Prestito d’uso di metalli preziosi - La determinazione del mancato guadagno nel contenzioso bancario

Matteo Panelli -

Abstract


Il contratto di prestito d’uso di metalli preziosi[1]è un contratto “atipico”[2], non disciplinato dal Codice Civile e rappresenta una forma di finanziamento mediante la quale un operatore economico – normalmente un imprenditore del settore orafo - riceve fisicamente un quantitativo di metallo prezioso fino (per consuetudine in lingotti o barre) da impiegare all'interno del processo di produzione.

Tale contratto viene stipulato con istituti di credito la cui remunerazione dovrebbe essere unicamente il tasso di interesse previsto nei patti sottoscritti (oltre spese e commissioni).

A carico dell’imprenditore che riceve il metallo prezioso sorge un’obbligazione di pagamento del corrispettivo pattuito, comprensivo di interessi ed altri oneri ed, all’estinzione del prestito, un obbligo di restituzione della stessa quantità e qualità di metallo ricevuto o, alternativamente, un obbligo di pagamento del suo controvalore.


[1]Quanto segue può essere riprodotto per ogni contratto il cui sottostante sia un qualsiasi metallo prezioso ovvero altro bene fungibili, ma prevalentemente – nel settore orafo – si parla di “prestito d’uso d’oro”.

[2]Ai sensi dell’art. 1322, 1° comma, cod. civ. “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge [41 Cost.] e dalle norme corporative. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare [1323], purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico”.


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DOI: http://dx.doi.org/10.13132/2038-5498/10.4.1999

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Registered by the Cancelleria del Tribunale di Pavia N. 685/2007 R.S.P. – electronic ISSN 2038-5498

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