Alessandro Bratus e Michela Niccolai, Lo specchio e la realtà: Louise di Gustave Charpentier :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

Contributo di Alessandro Bratus e Michela Niccolai

 

 

Lo specchio e la realtà: Louise di Gustave Charpentier [*]

 

 

1. La realtà: l’ambiente culturale della Parigi fin de siècle

 

 

Forse foriero degli eventi che, durante la prima metà del XX secolo avrebbero cambiato irrimediabilmente la storia di tutta l’Europa, il clima politico francese tra 1870 e 1900 era in preda ad una crisi d’ansia. Il proletariato di tutta la Francia, risvegliato e scosso dagli avvenimenti della Comune, era continuamente in tensione a causa dei ripetuti attacchi all’ordine della Terza Repubblica da parte delle forze militari e reazionarie.

Le tensioni sociali di questo periodo sono legate ad una serie di circostanze che portarono il clima politico ad una temperatura rovente. Sono gli anni dei sanguinosi scontri a Fourmier per le celebrazioni del Primo Maggio, lo scandalo conseguente al crack della Compagnia del Canale di Panama, che coinvolse nomi molto importanti a livello istituzionale, gli attentati anarchici a personaggi politici, culminati con l’omicidio del Presidente della Repubblica Sadi Carnot da parte dell’italiano Sante Caserio. Sono gli anni dell’Affaire Dreyfus, caso rappresentativo della spregiudicatezza di un sistema di potere che non vuole ammettere la sua fine, che ebbe l’effetto di polarizzare maggiormente le tensioni di una situazione già esplosiva.[1] L’ascesa irrefrenabile di violenze ebbe il suo culmine tra il 1892 e l’inizio del secolo XX, fino a quando il ministero Waldeck-Rousseau, di «difesa repubblicana», tentò di contenere da un lato le tendenze autoritarie dell’esercito, dall’altro di rendere inoffensivi gli autori di azioni destabilizzanti nei confronti dello Stato.

Parigi, centro della Francia per elezione e vocazione, si trovò coinvolta fin dal principio in tanti e tali rivolgimenti. Numerosi erano i circoli anarchici in città, che contavano tra i loro frequentatori soprattutto artisti, giornalisti ed intellettuali in genere. Il movimento non aveva una vera e propria unità, dal punto di vista ideologico e programmatico, ma serviva come valvola di sfogo per l’insoddisfazione diffusa tra i bohémiens che si ritrovavano tra Le Chat Noir ed il Cafè du Delta a Montmartre.[2] Questo l’ambiente in cui il giovane Charpentier, lo scrittore Saint-Pol-Roux, il pittore Paul Signac ed altri, si trovarono a vivere durante quegli anni che videro la genesi di Louise. Tra i più coinvolti in questa presa di posizione politica erano i Simbolisti, come Camille Mauclair, Pierre Quillard, Adolphe Retté. La saldatura, a livello ideale, tra questi scrittori e gli anarchici, era insita nel concetto di «distruzione della forma», praticata dagli uni nella produzione letteraria, dagli altri nella prassi terroristica. La figura di riferimento di questi intellettuali, per l’azione diretta, era un misterioso individuo soprannominato «Le Ravachol»: ladro, contrabbandiere, assassino, bombarolo e nemico d’ogni autorità costituita. Il suo processo e la condanna a morte da parte dello Stato lo fecero assurgere a martire dell’Individualismo di matrice kropotkiniana, tendenza dominante nei circoli di contestazione della Parigi fin-de-siécle.

Per quel che riguarda la musica, durante gli ultimi anni del Novecento, l’uomo di punta nelle relazioni tra le massime autorità dello Stato e l’ambiente del Conservatoire fu Alfred Bruneau,[3] convinto assertore delle tesi del Naturalismo di matrice zoliana, nell’arte, nonché sostenitore di Charpentier. Come referente della Commission des Grands Auditions Musicales de l’Exposition Universelle de 1900,[4] Bruneau comprese che la commistione fra ideologia e forma musicale, propria di Louise, si attagliava perfettamente alla linea di condotta del governo Waldeck-Rousseau, nell’ambito dell’attesa ed invocata riconciliazione tra lo Stato e le irrequiete masse popolari. La fama di anarchico, e la simpatia del compositore per la causa popolare, faceva di lui l’uomo su cui puntare per riuscire a dare dello Stato un’immagine positiva nei confronti delle classi economicamente più deboli. Charpentier si avviava così a diventare parte di quel meccanismo statale che aveva contestato più volte. Basti pensare che il suo Couronnement de la Muse, che in origine accompagnò la Valchalade del 1897,[5] già nel 1898 fu rappresentato davanti all’Hôtel de la Ville di Parigi per il centenario dalla nascita dello storico Jules Michelet, alla presenza di un pubblico arrivato da tutta la Francia. Si stava aprendo per il compositore la strada del successo, che avrebbe dischiuso alla sua Louise, cominciata, scritta e ritoccata mille volte fin dai primi anni Novanta, le porte dell’Opéra Comique, sotto la direzione di Albert Carré, personalità fondamentale del teatro musicale parigino d’inizio Novecento. Dal punto di vista drammaturgico, il teatro francese contemporaneo alla gestazione di Louise di Charpentier è il «teatro dell’immagine» in cui gli attori non sono interpreti di personaggi, ma solo indossatori, soprattutto indossatrici di abiti lussuosi e bellissimi che vengono esibiti sul proscenio. Per offrire un ulteriore piacere della vista agli spettatori, il décor della scena è dato dall’impiego di macchinari capaci di realizzare effetti spettacolari, come naufragi, tempeste… Il conflitto tra il divismo imperante e l’eccessiva cura del décor portano inevitabilmente alla decadenza del teatro, svuotando la valenza drammaturgica delle pièces, ridotte ad una mera sfilata. Paradossalmente sarà proprio da questo secondo aspetto che partirà l’idea di un nuovo sistema teatrale, il cui punto cardine non sarà più dato dal singolo protagonista, bensì da un ensemble di personaggi che collaborano tutti allo stesso livello: il protagonista è primus inter pares. Zola si rende portavoce del vento di rinnovamento del teatro e, oltre all’esigenza di un una prassi scenica d’ensemble, sente sempre più pressante la necessità di un nuovo modo di recitare, nella quale l’attore viva la sua parte, senza limitarsi a declamarla. Per organizzare la scena Zola profetizza la figura del metteur en scène, che dall’esterno coordina e muove gli attori all’interno di un décor che racconti le abitudini dei personaggi, fornendo all’opera vitalità. L’opera teatrale, infatti, è data dalla compresenza sulla scena di una molteplicità di elementi (testo, attori, décor…) che sono collocati sullo stesso piano.

Il rinnovamento teatrale proposto da Zola trovò piena attuazione con la nascita del Théâtre Libre di André Antoine, che iniziò ad operare a Parigi il 30 marzo 1887. La sede era una piccola sala in affitto che funzionava come club privato per soci che si impegnavano a pagare un abbonamento annuo a sette o otto spettacoli unici. Il carattere privato dell’associazione garantiva maggiore libertà rispetto al controllo della censura, a cui veniva affiancata la libertà dalla tradizione e dai condizionamenti del mercato teatrale.

Merito di Antoine è di aver introdotto a Parigi alcuni autori stranieri come Tolstoj, Ibsen, Strindberg, Hauptmann, Verga, accanto naturalmente ai grandi nomi del Naturalismo francese. Il teatro deve essere libero, sciolto da lacci, da stereotipi, da servitù all’idea di successo di pubblico, deve essere in grado di mostrare la pienezza dell’esistenza genuina, psicologica e sociale degli individui posti sul palcoscenico.

Il suo punto di partenza è la diagnosi della crisi teatrale delineata da Zola: di fronte al teatro del primo attore si riformula una prassi di ensemble, un lavoro di gruppo capace di valorizzare la struttura drammaturgica. Il protagonista non si esibisce più davanti alla scenografia, ma dentro la scenografia; può abbandonare il proscenio, girare le spalle al pubblico, risalire verso il fondo della piattaforma. Il messaggio passa all’interno di un effetto complesso di composizione dato dalla coralità della scena. Lo spettatore assiste allo spettacolo dalla quarta parete che risulta trasparente per il pubblico e che gli permette di «entrare» nelle vicende rappresentate sul palco.

In questa ottica di ensemble, in cui i protagonisti non sono situati su un piano diverso dagli altri attori, si muove anche Louise di Charpentier, che si presenta come prosecuzione delle idee teoriche del teatro di prosa nell’ambito dell’opera in musica e lascia comprendere come una singola opera sia anche lo specchio del fermento culturale, politico e sociale in cui questa viene prodotta.

Un altro problema drammaturgico con cui si confronta Charpentier riguarda il modo di narrare:

intendendo per dramma la riproduzione del rapporto intersoggettivo che ha per oggetto ciò che si manifesta in questa sfera. […] Il dramma è una dialettica conchiusa in se stessa, ma libera, e che si determina di nuovo in ogni momento. […] Il dramma non è scritto, ma «posto». Le parole dette nel dramma sono tutte «decisioni»; sono sviluppi della situazione e rimangono in essa; in nessun caso devono essere concepite come emananti direttamente dall’autore. Il dramma appartiene all’autore solo nel suo insieme, e questo rapporto non è essenziale alla sua realtà di opera. […] Lo spettatore assiste al dialogo drammatico in silenzio, con le mani legate, paralizzato alla vista di un escondo mondo. […] Il rapporto spettatore-dramma conosce solo la completa separazione o la completa identificazione, ma non l’intrusione dello spettatore nel dramma o il rivolgersi del dramma allo spettatore.[6]

 

In quanto forma assoluta il dramma è sempre ambientato al tempo presente, questo non esclude che vi siano più episodi che danno luogo ad una «successione di presenti», poiché l’antefatto e la conseguenza del dramma, in una condizione temporale di passato e futuro, rimanderebbero al di fuori della rappresentazione relativizzando tutta quanta la scena. Alla fine dell’Ottocento ancora si presenta questo tipo di drammaturgia, incentrata sullo schema della tragedia classica, che non è più in grado di soddisfare, o che lo è ma forzatamente, le esigenze contenutistiche del dramma borghese. In questo senso si attua una forte discrepanza tra forma e contenuto, che tenta di creare un edificio nuovo ed autonomo, ma ancora troppo precario per soppiantare completamente la tradizione. Si apre così un ventaglio di soluzioni via via presentate dai vari autori, che si differenziano tanto più si differenzia la loro poetica, ma che mirano a trovare una qualche soluzione formale alla crisi interna del dramma. Il compito del dramma è quello di riferire, ma questo è possibile solo attraverso una forma letteraria che ne mantenga costante la sua struttura interna, questa forma è il romanzo:

Nel dramma e nell’epopea il passato o non esiste o è del tutto presente. Dal momento che tali forme non conoscono il fluire del tempo, non v’ha in esse alcuna differenza qualitativa dell’esperienza di passato e presente; il tempo non possiede alcuna forza di mutazione, dal tempo non viene ad essere esaltata né sminuita l’importanza d’alcunchè.[7]

 

2. Lo specchio: un romanzo intitolato Parigi

 

Un esempio di come Charpentier fonda il roman musical è dato dalla prima scena del II atto, che idealmente prosegue con il Couronnement de la Muse (III atto); tuttavia questo non è stato preso in considerazione poiché presenta problematiche diverse dal resto dell’opera. Il Couronnement è, infatti, un componimento autonomo, che già godeva di grande popolarità al momento della prima dell’opera all’Opéra Comique.

In realtà Louise si apre con il II atto, poiché il I può essere inteso come prologo che si svolge tra le mura domestiche, al quale segue il Preludio «Paris s’éveille» e la scena I in cui la città prende vita e comincia a popolarsi, in contrapposizione allo spazio chiuso dell’atto precedente.

Viene a questo punto presentato le Noctambule, anarchico rispetto ai valori borghesi, simbolo di Montmartre e dei bohémiens, il cui tema è inserito come citazione sotto la parola folie del protagonista, come ponte tra questo personaggio e la vita spensierata degli artisti, che non rispettano le convenzioni sociali dell’ideale di vita medio - borghese:

 

ESEMPIO 1

 

Esempio 1

Il Noctambule oscilla sempre tra realtà ed irrealtà e sembra continuare letterariamente la fase finale dei Rougon–Macquart di Zola, Le Rêve, per la valenza simbolica ed impalpabile del personaggio.[8] Qui Charpentier rappresenta visivamente il trionfo del kitsch, facendo arrivare in mezzo alla scena il Noctambule che si toglie il mantello e svela un costume con una P (come Parigi, Plaisir, o entrambe?) rossa con piccole lampadine luminose. La sua ambiguità è resa musicalmente dall’alternanza tra condotta cromatica, nella parte del basso, e diatonica, nella melodia e negli arpeggi che introducono i versi cantati dal Noctambule. A sottolineare le due polarità tra le quali questo personaggio si muove: la realtà (accordi appartenenti alla tonalità) e la finzione scenica (con una minore stabilità data dal cromatismo). Anche l’orchestrazione sottolinea l’elemento surreale del protagonista della scena, utilizzando strumenti come l’arpa e la celesta, evocativi dell’atmosfera fantastica introdotta dal Noctambule che ritornaneranno alla fine della scena, dopo il discorso dello Chiffonnier a evidenziare le parole del Bricoleur: «Bah! Dans toutes les familles c’est la même chose! […] Faut pas leur en vouloir si elles préfèr’ à notre vie d’enfer le paradis qui les appelle là-bas»:

 

ESEMPIO 2

 

Esempio 2

 

Opposto al Noctambule è lo Chiffonnier, che introduce il secondo nodo drammaturgico e musicale della scena. Centro di questo secondo momento è il racconto dello Chiffonnier, la cui figlia è stata rapita dal Noctambule. Questa narrazione interrompe il clima spensierato della prima parte della scena e prefigura quella che sarà la fine dell’opera stessa: Louise infatti abbandonerà la famiglia, ed il padre soprattutto (è anche l’ultimo personaggio che parla con lei), per andare a Parigi. Abbiamo anche in questo caso un artificio romanzesco, la prolessi, che anticipa lo scioglimento del nodo narrativo.

I due nodi drammaturgici sono sottolineati ancora dallo schema tonale dell’intera scena, costruito attraverso modulazioni che portano da Re Maggiore a Re minore. Il percorso armonico non presenta notevoli irregolarità, procedendo per tonalità vicine (relativa minore, relativa maggiore, dominante, modo maggiore e modo minore rispetto alla stessa fondamentale) o, al massimo, per affinità di terza:

 

Batt.

Tonalità

Plot

II, 114

Re maggiore

Introduzione (Le petite chiffonniè-re, La glanueuse de charbon, Le Noctambule)

II, 8 dopo 115

La maggiore

Aria del Noctambule

II, 120

Fa minore

 

II, 121

Fa maggiore

 

II, 123

La minore

 

II, 126

Do maggiore

 

II, 128

Instabilità tonale (tritoni)

Risposta dello Chiffonnier

II, 131

Fa# minore

 

II, 133

Re minore

 

 

Le due aree di influenza, rispettivamente del Noctambule e dello Chiffonnier, sono separate da una zona centrale che introduce gradatamente alla rottura drammaturgica della scena mediante la presenza di una serie di tritoni, che conducono dalla tonalità di Do a Fa#, le cui fondamentali sono in rapporto tritonale, sottolineando ulteriormente la contrapposizione tra i due personaggi.

 

3. Louise

 

Il 2 febbraio del 1900, al teatro dell’Opéra Comique di Parigi, va in scena la Louise di Gustave Charpentier,[9] ambizioso tentativo di rivoluzionare dall’interno i canoni estetici ed etici dell’opera in musica. Ritenuta da gran parte della storiografia musicale il primo esempio di opera socialista, aveva lo scopo di avvicinare le classi sociali più deboli al Bello artistico e aprire nuovi spazi autonomi nella vita degli operai.

Il tentativo di Charpentier s’inquadra nella prospettiva della ricerca del realismo in musica, che è uno dei nodi portanti del dibattito estetico sull’opera del secondo Ottocento e del primo Novecento. Si avverte una somiglianza tra le posizioni di Charpentier con quelle assunte da Modest Mussorgskij nel Boris Godunov, da un lato, e quelle di Giacomo Puccini espresse nella Bohème, dall’altro. Nel primo caso è condiviso l’aspetto di musica del popolo per il popolo, attribuendo una funzione attiva alle masse proletarie solo da un punto di vista rivoluzionario e non nazionalista. Nel secondo caso abbiamo un’identica divisione in quadri, e non in atti, che conferisce maggior importanza all’ambiente che non al dramma stesso. Un dato di forte differenza tra le opere citate e Louise è lo scopo che si prefiggono i rispettivi autori e l’ambientazione storica cui fanno riferimento, proiettata nel passato remoto nel caso di Boris e in uno più recente per Bohème, contemporanea a Charpentier e alle problematiche del suo tempo, in Louise.

Nel campo dell’opera si tentano soluzioni formali nuove che si ispirano alle attuali tendenze di rinnovamento della forma drammaturgica, uno di questi «esperimenti» è la forma del Roman musical utilizzata da Gustave Charpentier come sottotitolo dell’opera Louise, intendendo far appunto riferimento alla forma principale del Naturalismo letterario: il romanzo. L’impiego di personaggi presi dai ceti più umili della popolazione, operai, popolo minuto e bohémiens, permette a Charpentier di conferire una maggiore consistenza alle teorie estetiche cui si riferisce. Questa forma caratterizza, infatti, non solo l’ambientazione dell’intreccio, ma anche la struttura drammaturgica dell’opera: la suddivisione in quadri anziché in atti permette una condotta drammatica più libera, svincolata da ogni rigida norma di narrazione classica. Non c’è una netta scansione tra parti in recitativo e arie liriche, rendendo la Louise una specie di Musikdrama di ascendenza wagneriana. La forma scenica è quella che scandisce le azioni, l’ambiente passa da sfondo a protagonista del racconto teatrale e l’attenzione è incentrata sulla coralità delle scene. L’ambientazione passa dal mondo mitologico, nel senso più ampio possibile, alla metropoli moderna, citando l’opinione di Carl Dahlhaus:

Dal punto di vista drammaturgico il panorama della metropoli, che si presenta in Charpentier come grande confusione - un caos che risucchia -, non è un’aggiunta all’azione ma la sua sostanza. Il duetto tra Louise e Julien con cui si chiude il secondo quadro non è il centro drammaturgico della scena a cui la descrizione dell’ambiente fornisca soltanto lo sfondo, ma rende esplicito in forma di dialogo un evento il cui personaggio principale è la città di Parigi, la quale, come in Zola, da uno scenario descritto realisticamente diventa alla fine un mito.[10]

 

Il legame con le tendenze drammaturgiche del teatro di prosa, soprattutto con l’opera di Henrik Ibsen, è visibile non solo a livello strutturale e formale, ma anche nella raffigurazione del personaggio femminile.

Prendendo in esame Casa di bambola la protagonista, Nora, dopo aver sofferto per tutto il dramma ed aver sopportato un soffocante senso di colpa per aver aiutato economicamente il marito, alla fine riesce a prendere coscienza del fatto che lei non è soltanto una moglie ed una madre, ma che ha una possibilità di scegliere, di essere libera dai vincoli imposti ad una donna all’interno della gerarchia sociale:

HELMER: Prima di tutto, tu sei una moglie ed una madre.

NORA: Non lo credo più. Credo di essere prima di tutto un essere umano… proprio quanto te… o ad ogni modo cercherò di diventarlo. So benissimo che la maggior parte della gente concorderà con te, Torvald, e tu ne troverai conferma anche nei libri; ma non può più bastare ciò che dice la gente, ciò che dicono i libri. Devo pensare da sola alle cosa e cercare di capirle.[11]

Anche ne La donna del mare Ibsen rappresenta una donna che riesce a prendere coscienza dei suoi desideri solo quando è completamente libera e sciolta da ogni forma di contratto sociale: Ellida infatti scopre di amare profondamente suo marito e le sue figliastre solo dopo aver allontanato da sola l’uomo che veniva dal mare. Lo straniero non ha più alcun potere su di lei solo quando Wangel la affranca da ogni tipo di legame e di riguardo nei suoi confronti:

WANGEL: I tuoi pensieri erravano per altre vie. Ma ora… ora sei affrancata da ogni tipo di legame con me e con la mia casa. E coi miei. Ora la tua vita, la tua vera vita … potrà rientrare nella strada giusta. Ora potrai scegliere liberamente. E in piena responsabilità, Ellida.

ELLIDA: Liberamente…e in piena responsabilità! Responsabilità anche? Perché…tutto è mutato.[12]

 

Charpentier invece fa sì che l’azione compiuta da Louise non appaia come volontaria - è, infatti, Parigi a dominare la scena-, dandole però l’illusione della libera scelta. La protagonista, ebbra di Parigi, sceglie di darsi a Julien, manifestando apertamente il suo passaggio da fille a femme. Anche il piacere fisico diventa un momento di liberazione dai rigidi schemi imposti dal nucleo familiare, ed un modo per sottrarsi ad una scala di valori prettamente borghesi: Louise infatti intreccia una relazione con Julien non sancita dal matrimonio. Louise diventa l’Amante éternelle, la donna idealizzata che sfiora la sfera del sacro, come si vede nel coro che intona per lei l’invocazione «Hosanna». La parte centrale del duetto del terzo atto, scena prima, è occupata da una invocazione a Parigi, come città d’amore, di forza e di luce, che protegge i due amanti e che permette loro di perdere la loro identità individuale, dando loro l’illusione di aprirsi la strada ad una nuova vita. Questa però è soltanto una mera illusione, perché in realtà Louise e Julien sono solo due miseri ingranaggi di una immensa città-fabbrica che fagocita tutto e tutti, regna sovrana e governa la vita dei suoi abitanti spingendoli a compiere scelte determinate soltanto dal suo volere. I personaggi si muovono alla stregua di burattini i cui fili sono mossi da Parigi stessa.

Questa poetica rappresenta uno degli esiti della fase di decadenza del Romanticismo, dopo quest’epoca non si potrà più parlare in alcun modo di uno Zeitgeist comune a tutte le arti (se mai se n’è potuto parlare). Il realismo rappresenta una tra le molte risposte possibili ad una crisi culturale diffusa, il cui punto di partenza per ogni tipo di prospettiva realista è l’estetica del vero, dell’arte come mezzo espressivo non di un bello ideale, ma della realtà.

Sia che per modello si considerasse l’insieme dei dati di fatto osservati e comunicabili senza parzialità, oppure la personale e fugace materia del sentire, il centro delle mire estetiche e filosofiche era sempre la realtà. Gran parte della storiografia indica, a livello cronologico, una frattura all’inizio degli anni ’90 dell’Ottocento, che era già stata largamente anticipata durante i due decenni precedenti dalle arti visive e letterarie. Quest’insieme d’influenze culturali lascerà una traccia profonda in tutta la musica dal 1870 in avanti, da Bizet a Mussorgskij, da Debussy a Schönberg e Strauss, fino a Charpentier. Questi compositori esprimono musicalmente concetti o intenti artistici ripresi da fonti letterarie o pittoriche coeve, ma in una forma ontologicamente diversa, priva di un autentico riferimento che potrebbe collegare tutti gli esiti all’interno di una poetica comune. Che gli elementi di realismo siano dati da particolari accorgimenti drammaturgici piuttosto che da elementi del tessuto musicale, rimane il dato di fatto che la realtà reclamava uno spazio non secondario nell’estetica del periodo. I risultati sono eterogenei e non si possono inquadrare entro un unico punto di vista. La Louise di Charpentier rappresenta uno dei frutti di quest’incertezza alla fine del secolo XIX. L’anarchico Charpentier descrive la vita del popolo come in uno specchio deformato, aspirando a fare della quotidianità un fatto mitico, in cui si può realizzare l’incontro mistico tra il Poeta-Julien e la sua Musa-Louise, nel segno della sua utopia artistica.

La vicenda di Louise, ragazza operaia della Parigi d’inizio secolo, presenta un soggetto contemporaneo al suo autore e alla sua stessa messa in scena. Quest’ambientazione permette a Charpentier di mostrare al pubblico dell’Opéra Comique una riproduzione che sembra essere fedele della realtà, ma che, al contrario, rappresenta una trasfigurazione idealizzata del reale. Quello che si propone agli spettatori è un ritratto della città come frutto di una visione mitologica collettiva, coincidente con l’ideale medio-borghese. Il processo di mimesi consente da un lato di soddisfare le attese del pubblico, dall’altro di presentare un certo tipo d’ambiente sociale e le problematiche che vi sono connesse.

L’immagine di Parigi che emerge dalle pagine di Charpentier si può ricollegare, idealmente, al primitivo progetto per la mise en scène di Traviata di Verdi (1853),[13] anch’essa ambientata in epoca contemporanea all’autore. L’effetto cui mirano entrambi gli autori è quello di straniare il pubblico, mostrandogli la sua stessa immagine. Ma nell’opera di Verdi, nel progetto e nella resa drammatica, quest’immagine rimane convenzionale, non si svincola dalle leggi che regolano la prassi teatrale dell’epoca, se non per il soggetto. In Louise la deformazione della realtà passa attraverso un doppio filtro, che opera a livello drammatico e musicale: quello della convenzionalità operistica e quello della volontà propagandistica insita nell’opera di massa. In questo senso, l’aspirazione di Louise al realismo si realizza non mediante l’eliminazione dei filtri delle convenzioni, bensì mediante la loro sovrapposizione. Da un lato, infatti, abbiamo l’inevitabile filtro della convenzione operistica, che mette in scena la vita utilizzando il canto al posto del dialogo parlato, dall’altro un filtro ideologico e pubblicistico rispetto agli intenti politici e sociali di Charpentier.

L’introspezione psicologica dei personaggi è ridotta al minimo e la loro interazione ha senso solo in quanto parte di un ambiente: Parigi, che sovrasta con la sua inesauribile presenza tutta l’opera. Parigi come fulcro e orizzonte dei destini dei personaggi, come brulicante intreccio di vite troppo piccole in un contenitore troppo grande, Parigi spietata ed innamorata, Parigi montmartroise e operaia, ecco il punto focale dell’intreccio di Louise. Nell’opera anche i personaggi perdono la propria caratterizzazione individuale, sono ruoli, che esistono in quanto parte di un organismo più grande (Le Chiffonnier, La Laitière, Le Bricoleur, fino a Le Chansonnier, Le Philosophe e Le Poète). Solo all’eroina eponima e al suo amato Julien spetta l’onore di avere un nome, di emergere, seppure per un attimo, dall’anonima massa cittadina. La famiglia stessa, cardine dell’ordinata società borghese, diventa una struttura vuota di significato, nido di felicità mediocre per un rassegnato Père ed un’isterica Mère, di fronte allo strapotere di Parigi. La rappresentazione delle scene e dei personaggi diventa quindi allegorica, impiegando mezzi e fini realistici. Quello che ne risulta è una stereotipizzazione dei caratteri, dove ognuno non rappresenta niente, se non la caricatura o la forzatura di se stesso, attraverso uno specchio deformato.

Il contatto di Louise con le nuove tendenze del teatro di prosa, in particolare con l’esperienza del Thèâtre Libre di Antoine e dei Meininger del duca Georg II di Meiningen,[14] si fa evidente nell’uso massiccio di scene corali. Mancano totalmente le arie solistiche, predominano i duetti e le scene d’ensemble, che danno la caratterizzazione del mondo dentro il quale i personaggi si muovono.

Una concessione alla pura espansione lirica è inserita solo nel punto cardine dell’opera: il lungo duetto del terzo atto «Depuis le jour», che riesce a conciliare il regno delle favole («la petite Montmartroise au coeur dormant») con affermazioni che ricordano molto da vicino il teatro ibseniano. Ma anche questo numero sottintende la presenza tacita di un terzo personaggio continuamente citato: Parigi. La Ville Eternelle è invocata per tre volte verso la fine del duetto,[15] enfatizzando la sua funzione spirituale di protezione dei due amanti. E la città risponde, col roboante coro che riprende le parole «Libres! Libres!» e schiude al poeta ed alla sua giovane musa le porte dell’amore.

La presenza sulla scena di un complesso di personaggi che definiscono un ambiente dimostra la volontà di Charpentier di fare di quest’elemento il nucleo generatore del dramma, mostrando la logica evoluzione di un «tipo umano» nella sua società. Da questo punto di vista l’uso, a livello drammaturgico, del popolo minuto non è molto dissimile da quello effettuato da Modest Mussorgskij nel Boris Godunov.[16] Da una parte, infatti, abbiamo il nazionalismo del russo, dall’altra il socialismo ecumenico di matrice anarchica di Charpentier. Ma vi sono altre differenze, più profonde. Il popolo, ritratto con la maggiore fedeltà possibile anche nella costruzione musicale, è il vero protagonista del dramma, nel Boris Godunov; mentre nella Louise rimane sempre funzionale all’evoluzione della storia dei due protagonisti. A livello di strutture drammatiche, se nell’opera di Mussorgskij il popolo è antagonista predestinato di Boris, strumentalizzato dai suoi nemici, nel dramma di Charpentier le masse popolari hanno sempre la funzione di coadiuvare i due fidanzati a legittimare il loro amore. Anche la funzione dell’opera per i due compositori è sostanzialmente diversa, non si tratta più di cercare la musica del popolo, ma di creare la nuova musica che educhi le masse al Bello, all’ideale artistico di un compositore con intenti poco meno che messianici.

Per rendere l’opera più fruibile ad un pubblico ampio, Charpentier utilizza diversi mezzi: l’orecchiabilità dei motivi, la scansione ritmica spesso improntata su tempi di marcia, l’impianto scenografico grandioso e pensato nei minimi dettagli, che contribuirono ancor di più ad un successo popolare già annunciato. Il risultato è duplice e teatralmente perfetto: permetteva di abbassare il livello della ricezione e di inserire all’interno dell’opera alcuni momenti di stacco rispetto all’intreccio amoroso principale.

Ispirata alle Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger, la Bohème di Giacomo Puccini presenta la giustapposizione paratattica di quattro quadri che forniscono uno spaccato di vita parigina di giovani artisti bohémiens e delle loro «avventure». I luoghi deputati alla scena sono: la soffitta, il Quartiere Latino, la barriera d’Enfer, per poi concludere l’azione nuovamente in soffitta, secondo uno schema circolare che si ritrova in Louise, che inizia e si conclude in un ambiente chiuso, la casa dei genitori della protagonista. Puccini accosta varie immagini di Parigi facendo in modo che ogni quadro sia fortemente legato all’altro, fornendo uno spaccato di vita di giovani bohémiens.[17]

La struttura in quadri ha una funzione rappresentativo-allegorica, in cui l’ambiente è il vero protagonista dell’opera, delineando perfettamente i personaggi, tanto in Bohème quanto in Louise.

Dal punto di vista meramente rappresentativo il mondo parigino offerto da Charpentier e quello presentato da Puccini differiscono sostanzialmente dal punto di vista ideologico: il primo analizza la vie de Bohème sotto un profilo sociale, mentre l’autore lucchese rappresenta Montmartre con tutti i suoi più triti attributi, privilegiando ancora l’idea ottocentesca dell’artista romantico bohémien.[18] L’intento con cui vengono portate avanti queste due posizioni permette così di avere, a distanza di quattro anni, due visioni contrapposte dello stesso modello. Puccini e Charpentier sono espressione di due esigenze culturali e politiche profondamente diverse: da un lato il Quartiere Latino viene visto con gli occhi di un italiano che la osserva dall’esterno e che proietta in quell’ambiente la sua personale esperienza milanese e torrelaghese, dall’altro invece è un parigino che analizza la sua realtà dall’interno e la descrive con intento polemico. Anche Charpentier inserisce componenti autobiografiche nell’opera, poiché, durante gli studi conservatoriali, ha vissuto a Montmartre in un ambiente bohémien e filoanarchico.

Il realismo, se così lo possiamo definire, delle due opere avviene a livelli diversi: in Bohème c’è maggior attenzione ai particolari della vita quotidiana degli artisti, come il pagamento dell’affitto o procurarsi il pranzo, ed una maggior caratterizzazione dei personaggi. Charpentier fornisce invece una immagine più alienata della vita parigina, che conferisce maggior importanza alle dinamiche sociali ed ai conflitti che si generano da esse: Julien è lo stereotipo dell’artista maudit e Louise la figlia adorata che dovrebbe rispettare il volere dei genitori secondo le leggi di una onesta famiglia «borghese» di operai, e che invece rompe le regole sociali rendendosi libera ed andando incontro al suo destino.

È molto comune l’uso della tecnica leitmotivica, all’interno di un’opera dal taglio naturalista. Se può apparire contraddittoria la differenza tra costruzione mitologico-musicale e livello sociale dei personaggi, come già notava Laloy,[19] in realtà si può percepire come i motivi siano un veicolo per la descrizione dei caratteri e per la loro evoluzione. Il Leitmotiv che Charpentier attribuisce ad una situazione o ad un personaggio può essere visto come codice genetico, come contenitore primigenio delle successive trasformazioni che ne daranno l’evoluzione in musica. Ecco ora riapparire un tema caro al Naturalismo zoliano: l’ereditarietà. Ed ecco la sua applicazione in musica, che fa del trattamento sinfonico dei temi uno strumento narrativo potente e, ma non del tutto, obiettivo. Un esempio evidente è dato dal tema che fa da base al preludio del primo atto, catalogato da Manfred Kelkel come «tema d’amore, del desiderio»,[20] e riappare continuamente all’interno dell’ordito musicale, subendo elaborazioni a livello di registro, ritmo, profilo melodico e valore armonico, costituendo uno dei veri e propri motivi conduttori dell’opera.

Charpentier ammirava moltissimo il concetto stesso di teatro in musica come creazione totale, comprendente tutte le fasi della sua lavorazione, dal libretto alle scene.[21] Ancora una volta, riaffiorano in questa sede i germi del primo teatro di regia, come concezione di uno spettacolo interamente pensato da un’unica intelligenza drammatica. Ma, se nell’opera di Wagner la musica ha essenzialmente una funzione autoreferenziale, come parte integrante del mito che sta narrando, nell’opera di Charpentier essa rimanda ad una dimensione al di fuori dell’arte, in un’ottica allegorica dove ogni nota rappresenta un riferimento a qualcosa di altro da sé, ad un frammento di realtà.

Notevole, accanto a questi processi di elaborazione drammatico–musicale, la presenza di frequenti inserti realistici all’interno di Louise. Questi appaiono sia a livello di vere e proprie musiche di scena, sia a livello di dettagli sonori. Tra le musiche di scena si segnalano l’aria del Noctambule (atto II, 1, «Malice du destin»), la canzone dei bohémiens riuniti intorno a Julien (atto II, 1, «C’est ici?»), la serenata di Julien fuori dell’atelier (atto II, 2, «Dans la cité lointaine») e l’intero Couronnement de la Muse (atto III, 2, «Régalez-vous mesdam’s, voilà l’plaisir»). Tra gli elementi sonori realistici: il suono della pendola alla fine del primo atto, mentre Louise in lacrime legge i titoli del giornale al padre, l’intera scena del mercato, che utilizza come base i cris de la rue così familiari al montmartrois Charpentier e la scena dell’atelier, dove rapide terzine di percussioni danno l’effetto acustico dei telai in azione all’interno della fabbrica e costruiscono l’impianto ritmico della scena. Si osserva quindi, all’interno di Louise, una commistione di fattori solo apparentemente contraddittori, in realtà tutti funzionali, per qualche verso, al programma artistico dell’autore: il romanzo musicale naturalista.

 

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[*] Questo articolo è frutto di riflessioni maturate in un seminario tenuto dagli scriventi nel corso di Storia del teatro 1999/2000 del prof. Michele Girardi, presso la Scuola di Paleografia e Filologia Musicale dell’Università di Pavia a Cremona. Gli autori ringraziano per i preziosi consigli Virgilio Bernardoni, Steven Huebner, Marco Mangani e Dieter Schickling.

[1] Per capire il fenomeno dell’improvvisa polarizzazione degli intellettuali ed il loro successivo smarrimento nell’ambito dell’Affaire Dreyfus, si veda ROGER MARTIN DU GARD, Jean Barois, Paris, 1913 (trad. it. a cura di Francesco Francavilla, Firenze, Parenti, 1956).

[2] «Ai vari fattori che contribuirono alla mia conversione – disgusto per i parlamentari degenerati, disgusto per l’arte borghese – si aggiungevano una gran simpatia per i Comunardi sconfitti… ed infine un’avversione per la grande azione livellatrice del socialismo…Noi eravamo anarchici per moda, perché era romantico, una condizione che s’inscriveva nel nostro status di scrittori caduti dalla Grazia e un’etichetta per tutte le nostre ragioni d’insoddisfazione…» (CAMILLE MAUCLAIR, Servitude et grandeur litteraires, Paris, 1922: cit. da STEVEN HUEBNER, Between Anarchism and the Box-Office: Gustave Charpentier’s Louise, «19th Century Music», XIX/2, 1995, pp.136-160).

[3] Alfred Bruneau (1857-1934), allievo di Jules Massenet e vincitore del Prix de Rome nel 1881, esercitò un’intensa attività di critico e compositore. Tra le sue opere: Le Rêve (1891), L’attaque du moulin (1893), Messidor (1897).

[4] Cfr. ALFRED BRUNEAU, La musique française: rapport sur la musique en France du XIIIe au XXe siècle. La Musique a Paris en 1900 au thèâtre, au concert, à l’Exposition, Paris, 1901.

[5] Manifestazione degli artisti bohémiens di sinistra ed anarchici, dai toni satirici e provocatori, che si opponeva al tradizionale Festival du Montmartre, borghese.

[6] PETER SZONDI, Theorie des modernen Dramas, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1956, trad it. Teoria del dramma moderno 1880-1950, Torino, Einaudi, 1962, p. 10-11.

[7] GYORGY LUKÁCS, Die Theorie des Romans, Berlin, 1920, p. 127, trad. it. Teoria del romanzo, Milano, 1962, p.174 (La citazione è tratta da PETER SZONDI, Teoria del dramma moderno, cit., p. 21).

[8] Le Rêve è stato trasformato poi in testo teatrale da Zola stesso e musicato da Alfred Bruneau nel 1891, come avvenne per molti episodi dei Rougon-Macquart. Ebbe una notevole risonanza nell’ambiente musicale parigino contemporaneo a Louise.

[9] Louise, roman musical en quatre acte et cinq tableaux. Paroles et musique de Gustave Charpentier. Prima italiana: Milano, Teatro Lirico, 14 aprile 1901. Per la stesura di questo articolo si fa riferimento alla partitura: Louise de Gustave Charpentier, Heugel, Paris, 1901?, 20.241 (versione francese); e a due spartiti: Louise de Gustave Charpentier, Heugel, Paris, 1900, 19.659 (versione francese) e Louise de Gustave Charpentier, Heugel, Paris, 1927, 23.457 (versione francese-inglese).

[10] CARL DAHLHAUS, Musikalischer Realismus. Zur Musikgeschichte des 19. Jahrunderts, München, Piper, 1982. (trad. it.: Il realismo musicale, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 378).

[11] HENRIK IBSEN, Et dukkehjm, trad. it. Casa di bambola, a cura di Nicoletta Dalla Casa Porta, Varese, Demetra, 1995, p. 117.

[12] HENRIK IBSEN, Fruen fra havet, trad. it. La donna del mare, a cura di Anita Rho, Torino, Einaudi, 1959, p. 96 (l’enfasi è nostra).

[13] Cfr. JULIAN BUDDEN, The Operas of Verdi, London, Cassell, 1973, 3 voll. (trad. it.: Le opere di Verdi, vol. II, Torino, EDT, 1988, p. 133-135).

[14] Gruppo teatrale attivo alla fine dell’Ottocento, famoso per aver precorso il teatro di regia moderno (Cfr. ROBERTO ALONGE, Teatro e spettacolo, cit., pp. 79-83).

[15] A tale proposito, notiamo una sostanziale omologia strutturale con le tre entrate del coro, espressione che allude alla sfera della ritualità, nel Duo finale tra Carmen e Don Josè in Carmen di Georges Bizet ( IV atto, n. 27).

[16] Si veda in proposito l’opinione di CARL DAHLHAUS, Musikalischer Realismus. Zur Musikgeschichte des 19. Jahrunderts, München, Piper, 1982. (trad. it.: Il realismo musicale, Bologna, Il Mulino, 1987, cap. 9: Il romanzo come modello formale, pp. 121-130).

[17] La Bohème fu rappresentata per la prima volta al teatro Regio di Torino il primo febbraio 1896, diretta da Arturo Toscanini. La prima parigina ebbe luogo all’Opéra-Comique nel 1898, con la mise en scène di Albert Carré, che sarebbe stato anche il régisseur di Louise alla prima assoluta. Sulla Bohème di Giacomo Puccini si veda MICHELE GIRARDI, Giacomo Puccini, l’arte internazionale di un musicista italiano, Venezia, Marsilio, 1995, p. 118 e segg. e JÜRGEN MAEHDER, Immagini di Parigi, «Nuova Rivista Musicale Italiana», XXIV/3-4, 1990, pp. 402-455.

[18] Questa l’opinione in proposito di Jürgen Maehder: «…Mentre le opere di Puccini e Leoncavallo eludono i possibili spunti per una critica sociale militante (nell’Italia umbertina una Mimì repubblicana non avrebbe potuto diventare oggetto d’identificazione psicologica da parte del pubblico operistico), Gustave Charpentier realizzò con Louise (1900) un ‘opéra-Montmartre’, sotto il segno del naturalismo francese. Non a caso il libretto di Charpentier rappresenta uno dei primi esempi di libretti scritti in prosa dallo stesso compositore.» (Immagini di Parigi, cit., p. 434n).

[19] LOUIS LALOY, Le drame musical moderne, «Le Mercure musical», 84, Paris, 1905.

[20] MANFRED KELKEL, Naturalisme, vérisme et réalisme dans l’opéra, J. Vrin, Paris, 1984, p. 295.

[21] «Wagner, lui, ne confie à personne ses ouvrages, depuis l’idée encore à l’état d’embryon jusq’au couronnement de l’œuvre, tout est de lui. Les décors même» (lettera di Gustave Charpentier ai genitori, 26 aprile 1882, in GUSTAVE CHARPENTIER, Lettres inédites à ses parents, a cura di Françoise Andrieux, J. Vrin, Paris, 1984, p.73).

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