Philomusica on-line, Vol 2, N° 1 (2003)

Kitti Messina - Philomusica on line :: Rivista del Dipartimento di Scienze musicologiche e paleografico-filologiche

Kitti Messina

Un compositore danese e il madrigale italiano: Mogens Pedersøn e la sua produzione vocale profana*

Abstract

 

Mogens Pedersøn[1] fu il compositore danese più importante del periodo del regno di re Cristiano IV (1588-1648). La sua produzione, sia sacra che profana, fu molto apprezzata già dai suoi contemporanei ed il compositore riuscì, grazie soprattutto all’appoggio del suo mecenate, ad affermarsi non soltanto in patria ma anche all’estero.

Per quanto riguarda la musica profana, molto significativo è il rapporto che Mogens Pedersøn ebbe con l’Italia: egli si formò infatti a Venezia presso Giovanni Gabrieli e scrisse madrigali su testo italiano che furono diffusi in varie parti d’Europa.

Nel presente articolo si intende dare una visione generale della storia e della vita culturale danese al tempo di Cristiano IV, nonché approfondire alcuni aspetti della produzione profana di Mogens Pedersøn analizzandone in particolare i rapporti con l’ambiente musicale italiano dell’epoca.

Il mecenate: re Cristiano IV[2]

Cristiano IV nacque il 12 aprile 1577 nel castello di Frederiksborg (a Hillerød, distante una quarantina di chilometri da Copenaghen), come figlio primogenito del re Federico II (1534-1588) e Sophie di Mecklenburg (1557-1631). Scelto nel 1580 come successore al trono del Regno di Danimarca-Norvegia, ottenne l’acclamazione ufficiale danese nel 1584, quella norvegese, a Oslo, soltanto nel 1591.

Alla morte di Federico II il principe Cristiano aveva soltanto undici anni; per gestire il Paese nel periodo della minore età del nuovo sovrano fu quindi istituito un Consiglio governativo composto da membri della classe nobiliare. Cristiano IV fu finalmente incoronato il 29 agosto 1596, non senza aver prima garantito al Consiglio del Regno una parte del potere decisionale e alla classe nobile molti privilegi. Si allineò con le scelte politiche già proprie del Consiglio di reggenza, mirando però, anche mediante l’affidamento di importanti funzioni a collaboratori dalla forte personalità, ad una sempre più fervida attività. Grazie alla sua notevole disponibilità di denaro il re poté stringere favorevoli rapporti non solo con la nobiltà danese, ma anche con molti principi tedeschi; e una gran parte delle finanze del Regno fu impiegata nella costruzione o ricostruzione di castelli, palazzi e fortificazioni. Quanto alle costruzioni di difesa contro le potenze straniere, queste furono quasi interamente rivolte verso la vicina e pericolosa Svezia. In realtà Cristiano IV aspirava, contrariamente a quanto voleva la politica più cauta del Consiglio del Regno, ad osteggiare le tendenze espansionistiche della Svezia con un conflitto armato che potesse dare al Regno di Danimarca-Norvegia una priorità nell’Europa del Nord; in risposta alle provocazioni svedesi arrivò ad imporre la guerra nel 1611 (guerra ricordata come ‘Kalmar-krigen’). Nessuna delle due potenze riuscì in realtà a primeggiare: la pace fu stipulata a Knäred nel gennaio 1613; ciononostante fu la Svezia a dover pagare una notevole somma di risarcimento e a rinunciare ad alcuni territori norvegesi.

Nel lasso di tempo che intercorse tra la pace di Knäred e l’intervento militare della Danimarca in Germania (1625) durante la Guerra dei Trent’anni, Cristiano IV si adoperò in nome di uno sviluppo del Regno sotto molteplici aspetti, soprattutto dal punto di vista dell’attività mercantile. In quest’ottica va vista la fondazione di città e fortificazioni in luoghi strategici, come ad esempio Glückstadt. Quest’ultima, con la sua posizione sulla foce dell’Elba nei pressi di Amburgo, chiaramente fu concepita con l’intento di togliere alla città tedesca il primato di centro mercantile ed economico nella Germania nordoccidentale (e in generale nell’Europa settentrionale). Il re aveva in effetti da sempre preparato una sua espansione nei territori tedeschi mediante legami di sangue e soprattutto attraverso accordi di carattere economico (prestiti).

L’intervento della Danimarca su suolo tedesco nella Guerra dei Trent’anni (dal 1625 al 1629) fu richiesto espressamente dai prìncipi protestanti della Germania settentrionale che, spaventati dall’apparizione dell’esercito della Lega cattolica nei loro territori, ritennero di poter trovare aiuto nella vicina potenza di religione luterana. Cristiano IV accettò la richiesta, mosso soprattutto dalla speranza di approfittare della situazione per estendere il proprio dominio verso Sud. Tale intervento non era ritenuto opportuno dal Consiglio del Regno, ma si prospettava forse come l’unica possibilità per il Regno di Danimarca-Norvegia di porre rimedio alla sua infelice posizione di territorio stretto tra la morsa di una duplice minaccia: la Svezia a Nord e la potenza tedesca a Sud; tanto più che chi richiedeva aiuto dalla Germania minacciava di rivolgere, in caso di rifiuto, il proprio appello di soccorso alla potenza svedese. In ogni caso il Consiglio era perfettamente consapevole dell’inadeguatezza dei mezzi con cui l’audace Cristiano IV stava intraprendendo tale iniziativa: né dal punto di vista militare né da quello diplomatico la Danimarca poteva essere reputata pronta. A dispetto delle sconfitte militari e dell’occupazione dello Jutland, al termine della lotta il re riuscì, con la pace di Lubecca (1629), a cavarsela senza perdite territoriali. Ma la guerra aveva ormai seriamente intaccato il suo prestigio, sia sul piano militare che su quello politico; ed era ormai stato reso chiaro agli occhi di tutti quanto fosse difficile per i Danesi difendere la penisola dello Jutland.

Nel periodo successivo Cristiano IV si mostrò incurante dei pareri espressi dal Consiglio del Regno circa la necessità di rafforzare le difese e diminuire le spinte espansionistiche; eppure le sue condizioni erano ormai profondamente mutate soprattutto dal punto di vista finanziario: le enormi spese per gli armamenti non gli permettevano di ristabilire quella supremazia economica che aveva avuto fino al 1625. Il conflitto tra il Consiglio ed il re si acuì sempre più e si accrebbe il numero dei personaggi potenti all’interno del Consiglio stesso. E’ opportuno ricordare che benché fosse lo stesso re a designare i membri del Consiglio, la sua scelta doveva essere limitata agli esponenti della classe nobile; e il tentativo di introdurvi alcuni componenti della sua famiglia (i generi, mariti delle molte figlie avute dalla seconda moglie Kirsten Munk) con la speranza di esserne sostenuto non ebbe l’esito desiderato. Il Consiglio riuscì gradualmente a porre un limite ai poteri militari e alla disponibilità finanziaria del sovrano, in modo che questi non avesse più i mezzi per pagare né i suoi fornitori né i suoi creditori. Di fronte ad una crisi economica che si faceva sempre più evidente, re e Consiglio obbligarono la nobiltà a rinunciare ad alcuni privilegi e a versare delle tasse; ma i nobili ottennero che tale denaro fosse versato in casse provinciali controllate da commissari appartenenti alla nobiltà stessa, con un conseguente decentramento politico e amministrativo che rese alcune situazioni ancor più complicate, dato che i commissari provinciali si ritennero in grado anche di formulare giudizi sulle decisioni politiche sia del re che del Consiglio.

Il colpo finale alla politica estera del re fu l’ultima guerra (1643-1645, detta ‘Torstenssonkrigen’ dal nome del generale svedese che occupò lo Jutland) che egli condusse contro la Svezia, che in concomitanza con la crisi danese aveva rafforzato il proprio potere alleandosi con gli Stati protestanti della Germania. Non mancarono, in realtà, momenti in cui sembrò rivivere l’eroismo di un personaggio che aveva saputo rendere celebre il proprio nome, quali ad esempio la cacciata di Gustaf Horn (comandante svedese) dalla Scania e soprattutto la battaglia navale di Kolberger Heide nel luglio 1644. E’ quest’ultimo uno dei momenti più gloriosi della storia danese, commemorato tuttora assieme all’audacia di Cristiano IV nell’inno nazionale reale: «Kong Christian stod ved højen mast i røg og damp [...]» («Il re Cristiano stava presso l’albero maestro tra fumo e vapore [...]»); fu la battaglia in cui una scheggia di granata procurò al sovrano, che combatteva sul ponte della propria nave, quella ferita all’occhio destro che sarebbe stata sottolineata da tutta l’iconografia successiva e che lo fece sempre ricordare come guerriero audace e valoroso. Ma la durissima pace di Brömsebro (agosto 1645), che impose alla Danimarca ingenti perdite territoriali, rese assolutamente nulla la posizione di potere che il Regno di Danimarca-Norvegia aveva fino ad allora avuto nell’Europa del Nord.

E la figura del re era ormai compromessa anche nella gestione interna: il Consiglio del Regno e la nobiltà avevano ormai la meglio su di lui.

Il principe, figlio della prima moglie del re (Anna Cathrine di Brandenburg, morta nel 1612) e anch’egli di nome Christian, che già all’età di cinque anni, nel 1608, era stato prescelto dal Consiglio del Regno come successore al trono, morì prima del padre, nell’estate 1647. Nell’autunno 1634 per le nozze del principe con Magdalena Sibylla di Sassonia era stata tenuta a corte una festa senza pari (‘Det store Bilager’) della durata di ben due settimane, con la quale Cristiano IV cercò di dare un’immagine di fasto e di benessere all’Europa intera. Ma la salute malsana e la condotta non del tutto irreprensibile del giovane avevano poi fatto sì che al decesso di Cristiano IV, avvenuto il 28 febbraio 1648 nel castello di Rosenborg (Copenaghen), il trono fosse vacante. Fu nominato re, non senza tentativi di impedimento da parte degli arrivisti generi di Cristiano IV interni al Consiglio del Regno, l’unico altro figlio rimasto dal primo matrimonio del sovrano: il duca Federico, che avrebbe poi regnato fino al 1670 con il nome di re Federico III.

Cristiano IV è ragionevolmente passato alla storia come sovrano dotato di una personalità che ha lasciato un’impronta indelebile: è il re di cui qualunque Danese ha sentito maggiormente parlare. Si tratta in realtà di un personaggio fortemente contraddittorio: da una parte il sovrano più amato e conosciuto dal suo popolo, quasi un eroe, protagonista di un mito certamente alimentato anche dall’opera di molti artisti romantici; dall’altra colui che portò allo sfacelo un Regno che prima di passare sotto la sua guida era ricco e potente. E’ come se nelle mani di Cristiano IV la parabola del Regno di Danimarca-Norvegia arrivasse al culmine, imponendosi agli occhi dell’Europa intera, per poi piombare però irreversibilmente in una condizione di crisi economica e sociale.[3] Ancora oggi ci si interroga sul perché del fallimento di un re che comunque non può che essere ricordato con grande rispetto. Molti ritengono che egli non abbia saputo intravedere, impegnato nei suoi conflitti con il Consiglio e i nobili, i vantaggi che gli sarebbero derivati da un’alleanza con la borghesia; ma c’è chi osserva a tale proposito[4] che in realtà un’ipotesi del genere non è realistica per il periodo di Cristiano IV. La classe borghese infatti ancora non deteneva un ruolo e una forza (soprattutto economica) sufficienti; li avrebbe acquisiti pienamente nel periodo di regno di Federico III. E in realtà la Danimarca, forse senza che vi avesse una responsabilità diretta l’operato del re o quello dei suoi collaboratori, attraversava un delicato momento in cui, come in buona parte d’Europa, si stavano verificando profondi mutamenti economici e sociali da lungo in incubazione.

E’ comunque opinione comune che questo sovrano dal carattere fermo, pratico, volenteroso e anche valoroso, possedesse risorse intellettuali abbastanza limitate; ciò gli impediva di valutare realisticamente quali fossero le decisioni migliori da prendere e spesso lo portava a cercare rimedi ai propri errori mediante calcoli o programmi che in conclusione aggravavano le stesse situazioni.

Vi sono però alcuni campi per i quali la politica di Cristiano IV non solo non viene considerata fallimentare, ma addirittura è ricordata come promotrice di un periodo di crescita e sviluppo. La cultura e l’istruzione, ad esempio, raggiunsero a quell’epoca un punto culminante; non soltanto perché in Danimarca fiorirono scuole, palazzi e castelli, si riformò l’università e si allevarono artisti di ogni genere, ma soprattutto perché fu un periodo in cui, come mai prima e come molto raramente dopo, la cultura danese riuscì a conquistarsi un posto degno di rispetto in quella europea. E se è vero, come sostengono in molti, che personalmente Cristiano IV non aveva grande interesse o competenza in materia e che tali iniziative ebbero perlopiù origine in seno a quella parte del Consiglio che nutriva interessi umanistici, bisogna almeno riconoscere al re il merito di aver capito che forse proprio la cultura, e con essa le manifestazioni di fasto, più del potere militare e delle guerre era il mezzo con il quale poteva far parlare di sé e del suo Regno nelle varie corti europee.

La musica alla corte reale

Tra le manifestazioni artistiche e culturali che il sovrano intendeva come mezzi rappresentativi della sua ricchezza e della grandeur del suo Regno, un posto particolare spettava alla musica, disciplina per la quale, al di là della valenza glorificatrice, sembra che egli avesse particolare predilezione. E’ infatti soltanto nel periodo del suo regno che la Danimarca, pur lungi dal diventare un grande centro musicale, riuscì a migliorare la propria condizione di "piccola provincia" nel campo della musica e a guadagnarsi una posizione che fu riconosciuta e ammirata. Prendendo esempio soprattutto dai vicini principi tedeschi e dalle loro spesso magnifiche residenze, Cristiano IV finanziò e sostenne una propria vita musicale di corte, con una ben ponderata compresenza di musicisti danesi e stranieri. Si preoccupò sempre, per quanto possibile, di procurarsi i migliori musicisti del momento, e le scelte nelle assunzioni sembrano molto oculate. Si può stimare che complessivamente, Cristiano IV regnante, lavorarono alla corte danese circa 350 musicisti.

Per quanto riguarda gli esecutori, già sotto il re Federico II la corte aveva accresciuto la propria dotazione. Fino ad allora era stata consuetudine che il sovrano avesse al proprio servizio un gruppo di cantori (‘Kantori’) prevalentemente dedito al repertorio sacro (ma in realtà impegnato anche con quello profano) e un corpo di trombettieri per occasioni militari o di rappresentanza (‘Trompeterkorpset’). Federico II arricchì le possibilità esecutive con la creazione di un ensemble strumentale composto da strumenti a corde (ai suonatori venne dato il nome di ‘Giglere’) cui aggiunse anche alcuni fiati. Questo nuovo gruppo, inizialmente inteso come una filiazione del corpo dei trombettieri,[5] conquistò in seguito un sempre maggiore prestigio e, unito con la ‘Kantori’, formò ciò che prese poi il nome di ‘Det kongelige Kapel’ (la Cappella Reale).

La storia della musica alla corte di Cristiano IV può essere sinteticamente divisa in sette periodi, coincidenti con i più significativi momenti storici:[6]

  1. 1588-1596 (periodo della reggenza): il Consiglio di reggenza ereditò la cappella musicale di Federico II e cercò di mantenerla nelle medesime condizioni in cui l’aveva ricevuta, nell’attesa che la gestione potesse passare al nuovo sovrano. La cappella allora era composta da 47 musici. Non ancora maggiorenne, nel 1595 Cristiano IV intraprese un viaggio in Germania, e fu quella l’occasione in cui per la prima volta ebbe la possibilità di ammirare, in diverse corti, le grandi manifestazioni di fasto musicale che avrebbe poi cercato di ricreare già a partire dalla cerimonia per la propria incoronazione.
  2. 1596-1611 (dall’incoronazione di Cristiano IV all’inizio della ‘Kalmar-krigen’): per la propria incoronazione Cristiano IV aumentò il numero dei componenti della cappella fino ad arrivare a 61, e cercò poi di mantenere questo organico in modo stabile.
  3. 1611-1613 (durante la ‘Kalmar-krigen’): la guerra comportò gravi perdite per la cappella musicale, quali il licenziamento del maestro di cappella (Gregorius Trehou) e di altri musicisti.
  4. 1613-1625 (dal termine della ‘Kalmar-krigen’ all’intervento nella Guerra dei Trent’anni): fu questo il periodo di massimo splendore alla corte di Cristiano IV. Il ragguardevole risarcimento pagato dalla Svezia al termine della guerra permise di provvedere a nuove assunzioni per le attività musicali. In un primo momento un impulso particolare fu dato alla musica strumentale: le impressioni ricevute in un viaggio in Inghilterra presso la sorella Anna, moglie di Giacomo I, furono tali che il re aumentò in breve tempo il numero dei propri strumentisti da 9 a 20. Nel 1618 venne finalmente nuovamente nominato un maestro di cappella nella persona di Melchior Borchgrevinck, e come vice-maestro fu scelto Mogens Pedersøn; nello stesso tempo si provvide ad accrescere il numero dei cantori. Nel periodo di massimo splendore, tra 1618 e 1619, Cristiano IV poteva vantarsi di avere alle proprie dipendenze ben 77 musici (31 cantori, 30 strumentisti e 16 trombettieri).
  5. 1625-1634: periodo di grande decadenza. La Danimarca si impegnò nella guerra che maggiormente avrebbe intaccato la sua potenza, sia politica che economica; ne risentirono di conseguenza tutte le manifestazioni artistiche, per le quali mancavano le risorse. In particolare gli anni 1627-1631 sono ricordati come un momento di grave crisi, in cui il re talvolta non era in grado di retribuire i musicisti al proprio servizio.
  6. 1634-1644: in occasione del matrimonio del principe erede al trono con la principessa Magdalena Sybilla (1634) il re, per le grandiose festività organizzate (‘Det Store Bilager’), riportò la cappella musicale quasi alle condizioni in cui era stata prima della guerra in Germania: la presenza di Heinrich Schütz come maestro di cappella alla corte di Cristiano IV (1633-1635) coincise con i festeggiamenti. Il re cercò di mantenere alto lo status qualitativo e quantitativo della cappella musicale anche negli anni successivi, soprattutto in previsione delle nozze degli altri suoi figli. Schütz fu nuovamente al suo servizio negli anni 1642-1644.
  7. 1644-1648: la ‘Torstenssonkrigen’ contro la Svezia, ultima guerra condotta da Cristiano IV, interruppe il rinnovato momento di gloria delle manifestazioni artistiche a corte e si verificarono progressivi licenziamenti degli artisti. Già quando Schütz lasciò l’impiego nel 1644, della splendida cappella musicale di Cristiano IV non rimaneva quasi più nulla.

Al di là delle alterne vicende che seguirono strettamente i vari eventi storici, la documentazione sulla vita musicale a corte è abbondante, soprattutto se relativa a fatti eccezionali, o in ogni caso considerati particolarmente degni di nota: abbiamo informazioni (tratte da registri di vario tipo, ma anche dalle lettere scritte dallo stesso re) su stipendi, su assunzioni e su licenziamenti; oppure su allestimenti per grandi feste, su cerimonie, e così via.[7] Più difficile è riuscire a stabilire la quantità e il modo in cui nella vita quotidiana la musica era presente a corte, ma si può con certezza affermare che vi risuonassero quotidianamente musiche cerimoniali (fanfare), militari, d’intrattenimento e di accompagnamento alle funzioni religiose.[8] Tra le musiche eseguite a corte ve ne erano certamente alcune composte dagli stessi musici del re, ma la maggior parte proveniva dall’estero e circolava sia in edizioni a stampa sia in copie manoscritte. Senza dubbio molta musica è a noi oggi sconosciuta, poiché andata persa.

I musicisti stranieri a corte

Nel tentativo di elevare la vita musicale della propria corte al livello di altre corti in Europa, Cristiano IV provvide ad arricchire la sua cappella musicale con artisti di notorietà internazionale. Li reclutò soprattutto dall’Inghilterra, nonché dai Paesi Bassi e dalla Germania; guardò con attenzione anche alla Polonia, che eccelleva con la famosa cappella musicale di corte di Varsavia, all’Italia e, pur se in misura minore, alla Francia.

I rapporti culturali tra la corte danese e quella d’Inghilterra risalgono già al sec. XVI: suonatori e interpreti inglesi erano frequentemente, e talvolta a lungo, ospitati alla corte di Danimarca e ben retribuiti per le loro rappresentazioni drammatiche e le esecuzioni musicali. Nel 1586, ad esempio, William Kemp, collega di William Shakespeare al Blackfriars Theatre di Londra, guidò in Danimarca un gruppo di ballerini e strumentisti inglesi che si esibì al castello di Kronborg (Helsingør), lo stesso castello in cui Shakespeare avrebbe poi ambientato il suo Amleto.[9] Tali rapporti si intensificarono durante il regno di Cristiano IV, sia perché con il periodo elisabettiano l’Inghilterra si era ormai affermata come un Paese in cui le manifestazioni artistiche avevano raggiunto un altissimo livello ed era quindi uno splendido modello per il re che voleva ottenere la fama di grande mecenate, sia perché con la corte inglese il sovrano di Danimarca aveva uno stretto legame, in virtù del matrimonio di sua sorella Anna con Giacomo I, vincolo che Cristiano IV si curò sempre di mantenere ben saldo e di far fruttare il più possibile. Dell’Inghilterra Cristiano IV apprezzò soprattutto l’abbondanza e la qualità della musica strumentale; non stupisce quindi che i musicisti inglesi che assunse fossero principalmente strumentisti. Il più significativo fu il liutista John Dowland, che si trattenne alla corte reale danese per ben otto anni (1598-1606) ricevendo uno stipendio eccezionalmente alto, oltre a particolari riconoscimenti da parte del sovrano; alcune composizioni di Dowland videro la luce durante il suo periodo danese.[10] Anche William Brade (violista e compositore) ebbe contatti con la corte di Cristiano IV presso cui si recò tre volte, per periodi più o meno lunghi, tra 1594 e 1622; suo figlio, il liutista Christian Brade, fu al servizio del re danese per un paio d’anni. Si possono inoltre ricordare i violisti Thomas Simpson e Daniel Norcome, l’arpista Darby Scott e il liutista Thomas Cuttings.[11]

I Paesi Bassi avevano occupato una posizione di primo piano nel panorama musicale internazionale per lungo tempo; quando la musica e lo stile della scuola franco-borgognona erano considerati i migliori modelli in Europa, Cristiano III (al trono dal 1534 al 1559) e Federico II (al trono dal 1559 al 1588) capirono l’importanza di avere, alla guida dei propri musici, maestri esponenti di quella cultura: l’esempio più significativo è forse quello di Arnold de Fine, che fu assunto come organista e come maestro di cappella ed ebbe grandi riconoscimenti a corte.[12] All’epoca di Cristiano IV il panorama della storia della musica era cambiato, nuove tendenze avevano avuto il sopravvento e il primato dei Paesi Bassi era in parte venuto meno. Ciononostante, forse in omaggio alla tradizione, pure il nuovo sovrano ebbe alle sue dipendenze musicisti di quella scuola, e li investì anche di ruoli importanti.[13] Arnold de Fine il Giovane (figlio del sopraccitato Arnold de Fine), ad esempio, fu strumentista al servizio del re dal 1603 al 1627. Il successore di Arnold de Fine (il vecchio) come maestro di cappella fu Bonaventura Borchgrevinck, nominato nel 1587, ancora vivente Federico II; arrivò a corte portando al suo seguito dei giovani (fanciulli cantori), alcuni dei quali vi rimasero anche dopo che egli, già pochi mesi dopo, rinunciò all’incarico. Tra di questi era Melchior Borchgrevinck (forse suo figlio), che sotto Cristiano IV rivestì un ruolo importantissimo come maestro di cappella proprio nel periodo di massimo splendore culturale del Regno. Prima di lui un altro suo connazionale, Gregorius Trehou, aveva ricoperto tale carica ed era stato tenuto nella massima considerazione a corte fino al suo inevitabile licenziamento in coincidenza con la ‘Kalmar-krigen’. Per tornare a Melchior Borchgrevinck (ca. 1570-1632), questi fu un personaggio particolarmente stimato da Cristiano IV, già da giovane. Appena nominato organista della cappella nel 1596, ad esempio, riceveva uno stipendio superiore a quello di tutti gli altri strumentisti; fu anche più volte prescelto come inviato del re in diverse città straniere. L’ammirazione particolare che il re nutriva per il musicista divenne ancor più evidente con la sua elevazione al rango di maestro di cappella nel 1618; Borchgrevinck mantenne tale incarico fino alla morte, con una sola interruzione (1627-1631) causa un licenziamento temporaneo dovuto alle ristrettezze delle finanze reali durante la Guerra dei Trent’anni. Del suo operato sono oggi rimaste due antologie di madrigali a cinque voci da lui raccolti, pubblicate con il titolo Giardino novo bellissimo di vari fiori musicali scieltissimi dall’editore Henrico Waltkirch a Copenaghen negli anni 1605 e 1606;[14] contengono brani di autori soprattutto italiani tra cui spiccano Leone Leoni e Claudio Monteverdi, mentre i soli Danesi rappresentati sono, oltre allo stesso Borchgrevinck (con i madrigali Amatemi, ben mio e Baci amorosi e cari), Hans Nielsen e Nicolas Gistou (anch’egli, in realtà, non nato in Danimarca, bensì proveniente da Bruxelles). I due libri sono dedicati a Cristiano IV (il primo) e a Giacomo I d’Inghilterra (il secondo).

Tra i cantori, trombettieri e altri strumentisti nella cappella musicale di Cristiano IV, molti provenivano dalla Germania: contemporaneo al declino delle presenze fiamminghe si verificò un accrescimento del valore e della quantità dei musicisti tedeschi, che già da tempo comunque si distinguevano come suonatori di trombe. Tra i trombettieri di Cristiano IV si ricordano in particolare Henrik Lübeck, Magnus Thomsen e Erhard Stärcke;[15] tra gli strumentisti Johann Schop e Daniel Zellner, entrambi esperti nell’uso di strumenti ad arco, il liutista Jørgen Rasch e l’organista Johannes Meincke. Per istruire i suoi figli il re scelse, dal 1626, il rinomato compositore tedesco Melchior Schildt, che fu in servizio presso di lui tre anni.[16] La presenza tedesca più interessante alla corte danese fu però senza dubbio quella di Heinrich Schütz che, chiamato dal re su consiglio dell’erede al trono principe Christian, partì dalla cappella di Dresda per essere in Danimarca in occasione di ‘Det Store Bilager’ (1634) e ricoprì l’incarico di maestro di cappella[17] per due anni. Successivamente tornò alla corte danese nel 1642 per un altro soggiorno di simile durata. Oltre alle musiche da lui composte per le festività di corte, delle quali per altro nulla è rimasto ad eccezione del canto strofico con intermezzi strumentali Gesang der Venus-Kinder in der Invention genennet Thronus Veneris [...] (København, H. Krusen, 1634),[18] sembra che Schütz abbia concepito alcune sue opere importanti in Danimarca: le sue Musikalische Exequien e la prima e seconda parte dei Kleine geistliche Konzerte videro probabilmente la luce in territorio danese, così come la seconda parte delle Symphoniae Sacrae (dedicata al principe Christian).[19]

Dall’Italia il re si procurò soprattutto cantanti; nei documenti emergono personaggi come Benedetto Bonaglia (basso), Agostino Pisone (discantista), il castrato Gregorio Chelli da Verona (contralto), e il contraltista Agostino Fontana che fu maestro di cappella negli ultimi mesi di vita di Cristiano IV e mantenne l’incarico nei primi anni di regno di Federico III.[20] Ma i rapporti con l’Italia si esplicarono soprattutto nella direzione inversa, ossia mediante giovani compositori danesi che venivano inviati nella Penisola per impadronirsi dello stile musicale dei grandi maestri italiani.

Numerosi furono anche i musici polacchi a corte: in particolare si ricordano Adam Pickerow, Jacob Merlis, il suonatore di cornetto Christopher Zetzinsky e l’organista Vincentius Bertholusius.[21]

La musica strumentale: trombettieri e strumentisti

Il gruppo dei trombettieri può essere considerato il nucleo generativo del corpo musicale reale; sempre gratificato di riconoscimenti particolari, per tradizione seguiva il re in molti dei suoi spostamenti, così come accadeva per tanti altri prìncipi e sovrani. Cristiano IV non volle mai rinunciarvi né diminuirne l’organico e l’importanza, nemmeno nei periodi di maggiore crisi, quando le manifestazioni musicali vennero ridotte a ciò che era considerato il minimo indispensabile; dotò persino i suoi castelli più importanti di particolari pulpiti (‘Trompeterstole’) atti a contenere i trombettieri, cosicché la loro musica di intrattenimento o per danza potesse diffondersi in tutta la sala.[22] Più che gli altri componenti della cappella reale, il corpo dei trombettieri, che comprendeva anche dei timpani, era ben adatto a rappresentare il potere del re, non soltanto sul piano uditivo, ma anche su quello visivo (per l’uso di uniformi, bandiere, stendardi e talvolta di strumenti in argento). Oltre all’intrattenimento durante i banchetti a corte, tale corpo musicale aveva molteplici compiti: quelli a cui maggiormente era legata la sua origine (ossia le fanfare, le musiche per cortei e processioni, i segnali musicali in guerra) e quello più recente di esecuzione di musica di alto livello, in chiesa e nelle sale d’onore e di banchetto, talvolta in combinazione con altri strumenti. Fu infatti proprio all’epoca di Cristiano IV o poco prima che ebbe diffusione in Danimarca, importato dalla Germania, l’uso delle sonate per tromba nel cosiddetto "stile italiano",[23] con la conseguente valorizzazione della tromba e spesso la sua "promozione" a ruolo di strumento solista per le esecuzioni in registro di clarino.

Distinto dal gruppo dei trombettieri era quello degli altri strumentisti, atto ad eseguire musiche da camera e di intrattenimento; la maggior parte delle musiche eseguite circolava in forma manoscritta e questa produzione è in buona parte andata persa. Ciononostante siamo oggi in grado di dire che le forme strumentali maggiormente diffuse erano movimenti di danza, eseguiti da piccoli consorts; in particolare sembrano aver avuto fortuna Pavane e Gagliarde, nonché serie di variazioni su temi famosi o su modelli polifonici preesistenti.

Anche il liuto era per la musica di intrattenimento uno strumento molto usato, sia come strumento solista o in combinazione con altri strumenti per l’esecuzione di brani puramente strumentali, sia per l’accompagnamento del canto.

Un’importante funzione rivestiva anche l’organo.[24]

La ‘Kantori’ e la musica vocale. I compositori danesi e i loro viaggi in Europa

Eccezionalmente Cristiano IV arrivò ad avere una ‘Kantori’ formata da più di trenta membri, ma la norma per le corti europee dell’epoca era quella di avere al servizio una ventina di cantori; tra questi, otto erano generalmente discantisti (voci bianche), mentre tra i rimanenti erano ugualmente spartite le voci di alto, tenore e basso. Fu questo lo standard al quale il sovrano danese cercò di attenersi. La ‘Kantori’ di Cristiano IV, diversamente dal gruppo degli strumentisti, era prevalentemente composta da membri danesi. Ad alcuni di questi cantori e ad altri musici connazionali il sovrano diede piena fiducia e appoggio; finanziando viaggi di formazione all’estero diede loro l’opportunità di venire a conoscenza delle diverse tendenze musicali europee, cosicché taluni riuscirono nella pubblicazione di opere che hanno permesso ai loro nomi di essere ricordati fino ad oggi. Nel 1599 il re mandò a Venezia per un anno, ad apprendere l’arte di Giovanni Gabrieli, Melchior Borchgrevinck in compagnia dei cantanti Wilhelm Egbertssøn (alto), Andreas Aagessøn (tenore) e dei giovani Hans Nielsen e Mogens Pedersøn. Hans Nielsen vi ritornò per due anni (1602-1604) assieme a Hans Brachrogge[25] e Niels Mortensen Kolding, mentre in seguito venne dato il privilegio di un soggiorno italiano di ben quattro anni (1605-1609) a Mogens Pedersøn, il cui talento era molto promettente. Questi andò anche in Inghilterra presso Anna, sorella di Cristiano IV e moglie di Giacomo I, negli anni 1611-1614; assieme a lui furono Brachrogge, Jacob Ørn, e il basso Martinus Otto. In realtà il motivo di questo viaggio inglese non sembra essere stata la formazione e la preparazione dei musicisti: ricordiamo infatti che Mogens Pedersøn era da poco rientrato da un soggiorno di ben quattro anni in Italia. La tesi proposta da John Bergsagel[26] è che i giovani Danesi fossero stati mandati da Cristiano IV a consolare la sorella Anna del suo stato di infelicità, come risulta da alcune lettere e documenti. Il re danese era d'altra parte in quel periodo impegnato nella ‘Kalmar-krigen’ contro la Svezia, ed aveva presumibilmente poco tempo da dedicare alle manifestazioni e ai fasti musicali. Della presenza di tali musicisti in territorio inglese rimangono alcune testimonianze musicali, rinvenute in manoscritti compilati in Inghilterra: nel manoscritto Egerton 3665 conservato alla British Library di Londra sono copiati dieci madrigali di Mogens Pedersøn ed altri dal Giardino novo pubblicato a cura di M. Borchgrevinck; per quanto riguarda invece la musica strumentale, nei libri-parte manoscritti Add. 30826-8 della stessa biblioteca londinese si trovano, anche se in forma incompleta (solo tre voci su cinque), due Pavane per consort di viole composte da Mogens Pedersøn, mentre nel Drexel MS 4302 della New York Public Library (detto ms "Sambrooke") è contenuta una Pavana per sei viole di Jacob Ørn.[27]

La musica sacra vocale era praticata alla corte ma anche in larga misura fuori di essa. Oggi risulta abbastanza difficile stabilire una distinzione tra la musica eseguita nelle chiese cittadine e quella che si poteva udire durante le funzioni religiose nelle cappelle delle varie residenze reali. Se ad una messa solenne in una chiesa della capitale partecipava il sovrano, la musica impiegata non era senza dubbio di minore prestigio di quella usata a corte; anzi costituiva un mezzo di esaltazione della presenza del sovrano stesso. Sarebbe del resto riduttivo credere che le composizioni scritte dai musicisti di corte esaurissero la loro circolazione in quel luogo, soprattutto se erano pubblicate a stampa. Un ruolo del tutto particolare giocavano le musiche eseguite in chiesa in occasione di feste regali, come ad esempio battesimi, matrimoni, incoronazioni: in questi casi più che mai la funzione della musica sacra diveniva soprattutto quella di rappresentare un potere piuttosto che sottolineare gli aspetti strettamente liturgici. In linea generale si può comunque individuare il repertorio destinato alle chiese in cui si recava la gente comune, soprattutto in campagna, e distinguerlo da uno più "solenne", legato alla corte o alle più importanti chiese della capitale e composto da musicisti al servizio del re. Si analizza qui soprattutto il secondo repertorio, anche se in realtà le testimonianze rimaste non sono molte.

Bisogna innanzitutto ricordare che in Danimarca la Riforma luterana aveva trovato un territorio in cui attecchire in modo saldo e il cattolicesimo era stato abolito già dal 1536. La funzione religiosa luterana prevedeva l’uso di canti collettivi e nella lingua madre del Paese; ciononostante all’epoca di Cristiano IV in Danimarca erano ancora tollerati, ed anzi addirittura espressamente richiesti per messe solenni od occasioni particolari, mottetti e tempi di messa polifonici in latino. In particolare si possono ricordare due messe in lingua latina di questo periodo, che presumibilmente furono eseguite dai cantori del re: la messa, attribuita a Gregorius Trehou, del manoscritto Thott 152 di Det kongelige Bibliotek a Copenaghen, e la messa a cinque voci di Mogens Pedersøn contenuta nella sua raccolta del Pratum Spirituale (København 1620). Interessante è anche la Missa Baci amorosi a otto voci di Melchior Borchgrevinck, su un madrigale preesistente dello stesso compositore, pervenutaci incompleta in attestazione manoscritta.

Nel Pratum Spirituale di Mogens Pedersøn è rappresentato anche il mottetto in lingua latina; altri pezzi del genere, scritti da musicisti stranieri (pensiamo ad esempio al sopraccitato Trehou) e magari dati alle stampe all’estero, erano sicuramente in uso nelle occasioni più importanti. Un esempio interessante di mottetto è la Cantio Nova a sei voci del maestro di cappella di Wolfenbüttel Thomas Mancinus, dedicata al re Cristiano IV in un bel manoscritto miniato.[28]

Ma il Pratum Spirituale di Mogens Pedersøn, di cui si parlerà più diffusamente nelle pagine successive, è interessante anche perché presenta una trentina di canti polifonici in lingua danese, perlopiù rielaborazioni di melodie gregoriane o di corali preesistenti, pensate senza dubbio espressamente per l’esecuzione a corte o in qualche grande chiesa: necessitano infatti di un coro nutrito (nella maggioranza dei casi a cinque voci) e ben preparato, quale poteva essere quello della cappella reale, o quello composto dai discepoli di un liceo. In questo senso l’opera di Mogens Pedersøn si caratterizza rispetto ad altri due testi fondamentali per la musica sacra danese di allora, che qui si citano anche se non hanno uno stretto legame con le manifestazioni musicali a corte e costituirono piuttosto il fondamento delle celebrazioni religiose "comuni", fornendo musiche religiose monodiche: si tratta di Den danske Psalmebog di Hans Thomissøn (stampato in otto edizioni, dal 1569 al 1634, ed in molteplici altre edizioni senza il testo musicale) e del Gradual. En almindelig sangbog [...] di Niels Jesperssøn (1573). Entrambe le opere ebbero il riconoscimento reale (cioè furono autorizzate come ufficiali) in un’epoca già anteriore a Cristiano IV e riportano testi e musiche normalmente usati.

Per quanto riguarda invece la musica vocale profana, il risultato degli studi dei sopracitati giovani musicisti danesi a Venezia fu soprattutto la pubblicazione di madrigali: molti di questi, assieme ad altri composti da musicisti stranieri, o magari dagli stessi autori danesi ma a noi non pervenuti, sono senza dubbio stati eseguiti a corte, costituendo la forma più comune di musica vocale di intrattenimento. La già citata antologia curata da Melchior Borchgrevinck (Giardino novo bellissimo di vari fiori musicali scieltissimi) pubblicata presso il più illustre stampatore musicale di Copenaghen, testimonia quanto un repertorio come quello madrigalistico fosse diffuso e apprezzato sia dal sovrano che dalla classe nobile. Quanto alla prassi esecutiva di tali madrigali si può ritenere che avessero luogo sia realizzazioni puramente vocali che miste, con il raddoppio o addirittura la sostituzione di alcune voci mediante strumenti;[29] questo sembra suggerito ad esempio dall’illustrazione sul frontespizio dello stesso Giardino novo: una viola da gamba e due liuti suonano accompagnando il canto di due fanciulli.

Hans Nielsen pubblicò a Venezia nel 1606, sotto il nome latinizzato di Giovanni Fonteiio, un libro di madrigali a cinque voci;[30] ugualmente fece Mogens Pedersøn, col nome Magno Petreo, nel 1608.[31] Di Mogens Pedersøn sono rimasti anche dieci madrigali pervenutici in un’unica attestazione manoscritta nel ms London, British Library, Egerton 3665. Si cita infine un altro contributo di musicista danese alla tradizione madrigalistica, ossia le Cantiones trium vocum (Hamburg, thipis Philippi ab Ohr, impensis Samuelis Jauchii, 1608) di Truid Aagesen, pubblicazione in cui il compositore compare con il nome latinizzato di Theodoricus Sistinus.[32]

Vita e opere di Mogens Pedersøn

Il luogo e la data di nascita di Mogens Pedersøn sono sconosciuti. La notizia più datata risale al 1599, anno del suo primo viaggio d’istruzione in Italia al seguito di Melchior Borchgrevinck. Tale viaggio fu la prima manifestazione dell’intenzione del re di Danimarca di arricchire la vita musicale della sua corte non soltanto chiamando a sé celebri musici di risonanza internazionale, ma anche offrendo a quelli danesi l’opportunità di istruirsi e far fiorire il proprio talento. La meta cui da ogni dove, in Europa, si tendeva, soprattutto per l’apprendimento di una consolidata tradizione della musica vocale, era Venezia; in particolare godeva della massima stima come insegnante Giovanni Gabrieli. La scelta di Cristiano IV fu dunque molto oculata e al passo con i tempi.

Rientrato dall’Italia, Mogens Pedersøn proseguì il periodo di apprendistato e solo nel 1603 fu assunto ufficialmente nella cappella reale in qualità di strumentista. Le date finora esposte hanno indotto gli studiosi a stabilire, come anno di nascita indicativo per il musicista, il 1585; Jens Peter Jacobsen ha invece proposto il 1583, osservando che per prendere parte ad un viaggio lungo e importante quale quello del 1599, il giovane Mogens Pedersøn doveva almeno avere sedici anni.[33] L’età in cui venne assunto risulta comunque un fattore secondario, poiché si può in ogni caso affermare che le doti mostrate dal giovane Mogens Pedersøn furono senza dubbio molte e ben apprezzate: nel 1605 egli fu infatti nuovamente inviato in Italia per un periodo di studio presso Giovanni Gabrieli, addirittura per quattro anni. Il musicista partì con una lettera di raccomandazione redatta dallo stesso re in lingua italiana.[34] A questo secondo soggiorno veneziano di Mogens Pedersøn risale la sua prima opera a stampa: una raccolta di 21 madrigali a 5 voci. Mogens Pedersøn rimase poco in Danimarca dopo essere tornato da Venezia nel settembre 1609, dato che nel 1611 partì alla volta dell’Inghilterra per rimanervi fino all’agosto del 1614 circa.

Altre notizie[35] ci informano dell’affidamento di un apprendista a Mogens Pedersøn nel 1616 e della sua nomina a vice-maestro di cappella nel 1618: in conseguenza di tale incarico gli fu dato il compito di tenere in casa propria e istruire sei fanciulli. Ebbe anche un importante ruolo nell’educazione musicale del principe Christian, erede al trono. Probabilmente rientrava nei compiti del maestro di cappella o del vice-maestro anche quello di comporre musica per i cortei trionfali del re e le processioni; in una lettera di pugno di Cristiano IV del 1618 si legge infatti l’ordine, rivolto a Mogens Pedersøn, di far esercitare trombettieri e strumentisti, in modo che potessero ben eseguire la nuova musica per processione che lo stesso Pedersøn aveva composto. Anche se non sappiamo a quale specifica occasione fosse destinata questa musica cui il re si riferisce, la testimonianza è molto interessante, poiché ci dà notizia di composizioni di Mogens Pedersøn di cui non ci è rimasto nulla e getta ulteriore luce sulla funzione e i doveri di un maestro o un vice-maestro di cappella presso Cristiano IV.[36]

Dal febbraio 1623 il nome di Mogens Pedersøn non figura più nei registi di contabilità della cappella musicale reale; compare ancora, però, il nome di sua moglie (Karine Ernstdatter, citata come «Karen Mogens Pedersøns») che ritirò la somma mensile corrispondente alle spese di vitto per i fanciulli apprendisti che ospitava. Si può quindi desumere che Mogens Pedersøn, anche se ancora in giovane età, fosse morto nel gennaio 1623. Il suo successore come vice-maestro di cappella fu Hans Nielsen, nominato nell’aprile dello stesso anno.

La produzione strumentale

Ha sempre destato stupore il fatto che di Mogens Pedersøn, assunto alla cappella di corte con il titolo di strumentista finché non passò al rango di vice-maestro di cappella, non ci sia giunta quasi alcuna musica strumentale.

Le uniche testimonianze rimaste sono le due Pavane per consort di cinque viole pervenuteci in forma incompleta nei tre libri-parte (Canto, Alto, Tenore) manoscritti conservati alla British Library di Londra con segnatura Additional 30826-8. Il fatto che queste due composizioni strumentali siano state copiate in un manoscritto inglese, pur essendo una chiara spia della presenza di Mogens Pedersøn in quel Paese negli anni 1611-1614, non permette comunque di affermare con sicurezza che abbiano visto la luce proprio in Inghilterra: forme di danza per ensembles strumentali dello stesso genere erano infatti ben conosciute dai musicisti danesi anche in patria, poiché i rapporti culturali tra Danimarca e Inghilterra erano da tempo piuttosto stretti.

La musica vocale sacra: il Pratum Spirituale

L’opera più consistente di Mogens Pedersøn, senza dubbio avvertita come la più significativa ai suoi tempi, è la raccolta di musica sacra Pratum Spirituale, pubblicata nel 1620.[37] Ancora oggi il Pratum Spirituale è riconosciuto come la più antica grande opera pervenutaci di musica sacra polifonica composta da un autore danese e su testo danese. Si è già detto come tale raccolta si inserisca nel contesto storico-religioso della Danimarca dell’epoca e come si distingua dalle due raccolte ufficiali di musica sacra in uso (Den danske Psalmebog di Hans Thomissøn e il Gradual di Niels Jesperssøn) in quanto propone musica "d’arte" oltre che "di consumo". Ciò non toglie che il Pratum Spirituale abbia avuto un impiego pratico non secondario; così infatti si augurava lo stesso compositore, che sul frontespizio specificò che i brani contenutivi potevano essere utilizzati in tutto il territorio del Regno:

PRATUM
SPIRITUALE
det er
Messer/ Psalmer/ Motteter/ som
brugelig ere udi Danmarck oc Norge/
Componerede med 5. Stemmer aff
Kong: May: Vice-Capel-
mester.
Mogns Pedersøn.

Prentet i Kiøbenhaffn hoss Henrich
Waldkirch.
ANNO M. DC. XX.

L’opera è dedicata al giovane principe Christian.

Le composizioni del Pratum Spirituale[38] sono complessivamente 37, tutte a cinque voci ad eccezione della n. 7 che prevede l’uso di sei voci. Solo le ultime 6 sono originali invenzioni di Mogens Pedersøn: le prime 31 composizioni, in lingua danese, sono infatti rielaborazioni di melodie gregoriane o di corali luterani; le melodie prese come punto di partenza per le composizioni polifoniche si trovano quindi tutte, con un’unica eccezione, almeno in una delle due sopraccitate raccolte di Hans Thomissøn e Niels Jesperssøn. Le 31 composizioni sono disposte secondo il calendario liturgico: compaiono prima quelle per la festa di Natale, poi quelle di Pasqua e quelle di Pentecoste seguite infine da salmi non strettamente legati ad una festività.

Tra queste composizioni in lingua danese ve ne sono anche alcune che costituiscono tempi della messa luterana (cosiddetta ‘Salmemesse’): compaiono tre Kyrie, adatti ciascuno ad un determinato periodo dell’anno liturgico in modo da non lasciare alcuna festività scoperta; come Gloria nel Pratum Spirituale è proposto il salmo Alleniste Gud i Himmerig e come Credo il salmo Wi tro allesammen paa en Gud.

Le ultime composizioni della raccolta sono quelle che maggiormente mostrano quanto le più antiche funzioni luterane fossero ancora legate alla prassi ecclesiastica cattolica, in quanto nel XVII secolo per le occasioni più solenni anche nelle chiese protestanti si faceva uso della lingua latina. Mogens Pedersøn ne diede un saggio, con i suoi tre mottetti latini inclusi nel Pratum Spirituale e soprattutto con la Missa quinque vocum. Tale messa risulta però abbreviata rispetto all’Ordinarium cattolico: e non è casualmente incompleta, bensì volontariamente aderente alle abitudini danesi di eseguire soltanto il Kyrie, il Gloria e la prima parte del Credo (fino a Et homo factus est); anzi, particolarmente conservativo per il luogo e l’epoca dovette apparire il comportamento di Mogens Pedersøn, poiché vi inserì anche il Sanctus (ma senza Benedictus).

Vi sono inoltre nel Pratum Spirituale due gruppi di responsi corali scritti rispettivamente in lingua danese (a conclusione della sezione danese della raccolta) e in lingua latina. I sei Responsoria Latina sono: la risposta corale Et cum spiritu tuo al Dominus vobiscum del celebrante; il Gloria tibi Domine che segue l’introduzione alla lettura del Vangelo (Sequentia sancti Evangelii secundum N.); due Amen, di cui uno da eseguire dopo la Colletta e il Padre Nostro, l’altro conclusivo (Ultimum Amen), da cantare dopo la benedizione; due risposte corali da eseguirsi nel dialogo che precede il Prefazio: Habemus ad Dominum (da far seguire a Sursum corda) e Dignum et justum est (risposta a Gratias agamus Domino Deo nostro). Le prime quattro risposte corali latine hanno un corrispettivo nei Responsoria Danica, a detta di Knud Jeppesen brani magnifici e grandiosi, di grande valore artistico, forse più che ogni altra composizione del Pratum Spirituale.

La musica vocale profana: madrigali e madrigaletti

  • Madrigali, Libro I

Nel frontespizio del suo primo libro di madrigali a cinque voci, pubblicato nel 1608 durante il suo secondo soggiorno veneziano come saggio di quanto aveva appreso dall’insegnamento di Giovanni Gabrieli, l’autore si presentò con la versione latinizzata del suo nome:[39]

DI MAGNO
PETREO DANO.
MUSICO,
DELLA MAESTA
DI DANIA, NORVEGIA, ETC.
MADRIGALI A CINQUE VOCI.
LIBRO PRIMO.
Novamente Composti, et dati in Luce.
IN VENETIA,
APPRESSO ANGELO GARDANO ET FRATELLI.
MDCVIII.

Dedicò l’opera al suo mecenate sottolineandone la liberalità e soprattutto il merito di aver scelto per lui un grande maestro quale Giovanni Gabrieli, «vero Lume della Musica»:

ALLA MAESTA
DELL’INVITTISSIMO
CHRISTIANO QUARTO
RE DI DANIA, E DI NORVEGIA, De Gotti, et de Vandali,
DUCA DI SLESVICH, D’HOLSATIA,
di Stomaria, et di Ditmarscia, Conte d’Oldenburg, et Delmemherst etc.

VENGO devoto ad offerire alla Vostra Maestà le primitie di que’ frutti, che fin hora ha potuto produrre il Terreno del mio debil ingegno, se bene sterile da sé stesso, pure fecondato da quella poca diligenza c’ho potuto prestare coll’aiuto della sua liberalità, et col benigno Cielo della sua gratia, senza la quale non haverei hauta facoltà di palesar al mondo con queste prime fatiche gl’infiniti oblighi, che mi fa tenerle lo havermi, tratto (si può dir) dalle falcie, riceuto nella sua Corte; poscia mantenuto fuori in Italia appresso quel vero Lume della Musica il Signor Giovanni Gabrielli suo tanto devoto, a gli studij di questa divina facoltà le cui lodi così sariami superfluo narrare, come ella tra tutti i Principi, che di quella habbino perfetta cognitione, il primo loco sen tenga. La prego dunque a gradir quel, che le porgo, acciò che il Mondo conosca quanto le son obligato et Servitore, et vasallo, et come intendo similmente dedicar ogni mia fatica a cui da principio dedicai tutto me stesso. Così Iddio le conceda longa vita, et a me dia occasione di servirla sempre conforme al mio desiderio, col quale alla Maestà Vostra humilissimamente m’inchino.

Di Venetia il dì primo Aprile. 1608.
                      Humiliss. et Devotiss. della Maestà Vostra

Magno Petreo Dano.

L’opera, di cui ci è rimasto un unico esemplare,[40] contiene 21 madrigali e si inserisce perfettamente nella tradizione instaurata dai musicisti giunti a Venezia soprattutto dal Nord-Europa per perfezionarsi nella composizione, in particolare sotto la guida di Giovanni Gabrieli: era consuetudine che gli allievi al termine del proprio periodo di studi (singolare in questo senso è il fatto che i madrigali di Mogens Pedersøn siano stati pubblicati quasi un anno e mezzo prima che egli facesse rientro in patria) dessero alle stampe un libro di madrigali su testo italiano, per mostrare di aver raggiunto una certa abilità compositiva. Il madrigale, genere potenzialmente aperto a qualsiasi tipo di sperimentazione e che aveva ormai alle spalle una lunga tradizione, nonché forma in cui il rapporto testo-musica era assolutamente fondamentale, costituiva infatti il mezzo migliore, per un compositore "novello", per misurarsi con diverse tecniche e vari stili e per mettere quindi in luce le proprie capacità. Tali libri di madrigali scritti dai giovani compositori costituivano spesso la loro "Opera I", ossia il primo lavoro dato alle stampe, una sorta di carta da visita con la quale presentarsi al mondo musicale: la buona o cattiva fortuna di questa pubblicazione poteva decidere della carriera futura del musicista.[41]

  • Madrigali, Libro II

Il manoscritto Egerton 3665 della British Library di Londra (cosiddetto "Tregian Manuscript"), compilato probabilmente negli anni 1609-1619, contiene dieci madrigali attribuiti dal copista a Mogens Pedersøn. Tali madrigali si individuano come un gruppo compatto, in quanto numerati progressivamente da 1 a 10, oltre che con la numerazione sequenziale propria della sezione del manoscritto cui appartengono (nn. 625-634); ognuno di essi è preceduto dalla dicitura Magno Petreio o Petreio Magno e alla conclusione della serie dei madrigali si legge la rubrica Ex l. 2°. 1611. Magno Petreio. Dano.

Questo voluminoso manoscritto, riscoperto in un’asta nel 1950, si è dimostrato assai prezioso per molti studiosi della musica e della tradizione di alcuni testi musicali.[42] Per quanto riguarda le moderne conoscenze su Mogens Pedersøn si è rivelato assolutamente fondamentale, in quanto riporta l’unica attestazione di dieci madrigali del compositore di cui non si aveva altrimenti alcuna traccia.

La rubrica in cui il copista parla di un Libro II del 1611 fa pensare infatti che di Mogens Pedersøn sia stata pubblicata una raccolta di madrigali successiva a quella del 1608; di tale stampa non è però finora stato possibile trovare ulteriori notizie. Si potrebbe avanzare l’ipotesi che tali composizioni abbiano avuto soltanto una circolazione manoscritta (e che da un manoscritto, magari di pugno dello stesso autore, il copista li abbia tratti),[43] oppure quella, in realtà più plausibile, che esistesse una pubblicazione a stampa (presumibilmente contenente più di dieci pezzi) andata poi perduta.[44]

  • I madrigaletti a tre voci

Altre due composizioni vocali profane di Mogens Pedersøn sono contenute in una raccolta di madrigaletti del suo collega, musicista danese al servizio di Cristiano IV, Hans Brachrogge.[45] Così si presentano il frontespizio e la dedica della raccolta, unica opera a noi nota del compositore:

DI
GIOVAN-
NI BRACHROG-
GE, MUSICO
della Maestà
Di Dania Norvegia etc.
Madrigaletti a III. voci.
LIBRO PRIMO.
Novamente composti et dati
in luce.

In Copenhagen,
Appresso
HENRICO WALDKIRCH.
M. DC. XIX.

 

Alla Maestà, del hinvitissimo
CHRISTIANO IV. RE DI
Dania, Norvegia de Gotti et de vandali, Duca
di Slesvich d’Holsatia Stormaria et Dithmar-
sia, Conte in Oldenburg et
Delmenhorst, etc.

       Sacra Maestà. Ho sempre osservato, quanto ella si diletta in questa nobil et altre virtù, il che mi trovo conbattuto d’un estremo desiderio, di mostrarmegli affett.mo Servitore, et publicare queste poche note, sotto la protettione di V: Maestà. ma non potendo in tutto quel ch’io vorrei, farò in ogni modo quel poco ch’io posso, del mio giovenil et debil ingegno. Accioché V: Maestà la vede quanto io sono devoto servidore, però non diffido la V: Maestà se non con benigno viso accettarlo, non guardando alla basezza del dono, ma alla grandezza dell’animo suo, con che humilmente m’inchino, pregando Iddio, che gli conceda longa vita, et ogni felice contento, Di Copenhagen alli 24. di Aprile l’Anno 1619.

                           Humiliss: et Devotiss:
                     della Maestà vostra.

Giovanni Brachrogge.

Il libro contiene 21 composizioni di cui 19 dello stesso Brachrogge e 2 di Mogens Pedersøn. I madrigaletti sono a tre voci (Canto primo, Canto secondo e Basso); si tratta di composizioni molto brevi, quasi tutte provviste del segno di ritornello alla fine del pezzo, e talvolta anche all’interno del pezzo stesso.

I due madrigaletti di Mogens Pedersøn sono i numeri 8 e 17 all’interno della raccolta e portano rispettivamente i titoli Non fuggir e L’amara dipartita.

Relazioni musicali e testuali tra i madrigali di Mogens Pedersøn e la musica vocale profana italiana

Si intende ora concentrare l'attenzione sul significato dei soggiorni italiani di Mogens Pedersøn nonché, tramite l'analisi di alcuni aspetti dei suoi madrigali, sui rapporti da lui instaurati con la cultura e i compositori italiani. Il clima che si respirava alla scuola di Giovanni Gabrieli era, per così dire, piuttosto tradizionalista; per alcuni anni, proprio a cavallo tra XVI e XVII secolo, dopo la scomparsa di Zarlino e prima dell'arrivo di Monteverdi, secondo alcuni studiosi Venezia fu, se paragonata a Firenze o Roma, una «palude di conservatorismo».[46] Il nuovo stile italiano della monodia accompagnata non figura nella produzione degli allievi, e i madrigali dello stesso maestro non appaiono tra i più innovativi. Sembra che l’intento di Gabrieli fosse quello di rendere i propri apprendisti esperti nelle tecniche compositive tradizionali, considerate basilari per affrontare qualsiasi altro tipo di composizione particolare: era necessario, cioè, che i giovani musicisti imparassero ad usare una regolare e corretta condotta delle parti in un tradizionale contesto plurivocale, senza basso continuo; la scelta del madrigale polifonico come mezzo pedagogico derivava quindi dalla convinzione che una dimestichezza con quella forma e quel genere potesse poi anche permettere di comporre messe, mottetti e ricercari strumentali. Non stupisce in effetti che la fama di Giovanni Gabrieli come maestro fosse grande soprattutto all’estero, dove ciò che nel paese di origine poteva ormai sembrare obsoleto costituiva, invece, una novità.

In ogni caso il maestro si mostrò molto tollerante con le diverse tendenze e le capacità di ogni singolo allievo, tanto che ciascuno sviluppò un proprio modo di rendere musicalmente il significato del testo poetico (elemento fondamentale nel madrigale), facendo un uso molto limitato oppure quasi estremistico di "madrigalismi". Si possono quindi individuare nelle composizioni di Mogens Pedersøn alcuni tratti tipici in comune con altri musicisti della scuola alla quale si formò, ma non mancano caratteristiche del tutto personali, testimonianza di un talento che non può passare inosservato, nonché del fatto che durante i suoi soggiorni veneziani il compositore danese ebbe molti più interessi e contatti con l’ambiente culturale italiano di quanto non si sia creduto fino ad oggi. Punto di partenza molto efficace per un’analisi in tal senso è la valutazione dei testi poetici dei madrigali.

I testi poetici[47]

In nessuno dei testimoni che tramandano le musiche vocali profane di Mogens Pedersøn i testi poetici portano menzione d’autore, ma la ricerca condotta su incipitari e repertori di musica vocale profana[48] ha permesso di attribuire alcuni testi, e quindi di confrontare la versione contenuta nelle edizioni musicali (sia a stampa che manoscritta) di Mogens Pedersøn con quelle contenute in altre raccolte musicali o letterarie. Nella scelta dei testi poetici da intonare Mogens Pedersøn non si mostrò né particolarmente modernista, né troppo conservatore; compaiono tra i suoi madrigali componimenti bucolici come Ecco la primavera (I, 1) e Tra queste verdi fronde (I, 13) che richiamano piuttosto la moda degli anni Ottanta del secolo XVI, ma il compositore volle musicare anche cinque testi guariniani ("T’amo, mia vita!" - Libro I, n. 4; O, che soave bacio - I, 5; Donna, mentre i’ vi miro - I, 15; Udite, amanti! Udite - II, 3 e Lasso, perché mi fuggi - II, 10), ed altri ricchi di ossimori e lirismo espressivo come Come esser può (I, 9), Dimmi, caro ben mio (I, 17) e "Son morta!" (II, 7).

L'edizione dei testi poetici, soprattutto se adespoti, ha presentato diversi problemi; in particolare sono risultati problematici i testi dei madrigali contenuti in unica attestazione manoscritta nell’Egerton 3665. Ciò è dovuto al fatto che il copista ha trascritto i madrigali mettendoli in partitura, e ha sottoposto il testo poetico soltanto alla voce di basso o, quando questa tace, alla voce di tenore, ossia alla voce di volta in volta più grave. Ciò ha comportato, per distrazione del copista stesso, alcune lacune nel testo poetico, in punti in cui le voci gravi tacciono e una porzione di testo è intonata dalle sole voci superiori. In casi simili, se il testo poetico è sconosciuto alla tradizione letteraria, l’unico aiuto per colmare le lacune è il ricorso ad intonazioni del medesimo testo da parte di altri compositori. Fortunatamente da un'indagine condotta da chi scrive sulle intonazioni parallele è emerso che più di cento compositori hanno messo in musica gli stessi testi usati da Mogens Pedersøn, ciò che permette di avere termini di confronto abbastanza consistenti. Ci si limiterà qui ad analizzare alcuni casi salienti.

Si noti nell'esempio 1, al v. 7 di Poss’io prima morire[49] (nella colonna di sinistra, testo utilizzato da Mogens Pedersøn in II, 2), l’integrazione editoriale delle parole Ma meritò, che corrispondono ad un inciso musicale di quattro note intonate da Canto, Alto e Tenore; tali parole mancano nel manoscritto, e nonostante la loro assenza possa non avvertirsi sul piano metrico (dal momento che ci pone semplicemente in presenza di un settenario anziché di un endecasillabo) è assolutamente evidente dal punto di vista del significato, poiché fa venire a mancare la proposizione principale del periodo. Colmare la lacuna in questione è stato reso possibile proprio dal confronto con un brano musicale composto sul medesimo testo, anche se con alcune differenze di cui si parlerà più sotto, appartenente ai Fioretti musicali del compositore mantovano Amante Franzoni pubblicati nel 1605[50] (esempio 1, colonna di destra). Un’erronea lettura della grafia del manoscritto Egerton 3665 aveva fatto ritenere fino a questo momento agli studiosi che il madrigale di Mogens Pedersøn avesse incipit Lasso io prima morire (incipit peraltro privo di senso) e non aveva quindi permesso confronti di questo genere che possono, come nella fattispecie, rivelarsi assai utili ai fini della restituzione testuale.

Esempio 1

..

Mogens Pedersøn: Amante Franzoni:[51]
. . .
.

Poss’io prima morire

Poss’io prima morire
.

di doglia e di martire,

di doglia e di martìre,
. e contra mi sia ’l ciel ed ogni stella, e contro mi sia ’l ciel ed ogni stella,
. che mai veda cangiar faccia sì bella. che mai veda cangiar faccia sì bella.

5

Bella e cruda voi sete Bella e cruda voi sete
. qual fu già Anasserete. qual fu già Anasserete.
. [Ma meritò] la sua crudel Natura, Ma meritò la sua crudel Natura,

.

che pietra diventasse fredda e dura!

che pietra diventasse fredda e dura!
. .

Cruda Licori, i’ temo,

poiché ’l mio duol estremo

da voi qualche pietà mai non m’impetra.

Non diventiate similmente pietra!

 

.Sempre dal confronto dei madrigali di Pedersøn con le intonazioni parallele, o con gli originali letterari dove possibile, risulta chiaro che il compositore danese (o forse qualcun altro prima di lui o in sua vece) ha riservato un trattamento abbastanza particolare ai testi scelti per i madrigali: egli infatti spesso utilizza soltanto alcune parti dei componimenti poetici, e non soltanto impiega, per i suoi pezzi durchkomponiert, solo alcune sezioni di testi strofici, ma addirittura accosta tra loro versi appartenenti a poesie diverse o in ogni caso non contigui nel testo originale.

Nell'esempio 2 sono riportati due madrigali del libro I, che in realtà, essendo chiamati I parte e II parte, costituiscono un madrigale unico: il loro testo è attribuibile a Livio Celiano[52] (alias Angelo Grillo), il cui Canzoniere è stato edito da Durante e Martellotti.[53]  All'atto del confronto tra i testi usati da Mogens Pedersøn e gli originali di Grillo risulta che il testo 1 di Grillo è stato diviso in due parti, corrispondenti ai due madrigali di Pedersøn; all’inizio della seconda parte del madrigale sono stati però interpolati due versi del testo 2 di Grillo, che in realtà non hanno alcun rapporto diretto con il testo 1. Ne consegue, nella seconda parte del madrigale di Mogens Pedersøn, un’assoluta mancanza di senso e continuità.

Esempio 2

. Mogens Pedersøn: Angelo Grillo:[54]
. . .
. Care lagrime mie (I parte) I
. Care lagrime mie, Care lagrime mie,
. messi dolenti de mie pene rie, messi dolenti di mie pene rie;
. poiché voi non potete poi che voi non potete
. far molle, ohimè, quel core far molle, ohimè, quel core,

5

che non ave pietà del mio dolore. che non have pietà del mio dolore,
. . almen per cortesia
. Se del mio lagrimare (II parte) ammorzate l’accesa fiamma mia:
. Se del mio lagrimare o pur crescete tanto,
. hai fatto Amor colmare ch’io mi sommerga nel mio stesso pianto.
. dunque per cortesia .
. ammorzate l'accesa fiamma mia II

10

oppur crescete tanto Se del mio lagrimare
. ch’io mi sommerga nel mio stesso pianto. hai fatto, Amore, un mare,
. . deh perch’in duro scoglio
. .. non trasformi costei piena d’orgoglio?
. . Ché facil forse fia,
. . che così cruda, e ria,
. . mossa da l’onde del mio pianto, ahi lasso,
. . men rigida mi sia cangiata in sasso.
 

Altri due esempi di un trattamento particolare del testo poetico da parte di Mogens Pedersøn sono il già citato Poss’io prima morire nella duplice forma intonata da Amante Franzoni e dal compositore danese (esempio 1), e Morirò, cor mio, sempre intonato da entrambi (esempio 3). Si osservi come nel primo caso siano utilizzate da Pedersøn solo due delle tre strofe del testo della composizione franzoniana, ma come la continuità testuale sia comunque conservata; nel secondo caso invece la seconda strofa è omessa e, di quella conclusiva, è impiegata una parte soltanto.

Esempio 3

...

Mogens Pedersøn:

Amante Franzoni:

..

Morirò, cor mio,

Morirò, cor mio,
..

se non soccorri alla mia stanca vita,

se non soccorri alla mia stanca vita,
..

ché nott’e giorno viv’in pen’e guai.

ché notte e giorno viv’in pene e guai;
..

Amor, con che miracolo tu ’l fai?

Amor, con che miracolo tu ’l fai?

5

Mi vorrai mort’allora,

.
..

per darmi dispietata ogni mercede!

Mancherò, crudele,
.. .. se tu non porgi aìta a questo core,
.. .. ché notte e giorno vive in pene e guai;
.. .. Amor, con che miracolo tu ’l fai?
.. .. .
.. .. Mi vorrai morto, allora,
.. .. per darmi dispietata ogni mercede:
.. .. non giovarà che tu mi porgi aìta,
.. .. ch’io sarò morto, e non avrò più vita!
..

In tutti i casi sinora citati l’interrogativo interessante che si pone è se queste modifiche testuali siano proprie ed esclusive di Mogens Pedersøn, oppure se esista una vera e propria tradizione musicale, e perché no più specificamente madrigalistica, dei testi poetici in questione; tradizione musicale delle poesie da cui il compositore danese potrebbe aver attinto, o alla quale avrebbe potuto dare inizio. Sarebbe necessaria e auspicabile, per rispondere a tale quesito, un’analisi più completa e globale sulle intonazioni parallele, che prenda in considerazione molti altri compositori.

Non è un caso che siano stati sopra ripetutamente mostrati rapporti tra le musiche di Mogens Pedersøn e quelle di Amante Franzoni: il Mantovano è infatti il compositore che ha il maggior numero di intonazioni parallele con l’autore danese; ben sei delle composizioni di Mogens Pedersøn si ispirano ai Fioretti musicali di Amante Franzoni.[55] E non solo (ed è questo l’aspetto più notevole) dal punto di vista poetico: dal confronto tra le intonazioni risulta chiaro che Pedersøn deve aver conosciuto direttamente l’opera di Amante Franzoni, e sembra abbia voluto in qualche modo emularla. Gli incipit musicali di Possi’io prima morire e di Morirò, cor mio sono evidentemente derivati dalle omologhe composizioni franzoniane:[56] praticamente uguali sono sia l’andamento ritmico che quello melodico; è significativo, inoltre, che all’inizio di questi madrigali Mogens Pedersøn faccia sentire soltanto tre delle cinque voci dell’organico (esempi 4 e 5).

Esempio 4a Amante Franzoni: Poss’io prima morire (batt. 1-6)

Esempio 4b Mogens Pedersøn: Poss’io prima morire (batt. 1-7)

Esempio 5a Amante Franzoni: Morirò, cor mio (batt. 1-4)

Esempio 5b Mogens Pedersøn: Morirò, cor mio (batt. 1-6)

Qualora le somiglianze non siano così facilmente individuabili, ad esempio dal punto di vista melodico, si può comunque riscontrare un’ispirazione franzoniana di carattere ritmico in Mogens Pedersøn: ne sia una prova il principio di Io non credea giammai (esempio 6), in cui si può notare l’uso comune del disegno acefalo, con quattro crome seguite da semiminime, oltre che, ancora una volta, l'uso di sole tre delle cinque voci.

Esempio 6a Amante Franzoni: Io non credéa giammai (batt. 1-5)

Esempio 6b Mogens Pedersøn: Io non credéa giammai (batt. 1-4)

Gli esempi riportati sono abbastanza significativi da non rendere necessaria la citazione di altre simili situazioni.

Non è dato sapere in quale occasione Mogens Pedersøn abbia conosciuto l’opera di Franzoni, ma che questa sia stata pubblicata e poi ristampata a Venezia proprio negli anni in cui Mogens Pedersøn vi si trovava costituisce un dato molto indicativo. E nemmeno sembra casuale il fatto che l’unico testimone pervenutoci del Libro I di madrigali di Mogens Pedersøn sia rilegato in un volume contente altre dodici raccolte madrigalistiche pubblicate a Venezia negli anni 1604-1612 e che tra queste ultime, oltre alle opere di Grabbe e Schütz, compaiano anche i madrigali a cinque voci di Amante Franzoni (1608): evidentemente la produzione del musicista mantovano circolava nello stesso ambiente e nello stesso periodo cui si possono ricondurre le opere dei tre più significativi allievi "nordici" di Giovanni Gabrieli. Ciò non toglie che possa apparire piuttosto curiosa la scelta di Mogens Pedersøn di trarre ben sei, tra i testi da mettere in musica in una realizzazione a cinque voci, proprio dal libro I dei Fioretti musicali. Si può immaginare che abbia voluto cimentarsi nell’esercizio di trasformare e rielaborare in un contesto polifonico più ampio e complesso la semplice scrittura a tre voci del compositore mantovano; o che forse abbia voluto in qualche modo avvicinarsi, per studiarlo e conoscerlo, ad un repertorio per lui nuovo: la musica vocale con accompagnamento di un basso strumentale. In ogni caso, il fatto che il compositore nordico, che si trovava a Venezia per impadronirsi del tipico stile madrigalistico polifonico tardo-cinquecentesco di cui era depositario Gabrieli, si sia voluto accostare ad un compositore "minore", e non alla sua produzione più tradizionale (cioè i madrigali a cinque voci), bensì a pezzi "leggeri", strofici, vicini al genere della canzonetta e accompagnati dal basso seguente, è di interesse tutt’altro secondario non solo nello studio della biografia del singolo compositore, bensì anche nell’ottica più generale dell’apprendistato dei musicisti d’oltralpe che si insediavano temporaneamente a Venezia.

Un ultimo esempio che qui si propone della vivacità intellettuale e della versatilità del giovane compositore danese è uno dei suoi due madrigaletti a 3 voci: Non fuggir. Questo brano di Mogens Pedersøn mostra affinità sorprendenti con un breve madrigale a 3 voci, scritto sul medesimo testo, contenuto in una raccolta del 1588 e scritto da Francesco Di Gregorii, compositore italiano noto soltanto per due brevi brani vocali contenuti, appunto, in raccolte antologiche di musica profana. La somiglianza tra le due composizioni è ancor più degna di nota per il fatto che risulta che solo Di Gregorii e Pedersøn abbiano messo in musica lo specifico testo in questione.[57] Al di là del medesimo impianto tonale, si può osservare nell'esempio 7 un’affinità sorprendente nei due madrigali. Gli andamenti melodico e ritmico dei due incipit sono molto simili: pur facendo uso di valori notazionali più brevi, dimezzati rispetto a Di Gregorii, il compositore danese ottiene il medesimo risultato; Mogens Pedersøn concepisce inoltre le voci in imitazione più rigorosa e serrata, ma l’imitazione caratterizza anche la composizione di Di Gregorii. Le voci si muovono nelle prime battute, in entrambi i pezzi, nella quinta SOL-RE e concludono la frase sulla prima rilevante cadenza a SOL su non fuggire.

Esempio 7a Francesco Di Gregorii: Non fuggir (batt. 1-8)

Esempio 7b Mogens Pedersøn: Non fuggir (batt. 1-4)

Anche in questo caso, il luogo e le modalità del contatto tra i due compositori non sono conosciuti: si potrebbe ipotizzare che Mogens Pedersøn abbia conosciuto l’opera di Francesco Di Gregorii a Venezia, ma non si può escludere che la conoscenza sia avvenuta in Inghilterra, dove il madrigale italiano era assai diffuso e dove il compositore danese soggiornò proprio prima della pubblicazione dei madrigaletti; né si può immaginare il motivo del desiderio di rendere omaggio ad un compositore che è, agli occhi di noi studiosi moderni, ben poco rilevante.

Non può che colpire, in conclusione, tanta vivacità nell'attività di un singolo compositore straniero in Italia, che sembra testimoniare intensi rapporti culturali tra personaggi e ambienti apparentemente lontani, nonché una cospicua e ancora non sufficientemente indagata circolazione e interrelazione di stili e di generi nel panorama variegato e affascinante del primo Seicento italiano.

Visualizza gli esempi 4a-7b nella stessa tavola.

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Abstract

Mogens Pedersøn, a composer of remarkable talent at the Court of King Christian IV, visited Italy twice, specifically Venice, to learn the traditional compositional technique of polyphonic madrigals from Giovanni Gabrieli. He published one book with 21 five-voice madrigals, and presumably another book, of which only ten five-voice madrigals have survived in the English manuscript London, British Library Egerton 3665 (called "Tregian manuscript"); he composed also two small three-voices madrigaletti. The essay analyses some aspects of the history and the music culture in Denmark at the time of Christian IV, as well as the life and works of the composer himself. Finally, the comparison of some of Mogens Pedersøns secular vocal compositions with music settings of the same poetical texts by other Italian composers (particularly Amante Franzoni and Francesco Di Gregorii) shows that Pedersøn knew and chose some "lighter" genres (three-voice strophic songs, also with instrumental accompaniment) as models for his five-voice and three-voice madrigals.

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   Note al testo

* Il presente articolo è un estratto dalla tesi di laurea in Musicologia: Kitti Messina, Mogens Pedersøn (Magno Petreo): edizione critica dei madrigali e madrigaletti, discussa presso la Scuola di Paleografia e Filologia musicale di Cremona (Università degli Studi di Pavia) il 22 marzo 2000, relatrice Prof. Maria Caraci Vela, correlatore Dott. Antonio Delfino. L’edizione di testi e musiche contenuta in tale tesi è la fonte di tutti gli esempi musicali contenuti nel presente articolo nonché, salvo diversa segnalazione, delle citazioni di testi poetici; alla stessa tesi di laurea si rimanda per una bibliografia esaustiva sull’argomento.

[1] Si specifica che per quanto riguarda il nome del compositore, in testimoni e strumenti bibliografici compaiono indifferentemente le varianti grafiche Mogens Pedersøn e Mogens Pedersen, nonché la latinizzazione Magno Petreo. Nel presente articolo è comunemente impiegata la forma Mogens Pedersøn, tranne nei casi in cui si citi direttamente una parte di testo da una fonte in cui il nome compaia scritto con altra grafia.

[2] La principale fonte delle informazioni storico-biografiche relative a Cristiano IV è: Steffen Heiberg, s. v. «Christian IV» , in Dansk Biografisk Leksicon, grundlagt 1887 af C. F. Bricka og videført 1933-44 af Povl Engelstoft under medvirken af Svend Dahl, 3. udgave red. Sv. Cedergreen Bech, 16 voll., København, Gyldendal, 1979-1984, vol. III, pp. 303-309.

[3] Esiste un piccolo aneddoto che testimonia una diffusa condizione di disagio: una delle molte costruzioni volute e finanziate da Cristiano IV fu la ‘Rundetårn’ (i. e. torre rotonda), edificata in Copenaghen come osservatorio, assieme ad una chiesa (‘Trinitatis Kirke’) che conteneva una ricca biblioteca di carattere soprattutto scientifico: una specie di tempio della cultura. Sulla torre, che fu terminata nel 1642, si osserva, oltre ad un rebus formulato dallo stesso re, la ringhiera che circonda la parte superiore della costruzione, e che contiene alcune lettere: il monogramma di Cristiano IV assieme alla sigla RFP. Tali lettere avevano la funzione di rappresentare il motto latino Regna firmat pietas, ma l’interpretazione popolare loro data fu decisamente diversa: "Riget fattes penge", ossia "al Regno mancano i soldi"!

[4] v. Heiberg, s. v. «Christian IV», cit. 

[5] Nei registri della contabilità del periodo di Federico II, ad esempio, si può osservare che, sia nel caso di assunzioni sia in altre occasioni, i primi strumentisti di corte erano semplicemente detti trombettieri e a questi ultimi erano assimilati.

[6] Ole Kongsted, Den verdslige ‘rex splendens’. Musikken som repræsentativ kunst ved Christian IV’s hof, in Christian IVs Verden, red. Svend Ellehøj, København, Busck, 1988, pp. 433-464. Tale suddivisione deriva a sua volta dall’analisi fatta da Angul Hammerich in Angul Hammerich, Musiken ved Christian den Fjerdes Hof, et bidrag til dansk musikhistorie, København, Wilhelm Hansen, 1892.

[7] v. Hammerich, Musiken ved Christian den Fjerdes Hof, cit., in particolare gli allegati alle pp. 187-226.

[8] Un verosimile elenco delle abitudini musicali alla residenza del re è suggerito in Niels Krabbe, Træk af musiklivet i Danmark på Christian IVs tid, København, Engstrøm & Sødrings, 1988 (Engstrøm & Sødrings musikbibliotek 4), pp. 48-49.

[9] Si vedano Angul Hammerich, Musical Relations between England and Denmark in the Seventeenth Century, «Sammelbände der Internationalen Musikgesellschaft» XIII/1, 1911-1912, pp.114-119 e V.C. Ravn, English Instrumentalists at the danish Court in the Time of Shakespeare, «Sammelbände der Internationale Musikgesellschaft» VII, 1905/1906, pp. 550-563.

[10] Si tratta di: la seconda e la terza parte dell’opera Songes or Ayres of 2, 4 and 5 parts, with Tableture for the Lute or Orpherion, with the Violl de Gamba [...] (London 1600 e 1603, RISM D3438 e D3484), nonché le Lacrimae or seaven Teares, figured in seaven passionate Pavans [...], set forth for the Lute, Viols or Violins in five parts (London 1604, RISM D3485) dedicate ad Anna d’Inghilterra.

[11] Angul Hammerich, Dansk Musik Historie indtil ca 1700, København, G. E. C. Gad, 1921, pp. 152-154.

[12] Hammerich, Dansk Musik Historie, cit., pp. 135-141.

[13] Hammerich, Dansk Musik Historie, cit., pp. 155-160.

[14] RISM 16057 e RISM 16065.

[15] Si sono conservati fino ad oggi due libri manoscritti, compilati rispettivamente da Henrik Lübeck e Magnus Thomsen mentre si trovavano al servizio di Cristiano IV, contenenti repertorio per tromba (i mss sono conservati a Copenaghen, Det kongelige Bibliotek, con segnatura GKS 1874 4° e GKS 1875 4°).

[16] Krabbe, Træk af musiklivet, cit., p. 60-66.

[17] Melchior Borchgrevinck era infatti morto nell’anno precedente.

[18] RISM S2288. La composizione (SVW 278) è edita in Heinrich Schütz, Neue Ausgabe sämtlicher Werke, vol. 37, Kassel, Bärenreiter, 1970.

[19] Hammerich, Dansk Musik Historie, cit., p. 168.

[20] Hammerich, Dansk Musik Historie, cit., pp. 173-174.

[21] Hammerich, Dansk Musik Historie, cit., pp. 172-173.

[22] Oggi i pulpiti sono scomparsi, ma si può ammirare una ricostruzione di ‘Trompeterstol’ nella sala d’onore del castello di Frederiksborg (Hillerød).

[23] v. Peter Downey, A renaissance correspondence concerning trumpet music, « Early Music» IX/3, 1981, pp. 325-329.

[24] A corte si impiegava il ‘Compenius orgel’, costruito intorno al 1610 dall’organaro tedesco Esaias Compenius. Tale organo era già all’epoca molto celebre: è ad esempio citato da Michael Praetorius nella parte II del suo Syntagma Musicum (Syntagma Musicum II: De organographia, Wolfenbüttel, 1619, p. 189).

[25] Nei documenti compare in realtà il nome Hans Brackrhode, ma tutti gli studiosi dell’argomento sono concordi nell’identificare il personaggio con Hans Brachrogge.

[26] John Bergsagel, Anglo-Scandinavian Musical Relation before 1700 in International Musicological Society Report of the Eleventh Congress, Copenaghen 1972 [IMSCR XI], edit by Henrik Glahn, Søren Sørensen and Peter Ryom, København, Wilhelm Hansen, c1974, vol. 1, pp. 263-71.

[27] Per ulteriori informazioni sull’attività dei musicisti danesi in terra inglese si veda John Bergsagel, Danish Musicians in England 1611-1614: Newly-Discovered Instrumental Music, « Dansk Aarbog for Musikforskning» VII, 1973-1976, pp. 9-20.

[28] København, kgl. Bibliotek, Ny kgl. Saml. 633g.

[29] v. Krabbe, Træk af musiklivet, cit., pp. 86-87.

[30] NV 2041.

[31] NV 2169.

[32] RISM S3549.

[33] Jens Peter Jacobsen, Mogens Pedersøn, «Dansk Kirkesangs Årsskrift», XVII, 1961-1962, pp.106-117.

[34] Rigsarkivet. Latine Registr. 1605 Fol. 121. La lettera è trascritta in Hammerich, Musiken ved Christian den Fjerdes Hof, cit., p. 188.

[35] cfr. Jacobsen, Mogens Pedersøn, cit., p. 111.

[36] v. Kongsted, Den verdslige ‘rex splendens’, cit., pp. 456-457.

[37] RISM P1133.

[38] Per informazioni più dettagliate sul Pratum Spirituale e per l’edizione delle musiche si rimanda a Knud Jeppesen, Dania sonans I, Væreker af Mogens Pedersøn, København , Levin og Munksgaard, 1933.

[39] NV 2169.

[40] L’esemplare è conservato a Kassel, Murhardsche Bibliothek der Stadt Kassel und Landesbibliothek.

[41] Oltre a Mogens Pedersøn, gli alunni diretti di Giovanni Gabrieli che pubblicarono madrigali a completamento dei loro studi veneziani furono Gregor Aichinger (Venezia, 1590), Johann Grabbe (Venezia, 1609), Christoph Klemsee (Jena, 1613), Heinrich Schütz (Venezia, 1611) e il danese Hans Nielsen (Giovanni Fonteiio, Venezia, 1606): cfr. Konrad Küster, Opus primum in Venedig. Traditionen des Vokalsatzes 1590-1650, Laaber, Laaber-Verlag, 1995 (Freiburger Beiträge zur Musikwissenschaft, 4), pp. 13-40.

[42] Per la storia e il contenuto del manoscritto, che qui si tralasciano, si vedano: Bertram Schofield - Thurston Dart, Tregian’s Anthology, «Music and Letters» 32, 1951, pp. 205-216; Elizabeth Cole, Seven Problems of the Fitzwilliam Virginal Book, in Proceedings of the Royal Musical Association, vol. 79, 1952-53, pp. 51-64; Elizabeth Cole, In search of Francis Tregian, «Music and Letters» 33, 1952, pp. 28-30; nonché le innovative scoperte e considerazioni in: Anne Cuneo, Francis Tregian the Younger: Musician, Collector and Humanist?, «Music and Letters» 75, 1995, pp. 398-404; Ruby Reid Thompson, The ‘Tregian’ Manuscripts: A Study of Their Compilation, «The British Library Journal» 18, 1992, pp. 202-204; Ruby Reid Thompson, Francis Tregian the younger as music copyist: a legend and an alternative view, «Music and Letters» 82, 2001/1, pp. 1-31.

[43] Si ricordi infatti che Mogens Pedersøn si trovava proprio in Inghilterra negli anni in cui sembra essere stato compilato il manoscritto.

[44] Nelle pagine successive di questo articolo, per questo gruppo di madrigali verrà utilizzata la dicitura "Libro II", o semplicemente "II".

[45] NV 421.

[46] v. Denis Arnold, Gli allievi di Giovanni Gabrieli, «Nuova Rivista Musicale Italiana» V, 1971, pp. 943-972: 943.

[47] Si specifica che nella tesi di laurea della scrivente, da cui è tratto il presente articolo, compare una doppia edizione dei testi poetici messi in musica da Mogens Pedersøn: una prima edizione conservativa, rispettosa delle tradizioni grafiche del tempo, ed una più "innovativa" (trascritta sotto le note in partitura) con piccoli interventi editoriali, quali ad esempio l’eliminazione della h etimologica o di geminazioni oggi estranee all’uso linguistico, volti a suggerire all’esecutore una corretta realizzazione fonetica delle parole. Nel presente articolo viene impiegata, sia per gli incipit che per citazioni più lunghe, nonché negli esempi musicali, la versione "modernizzata".

[48] Amedeo Quondam (ed.), Archivio della tradizione lirica: da Petrarca a Marino, Roma, LEXIS Progetti editoriali, c 1997 (cd-rom aggiornato fino a febbraio 1998); Emil Vogel - Alfred Einstein - François Lésure - Claudio Sartori, Bibliografia della musica italiana vocale profana pubblicata dal 1500 al 1700, Pomezia, Staderini, 1977; Marco Santagata (ed.), Incipitario unificato della poesia italiana, Edizioni Panini, 1988.

[49] Nel manoscritto Egerton 3665 come prima parola del testo si legge in realtà Posso. Si tratta presumibilmente di un errore del copista (o di qualcun altro prima di lui), che potrebbe derivare da una falsa ricostruzione sulla forma elisa di Possa seguita da una o! esclamativa; all’atto dell’esecuzione musicale l’unica soluzione realmente eseguibile è però Poss’io, che perciò qui viene proposta.

[50] I Nuovi Fioretti musicali a tre voci co ’l suo Basso Generale per il Clavicimbalo, Chitarrone, et altri simili stromenti di Amante Franzoni, Venezia, Ricciardo Amadino, 1605 (NV 1015; ristampa del 1607: NV 1016).

[51] Nel presente esempio e nei successivi è indicata in grassetto la parte di testo comune alle due intonazioni.

[52] In Küster, Opus primum in Venedig, cit., p. 18, il testo musicato dal compositore danese è attribuito a Isabella Andreini, ma non è specificata la fonte di tale curiosa informazione.

[53] Elio Durante - Anna Martellotti, Don Angelo Grillo O. S. B. alias Livio Celiano: poeta per musica del secolo decimosesto, Firenze, SPES, 1989.

[54] I testi riportati nella sottostante colonna sono tratti da Durante - Martellotti, Don Angelo Grillo, cit.

[55] Si tratta di: Morirò, cor mio (Libro I, n. 3); Poss’io prima morire (II, 2); Io non credea già mai (I, 18); L’amara dipartita (Madrigaletti, 2); Se nel partir da voi (I, 2); Son vivo e non son vivo (I, 6).

[56] Non avendo reperito alcuna edizione moderna del Libro I dei Fioretti Musicali di Franzoni, la scrivente ha proceduto all'edizione delle composizioni utili al confronto, da cui sono tratti gli esempi musicali qui riportati.

[57] Nelle Canzonette a sei voci di Orazio Vecchi è inclusa una intonazione di un testo assai simile, anche se non uguale: Non fuggir, non fuggir, ahi, non fuggire, Ladr’amorosa mia; per l’edizione di tale canzonetta, cfr. ROSSANA DALMONTE - MASSIMO PRIVITERA, Gitene, Canzonette. Studio e trascrizione delle Canzonette a sei voci di Horatio Vecchi (1587), Firenze, Olschki, 1996 (“Historiae musicae cultores” Biblioteca, 78).

 
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