moderne (si veda soprattutto la sezione dedicata alle ipotesi d’accordatura della lira formulate in quest’ultimo secolo dagli studiosi), che l’autore riferisce e discute criticamente con grande chiarezza espositiva e pregevole intento didattico. Una certa attenzione è rivolta qui e in altre sezioni del volume alla terminologia specialistica, così utile nel chiarire alcuni aspetti tecnico-musicali ma spesso trascurata e mal interpretata dagli studiosi,[8] mentre i numerosi riferimenti iconografici sono risolti, dal punto di vista editoriale, in maniera ingegnosa attraverso l’uso di disegni ricalcati sulle raffigurazioni vascolari, i quali hanno permesso di isolare i particolari più interessanti e di presentare un più ampio numero d’esempi atti a supportare e a chiarificare di volta in volta le singole questioni affrontate nel testo.

Un argomento di notevole interesse che ripropone una vexata quæstio di vecchia data è quello relativo all’interpretazione dello strumento denominato plagíaulos, letteralmente ‘aulo traverso’, che Nicomaco[9] associa e un passo d’Ateneo[10] identifica con il phôtinx d’origine egiziana. Gran parte degli studiosi, tra cui West, basandosi su un controverso passo di scuola aristotelica del De audibilibus,[11] considerano il plagíaulos uno strumento ad ancia affine all’aulós, con la doppia ancia (tàs glóttas plagías) inserita nell’imboccatura ricavata ad uno degli angoli estremi della canna. A parte la corruttela del testo aristotelico, in cui la correzione synkrototérais (cioè ‘che battono insieme’, riferito alle ancie) per sklerotérais (lett. ‘più rigide’) non è affatto sicura,[12] ragionevolissime considerazioni di ordine pratico spingono Landels a considerare il plagíaulos un semplice flauto, in quanto in una canna posta di traverso, il cui diametro è tra l’altro (stando alla documentazione iconografica) di dimensioni alquanto ridotte, le ance poste nell’imboccatura non avrebbero la possibilità di vibrare:[13] aggiungerei che la stessa posizione delle labbra dello strumentista ben distinguibile in un mosaico del II sec. d.C. conservato al museo di Corinto (cfr. nel volume di Landels la fig. 2c.2) è chiaramente quella di un flautista, visto che la parziale occlusione dell’imboccatura esclude ogni possibilità che, almeno nel caso specifico, si tratti di uno strumento ad ancia. Inoltre le connessioni iconografiche e letterarie dello strumento con il mondo pastorale avvicinano il plagíaulos più alla syrinx che all’aulo: in un frammento di Bione esso sembra infatti identificarsi proprio con la syrinx, attributo di Pan.[14]

Per quel che riguarda la parte più specificamente teorica, Landels mostra di avere ben chiaro il senso dello sviluppo ‘storico’ dei principi di teoria musicale antica,[15] ponendosi sulla scia di West e di quanti prima di lui avevano sottolineato la fondamentale importanza di una visione ben storicizzata delle questioni musicali nel mondo classico.[16] Curioso per la novità di impostazione è invece il capitolo dedicato ai ritmi, nel quale l’autore, guidato dalla stessa volontà ‘pragmatica’ già mostrata nel trattare altri argomenti, tenta perfino una traduzione in lingua inglese che sia in grado di riprodurre l’andamento ritmico delle parole greche. La disarmante semplicità con cui è confutata l’assurda necessità di correggere le cosidette ‘responsioni impure’, cioè la mancata corrispondenza di lunghe e di brevi in strutture metriche in responsione (problema che ha spinto molti filologi ad interventi testuali che ripristinassero una perfetta rispondenza), deriva anche qui da considerazioni di ordine pratico: se proviamo ad immaginare una realizzazione musicale dei ritmi antichi, afferma Landels, «a scheme which has only two time-values would seem to be a simplified version of the rhythms, which may not provide the full facts» (p. 115).

Chiude la sezione propriamente greca un capitolo dedicato ai miti musicali: se lo spunto è chiaramente interessante, lo svolgimento dell’argomento lascia forse, in questo caso, un po’ delusi. Di grande interesse sarebbe stato non solo compilare un mero elenco dei miti elaborati dal mondo classico in connessione con la musica, ma evidenziarne il significato più profondo in quel determinato ambito culturale. Parlare di Orfeo senza parlare di orfismo, occuparsi dei mitici auleti frigi Marsia, Iagnide e Olimpo e dei loro legami con Cibele senza approfondire il contesto delle musiche ‘non’ ufficiali (quelle dei rituali di tipo estatico in onore di Dioniso e della Magna Mater, per intenderci) e così via mostra l’assoluta mancanza di un progetto culturale più ampio che ricostruisca il ruolo svolto dalla musica nell’antichità, delineando un quadro che neppure il capitolo iniziale del libro, dedicato alle manifestazioni musicali nella vita sociale e nei contesti poetico-drammatici, sembra rappresentare con sufficiente accuratezza.

L’ultima parte del volume ha il pregio di tracciare lo sviluppo subito dalle forme musicali del mondo classico nell’età ellenistica e in quella romana (pur tralasciando di nominare figure importanti, come quella di Boezio, che hanno poi traghettato i principi della teoria antica nel mondo medievale).[17] Un’ampia sezione è infine dedicata al sistema di notazione, in cui Landels formula un’ipotesi interessante sulla genesi della notazione strumentale dalla pratica auletica, e a un’analisi approfondita di alcuni tra i più importanti frammenti musicali.[18]

Pur segnalando sviste (come l’errore di citazione della XII Pitica, e non Olimpica, di Pindaro a p. 30) e vistose mancanze (non vengono indicati i referenti iconografici delle illustrazioni e mancano le citazioni bibliografiche di lavori importanti, come l’articolo di Giovanni Comotti sulla mágadis o quello di Barker sulla heterophonía),[19] il lettore anche occasionale potrà trovare in questo libro, come si augura l’autore, una buona introduzione allo studio della musica greca e romana che possiede il pregio, non trascurabile, di essere un testo comprensibile e immediato.

ELEONORA ROCCONI

 

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[1] I documenti più antichi in nostro possesso sono papiri che contengono versi euripidei corredati di note musicali, più precisamente il papiro di Vienna G 2315 (che contiene i versi 338–344 dell’Oreste) e il papiro di Leida inv. 510 (in cui si trovano, nell’ordine, i vv. 1499-1509 e 784-792 dell’Ifigenia in Aulide). La possibilità che tali musiche siano originarie dello stesso Euripide non è però dimostrabile con assoluta sicurezza: se tali papiri, come suggerisce PÖHLMANN, Sulla preistoria della tradizione di testi e musica per il teatro, in La musica in Grecia (cit. alla nota seguente), sono i copioni di quelle compagnie teatrali itineranti che tanta parte ebbero nella vita musicale dell’età ellenistica, è più facile ipotizzare che la musica ivi contenuta sia solo un vago ricordo delle melodie più antiche (se non addirittura una rimessa in musica di versi euripidei ad opera degli stessi tragodoí).

[2] Gli interventi sono ora raccolti nel volume miscellaneo La musica in Grecia, a cura di B. Gentili e R. Pretagostini, Roma-Bari, Laterza, 1988.

[3] ANDREW BARKER, Greek Musical Writings I: The Musician and his Art, Cambridge, Cambridge University Press, 1984; Greek Musical Writings II: Harmonic and Acustic Theory, Cambridge, Cambridge University Press, 1989. Alcuni dei trattati contenuti nel secondo volume, come gli Harmoniká di Claudio Tolomeo e alcuni estratti del relativo commentario di Porfirio, vengono in tale sede tradotti per la prima volta.

[4] MARTIN L. WEST, Ancient Greek Music, Oxford, Clarendon Press, 1992. L’apertura di West alle influenze musicali che l’Oriente esercitò sul mondo greco resta uno degli aspetti più stimolanti e fecondi del suo approccio all’argomento.

[5] ANNIE BÉLIS, Auloi grecs du Louvre, «Bulletin de Corrispondance Hellenique», CVIII, 1984, pp. 111–122; Fragments d’auloi in L’Antre corycien II, «Bulletin de Corrispondance Hellenique», suppl. IX, 1984, pp. 176-181; La Phorbéia, «Bulletin de Corrispondence Hellenique», CX, 1986, pp. 205-218; L’Aulos phrygien, «Revue Archéologique», ILVIII 1986, pp. 21-40; Kroúpezai, scabellum, «Bulletin de Corrispondence Hellenique», CXII 1988, pp. 323-339; L’organologie des instruments de musique de l’antiquité: chronique bibliographique, «Revue Archéologique», LIII, 1989, pp. 127-142.

[6] MARTHA MAAS – JANE MCINTOSH SNYDER, Stringed Instruments in Ancient Greece, New Haven and London, Yale University Press, 1989.

[7] Una recensione di questo volume, a cura della scrivente, è in corso di pubblicazione presso il «Journal of the American Musicological Society».

[8] Cfr. J. G. LANDELS, The Brauron Aulos, «Annual of the British School at Athens», LVIII 1963, pp. 116-119 (materiale ripreso in una delle appendici del volume); A Newly Discovered Aulos, «Annual of the British School at Athens» LXIII, 1968, pp. 231-238; Fragments of auloi found in the Athenian Agora, «Hesperia», XXXIII, 1964, pp. 392-400.

[9] Per fare un esempio nel testo in questione, la lunga digressione sulle possibili motivazioni all’origine dell’uso dell’aggettivo polýchordos in riferimento all’aulo (cfr. p. 38) avrebbe potuto essere evitata tenendo semplicemente presente lo sviluppo semantico subito dalla parola chordé, che già in Platone (Phil. 56a) ha esteso il proprio significato da quello di ‘corda’ a quello di ‘nota’.

[10] NICOMACO, Enchiridion 243, 16 seg. edizione Jan («toùs plagiaúlous metà tôn photíngon»).

[11] ATENEO, Deipnosophistae IV, 175e: «Ioba dice che secondo gli Egizi il mónaulos è un’invenzione di Osiride così come lo è il plagíaulos, il cosiddetto fotinge». Cfr. il lessico di Esichio, s.v. phi 1135: «phôtinx: syrinx, aulo di loto». Questo strumento si può identificare con quello descritto da APULEIO, Metamorphoses XI.9.6 («oblicum calamum ad aurem porrectum dexteram») nell’ambito di una processione in onore della dea Iside.

[12] Cfr. [Aristot.] De audibilibus 801b: «è chiaro anche per quel che riguarda gli auli. Infatti quelli che hanno ance inclinate [tàs glóttas plagías] nell’imboccatura [tôn zeugôn] producono un suono più dolce, ma non ugualmente limpido; il fiato, infatti, viaggiando cade direttamente in uno spazio aperto e non è più sottoposto a tensione né viene contratto, ma si disperde. Nel caso invece delle ance maggiormente battenti [synkrototérais] il suono diventa più duro e più limpido, se uno le comprime maggiormente con le labbra, perchè il fiato viaggia con più sforzo. Quindi i suoni limpidi [lamprá] si producono per i motivi appena detti».

[13] Così come non è sicura la correzione zeugôn (cit. supra) per il deutéron dei manoscritti. Su una possibile correzione di sklerotérais in synkrotetikaís si veda BARKER, Greek Musical Writings II, cit., p. 103, n. 17, dove le glóttas plagías vengono interpretate (basandosi anche sul confronto con un passo di Teofrasto) come un diverso tipo di ancia doppia i cui elementi presentavano una più ampia angolatura. Non mi sembra, contrariamente a quanto afferma Landels (p. 71 e relativa nota 5), che Barker interpreti il passo aristotelico come un sicuro riferimento al plagíaulos e che consideri quest’ultimo con certezza uno strumento ad ancia (in proposito Greek Musical Writings I, cit., p. 264, nota 20).

[14] Su un particolare tipo di plagíaulos egiziano avente un piccolo tubo inclinato nell’imboccatura (elemento che rende più credibile l’ipotesi di una presenza dell’ancia) si veda H. HICKMANN, The antique cross-flute, «Acta musicologica», XXIV/3-4 1952, pp. 108-112; più in generale sugli strumenti egiziani cfr. ID., Musicologie Pharaonique. Études sur l’évolution de l’art musical dans l’Égypte ancienne, Éditions Valentin Koerner, Baden-Baden – Bouxwiller, 1987.

[15] BIONE fr. X,7 seg. Gow: «…come Pan inventò il plagíaulos, Atena invece l’aulós, Ermes la chélys, e il dolce Apollo la kítharis».

[16] Si vedano, ad esempio, le osservazioni a p. 88 relative alla presunta centralità del tetracordo (non riscontrabile in modo certo prima di Aristosseno) nel sistema scalare antico e le pagine dedicate, nello stesso capitolo, alla ricostruzione delle antiche harmoniae (su questi argomenti cfr. ELEONORA ROCCONI, Harmoniai e teoria dei gene musicali nella Grecia antica, «Seminari Romani di cultura greca», I/2, 1998, pp. 345-363).

[17] Cfr. la recensione di R. P. Winnington-Ingram, «Gnomon», XXX 1958, pp. 243–247 a M. I. HENDERSON, Ancient and Oriental Music, in The New Oxford History of Music, vol. I, ed. by E. Wellesz, Oxford University Press, London 1957, pp. 336-403. Non è forse un caso se entrambi questi studiosi siano ringraziati da Landes in prefazione per la parte avuta nella propria formazione accademica.

[18] La formazione classica che accomuna gran parte degli autori di manuali sulla musica greca e romana ha impedito che venissero approfonditi il passaggio e lo sviluppo dei principi musicali elaborati dall’età antica in quella medievale e rinascimentale. Taglio prettamente musicologico ha invece il sopra citato volume di THOMAS J. MATHIESEN, Apollo’s Lyre. Greek Music and Music Theory in Antiquity and the Middle Ages, Lincoln and London,University of Nebraska Press, 1999.

[19] Cfr. GIOVANNI COMOTTI, Un’antica arpa, la magadis, in un frammento di Teleste (fr. 809 P.), «Quaderni Urbinati di Cultura Classica», n.s. XV (XLIV) 1983, pp. 57–71, e ANDREW BARKER, Heterophonia and Poikilia: Accompaniments to Greek Melody, in Mousiké. Metrica, ritmica e musica Greca in memoria di Giovanni Comotti, a cura di B. Gentili e F. Perusino, Pisa-Roma Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 1995, pp. 41-60. La bibliografia utilizzata da Landels si limita, secondo una caratteristica comune alla scuola anglosassone, a pubblicazioni pressoché esclusivamente in lingua inglese.

 

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